Gerd Müller e l’arte di fare gol
Ago 15, 2021

Lo hanno chiamato in tutti i modi, hanno cercato di fermarlo in tutti i modi. Ma una macchina da gol come lui è inarrestabile, né definibile fino in fondo. Quella di Gerd Müller è la storia di uno tra i più grandi attaccanti di ogni tempo. Anni vissuti appieno e spesso sofferti.

Ai Mondiali del 1974, nella sua Gernania. La finalissima vinta contro l’Olanda

Il gol dentro di sé – La mattina del 3 novembre 1945, la cittadina bavarese di Nördlingen può annoverare un abitante in più. Passano gli anni e il bambino Gerhard, che tutti chiamano più comodamente Gerd, dimostra presto di avere un feeling particolare con il pallone. Non ha un carattere semplice, sembra avere la tendenza a complicare le cose facili e talvolta i rapporti con gli altri. Ma quando gioca a calcio tutto all’improvviso si fa lineare. I contorni sono netti, ogni cosa è orizzontale o verticale e lui ha una predilezione sfacciata per il gol. I tormenti interiori, come per magia passano. Infatti sceglie di fare ciò che gli riesce meglio, a dispetto di una tecnica da affinare e di una costituzione fisica non proprio atletica. Ma alle giovanili del Bayern Monaco c’è chi è pronto a giurare che quel tizio un giorno diventerà un campione. D’accordo, non sarà uno che da del tu al pallone, non sarà neppure un attaccante dal gesto tecnico eclatante, ma se si va a guardare i tabellini delle partite, segna sempre lui. C’è chi guarda oltre la presenza fisica.

Nel Bayern Monaco

Sarebbe questo il fenomeno? – Quando finalmente se lo vede davanti, Zlatko Čajkovski, tecnico jugoslavo della prima squadra, rimane perplesso. “Fatemi capire, sarebbe questo il fenomeno?”. E aggiunge un’altra battutina poco lusinghiera, una di quelle stilettate che possono uccidere un calciatore già nella culla: “Troppo grasso per trovare spazio in area di rigore”. Il vecchio Tschik, come lo chiamano i tedeschi, è un croato minuscolo, ex giocatore del Colonia, che vive e lavora da anni in Germania. Per i giovani talenti ha l’occhio clinico, ma forse neanche lui è infallibile. Soprattutto, lì per lì non valuta la carica interiore del ragazzo e ancora non sa che nella squadra di Nördlingen Müller ha all’attivo molti più gol che presenze. Il ragazzo ha un cognome comune, ma sotto porta non è uno qualsiasi. Ha quell’istinto innato che non si impara, ce l’hai oppure no. All’inizio è uno di quei casi in cui l’allenatore si ferma alle apparenze. Poi, all’improvviso Čajkovski si ritrova senza punte e così, più per necessità che per autentico trasporto, nel 1964 fa debuttare il ragazzo a Friburgo. Il dicker, il ciccione, segna subito due reti e il tecnico deve recitare il mea culpa. In area il ragazzo è una iena, altro che pancetta e fisico sgraziato. Avesse anche un carattere più sereno e accomodante, sarebbe perfetto.

Agli esordi nel Nördlingen

L’uomo dei piccoli gol – Da quel momento diventa impossibile togliere la maglia numero 9 al ragazzo, che ripaga a suon di gol, non sempre belli ma importantissimi. Tant’è che nella stagione 1964-’65 il Bayern Monaco, che non è ancora lo squadrone di oggi, viene promosso nella massima divisione tedesca. I 35 gol di un semisconosciuto ventenne giocano un ruolo fondamentale nel salto di categoria. Cominciano a fioccare i soprannomi, segno che Müller è diventato un personaggio pubblico: ce n’è uno su tutti, «Der Mann der Kleine Tor», l’uomo dei piccoli gol. Nel 1966-’67 se­gna 47 reti tra campionato, coppe e Na­zionale e il Bayern conquista la Coppa delle Coppe. La rivista «Kicker» lo eleg­ge «Calciatore dell’anno». Fa il bis l’anno dopo, con 31 reti in 30 partite. Tempo al tempo e in Germania viene coniato un neologismo: “müllern”, segnare alla Müller. Visto che secondo gli esteti è così semplice e che quei gol sono così piccoli e banali, prego accomodarsi: vediamo chi sa fare meglio. In Nazionale, dopo il Mondiale 1966, il Bundestrainer Helmut Schön convoca anche l’uomo dei piccoli gol e lo fa debuttare il 12 ottobre in Turchia, ad Ankara. La Germania vince 2-0, ma Müller non segna. Un po’ di pazienza, nemmeno troppa, perché subito dopo il bomber si consola facendo quaterna secca contro l’Albania. Il Bayern Monaco e la Nazionale della Germania Ovest hanno scoperto un bomber eccezionale e sono pronti a conquistare l’Europa e il mondo. Nel 1970 Gerd Müller è il capocannoniere dei Mondiali con 10 realizzazioni e la squadra termina al terzo posto. Il Pallone d’Oro non glielo toglie nessuno. Passano due anni e il 18 giugno 1972 la Nazionale tedesca è campione d’Eu­ropa. A Bruxelles si affrontano in finale Germania Ovest e Unione Sovietica. Finisce 3-0 e il bomber aggiunge due piccole perle a un già nutrito bouquet. Per lui viene coniato il soprannome che non è mai stato dato a nessuno: “Bomber der Nation”, inutile tradurre.

Al termine della carriera negli Usa, nei Fort Lauderdale Strikers

Il gran rifiuto – Nel 1973 prende corpo il grande sogno del Barcellona. Mettere insieme Cruijff e Müller, per dar vita alla più sensazionale coppia d’attacco di tutti i tempi. Solo pensarci, sembra fantascienza. L’olandese accetta, Gerd Müller anche, ma la Federazione tedesca si mette di traverso: nell’anno che precede l’organizzazione dei Mondiali in Germania, nessuno si deve muovere dalla Bundesliga. Un matrimonio, quello fra Müller e il Barcellona, che non s’ha da fare e che non si farà. Il bomber tedesco la prende molto male. L’anatema è pubblico e non ammette interpretazioni: «Vi regalerò il titolo mondiale, poi non metterò mai più piede in Nazionale». Il pomeriggio di domenica 7 luglio 1974, all’Olympiastadion di Monaco, Germania Ovest e Olanda si giocano la Coppa del Mondo. Segnano subito gli olandesi con Neeskens, su calcio di rigore. La Germania fatica, ma sempre su rigore pareggia con Breitner. Müller va su e giù in area avversaria per 45 minuti, sembra abulico e incon­cludente, le squadre sono as­sestate sull’1-1. Manca un minuto alla fine del primo tempo. Un pallone cal­ciato da Bonhoff filtra in area dalla de­stra, l’attaccante si muove in modo goffo e sem­bra aver perso il tempo giusto. Ma avere il baricentro basso e i fianchi larghi non è sempre uno svantaggio. Arpiona un pallone destinato alla difesa avversaria e poi inventa una mezza girata dalla corta distanza che sorprende tutti, anche il portiere olandese Jongbloed. Un altro piccolo gol dei suoi, il più grande di tutta la carriera. L’Olympiastadion di Monaco sembra franare sotto il peso dell’entu­siasmo generale. Nel secondo tempo l’Olanda non riesce a pareggiare: la Germania Ovest è cam­pione del mondo.

Il dado è tratto – Deve ancora compiere 29 anni Gerd Müller, ma quel che è detto è detto e indietro non si torna: lui in Nazionale non giocherà più. È un fatto di coerenza ma anche di risentimento personale. Nessuno è disposto a dargli i soldi promessi a suo tempo dal Barcellona e ci sono treni che nella vita di un professionista non passano certo due volte. Il rapporto con la Deutsche Mannschaft termina con un saldo decisamente attivo. 68 reti in 62 apparizioni con la maglia della Germania Ovest. Nel Bayern, Müller resta per altre cinque stagioni, vincendo praticamente tutto, in particolare tre Coppe dei Campioni e un’Intercontinentale. Ma con il tempo anche il rapporto con la casa madre si logora. Forse cominciano a mancare le giuste motivazioni, forse è insorto un certo inevitabile appagamento. Anche l’età calcistica comincia ad avanzare, per di più il Bayern Monaco ha scoperto un altro giovane fenomeno. Si chiama Karl-Heinz Rummenigge e pare che non abbia nulla da invidiare al collega di reparto. Un giorno di marzo del 1979, in una partita di campionato contro l’Eintracht Francoforte, il “bomber nazionale” viene sostituito anzitempo per «scarso rendi­mento».  

Go west – La separazione era nell’aria ma stavolta lo strappo è consumato. Gerd Müller deve trovare fortuna altrove e segue l’esempio di Franz Beckenbauer. Va a giocare nel Nuovo Continente. Non sarà un campionato di primo livello, ma gli americani pagano molto bene. Milita nei Fort Lauderdale Strickers e resta fi­no a 37 anni negli States, dove gli succedono cose belle e brutte. Apre una birreria e un ri­storante in Florida, rovina il proprio matrimonio e con l’andare del tempo si fa pren­dere dalla depressione e dall’etilismo. Torna in Germania all’inizio degli anni 90, si dice addirittura che sia scosso da propositi suicidi. Fuori dal campo, i tormenti personali non lo hanno mai abbandonato. Poi sembra ritrovare l’equilibrio smarrito, ma qualcuno nota che non è più il solito Gerd Müller. D’accordo, non è mai stato un allegrone, ma la carica vitale lo aveva sempre spinto in avanti. Lo aiutano in tanti, il Bayern Monaco gli affida il settore giovanile e nel corso degli anni lui lancia talenti come Lahm, Schweinsteiger e l’omonimo Thomas Müller.

Uno shock  – Nell’ottobre del 2015 si rende pubblica una notizia che addolora chi ama il calcio e i suoi grandi interpreti: l’uomo dei piccoli gol è affetto dal morbo di Alzheimer. Da allora vive in una clinica, fatica a riconoscere i vecchi compagni e ricorda poco del passato di calciatore. Ma anche stavolta i fans di Gerd Müller si aspettano da lui un colpo a sorpresa, una bella notizia. Un gol dei suoi. Uno grande, stavolta.

Diego Mariottini

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