Il primo a folgorarlo fu Maradona: Josè Chamot decise che sarebbe diventato un calciatore professionista a 17 anni, dopo aver visto le magie di Diego ai Mondiali in Messico ed aver trascinato l’Argentina sul tetto del pianeta. Più tardi sarebbe stato Dio a indirizzare tutte le sue scelte. Il n.3 come la Santissima Trinità portato sulle spalle, una vita da terzino tra Pisa e Lazio, dove a svezzarlo fu Zeman. Oggi Chamot, che ha anche vinto la Champions col Milan (entrò per un solo minuto nella finale con la Juve a Manchester) fa l’allenatore e non esclude di poterlo fare anche in Italia dove ha seguito il corso di Coverciano assieme a uno che ce l’ha fatta. Un certo Andrea Pirlo.
Il primo a credere che potesse esplodere fu Zeman. Chamot ricorda a Il posticipo: “Ho conosciuto Zeman ai tempi del Foggia. Mi è piaciuto il suo modo di lavorare, la sua personalità, come comunicava ciò che voleva ai suoi giocatori. Ho dato tutto per Zeman. Alla Lazio ci è mancato qualcosa, siamo arrivati vicini all’obiettivo, ma non abbiamo vinto. Il mister ci faceva sudare in allenamento, ma in partita ci divertivamo. Quando si è ben allenati, giocare è un piacere. Mi è sempre piaciuto essere ben allenato: per questo motivo mi trovavo bene con Zeman. Oggi io e il mister siamo ancora grandi amici”.
Dalla Lazio passò al Milan, dove trovò Ancelotti: “Carlo conosceva le qualità di ognuno e sapeva metterle insieme. Purtroppo Ancelotti ha dovuto prendere alcune decisioni contro di me: negli ultimi tempi al Milan avevo problemi ai tendini e ho giocato poco, ma ho accettato le scelte del mister. Ancelotti è stato sincero con me. I calciatori sono tanti, non si possono dire bugie: un allenatore deve essere sincero e realista sempre”.
Il suo vero allenatore però è sempre stato un altro: “La fede mi ha cambiato la vita, credo nella parola di Dio: l’ho cercato ovunque e sono stato sempre nella Chiesa cattolica. Quando passavo davanti a una chiesa sentivo sempre il bisogno di entrare, parlavo con Dio fin da piccolo. Quando sono arrivato in Italia ho passato momenti stressanti. Un giorno ho seguito in televisione un canale dove si parlava di Gesù: in quel momento è cambiata la mia vita e ho iniziato a camminare con lui al mio fianco. Dio è vita, senza Dio è impossibile respirare. Per me prima di tutto viene Dio, dopo vengono la famiglia e il lavoro”.
Col calcio giocato ha chiuso nel 2006 con il Rosario Central, poi – tra battute di pesca e l’hobby delle canzoni – ha deciso di dedicarsi alla carriera da allenatore tra Rosario, River Plate e Libertad Asunción dove ha vinto una Coppa del Paraguay. Nel tempo libero va a pesca sul fiume Paranà e sogna di allenare nel nostro campionato: “Ho seguito il corso qui, poi ho fatto qualche viaggio in Italia per parlare con Ancelotti e Zeman. A Rosario ho avuto il piacere di andare a trovare Bielsa a casa sua. A Coverciano ho avuto ottimi compagni di banco, gente come Batistuta. C’era anche Andrea Pirlo. Ognuno deve restare se stesso: a me non piace somigliare a qualcuno. Io voglio essere José Chamot. Mi piacerebbe allenare in Italia, ma bisogna lavorare per arrivare a certi livelli. Se ci sarà la possibilità di farlo lo sa Dio: tutto è nelle sue mani. Bisogna pregare e aspettare i momenti di Dio per tutte le cose”.