I ragazzi del quartiere Tamburi di Taranto giocavano in un campo pieno di una strana polvere grigia e rossa
Dic 24, 2022

C’è la storia dell’Italsider, poi diventata Ilva, la storia di una grande industrializzazione e di una grande inchiesta giudiziaria sul disastro ambientale, e c’è una storia che intreccia questa grande vicenda italiana.

La Spoon River dei campi di calcio in terra battuta sui quali si è scritto un pezzo della disastrosa parabola industriale del Mezzogiorno. Vite perdute e vite che resistono nella trincea della memoria raccontate attraverso la lente del calcio giocato in un quartiere-simbolo: i Tamburi di Taranto, il più vicino allo stabilimento siderurgico. “Ilva Football Club” è il romanzo scritto a due mani dai giornalisti tarantini Fulvio Colucci e Lorenzo D’Alò per la casa editrice salentina Kurumuny.

Su questa drammatica storia ha scritto un articolo “di presa” Alessandro Marescotti su “Il Fatto Quotidiano”.

I ragazzi del quartiere Tamburi di Taranto giocavano in un campo di pallone pieno di una strana polvere grigia e rossa. Il campo sorgeva a poche decine di metri dall’acciaieria ma tutti ci giocavano incuranti del pericolo. La polvere copriva il campo da gioco come un manto protettivo contro le cadute, specie quelle del portiere, si sollevava durante le partite e veniva respirata a pieni polmoni da tutti.

Il 17 giugno 2002 arrivò un camion dell’azienda municipalizzata Amiu. Fece pulizia. Cominciò a liberare il campo da quella polvere. Ma il camion non bastò, ne arrivò un altro e poi un altro ancora. Una fila di camion portarono via come spazzatura 654.980 chili di polveri dal campo di calcio del quartiere Tamburi. Quasi 655 tonnellate. Le 655 tonnellate di polvere vennero citate nel processo Ilva del 2007 dalla magistratura nella sentenza di condanna

Giocavano in un campo di pallone pieno di una strana polvere grigia e rossa

In quel campo di calcio non ci giocò più nessuno. Ma come mai quel 17 giugno del 2002 fu fatta pulizia dopo che per tanti anni genitori, pediatri, insegnanti, dottori della Asl, politici, sacerdoti e altre brave persone non avevano mosso un dito per fermare quel campo di calcio?

Fu un allenatore di calcio di buon senso che un giorno disse: basta, qui non si gioca più. E fece di tutto per chiudere il campo. Andò da sindaco di allora, Rossana di Bello. Portò le fotografie. E non si giocò più.

Ho incontrato quell’allenatore in edicola, stavo comprando il giornale e lui mi ha fermato per raccontarmi la sua storia. Sfidò i malumori di chi voleva continuare a giocare. La polvere se le respiravano senza sosta pur di vincere la partita. Il pallone prima di tutto. C’era chi si era abituato a rotolarsi nelle polveri avvelenate, respirandole a pieno polmoni. Ma lui, l’allenatore saggio, tenne duro. Il sindaco chiamò l’Amiu. Il campo venne chiuso.

Quando tra le collinette dei veleni dell’ex Ilva si giocava a calcio

Ora sappiamo come è andata a finire. La Carbonara, Ripiano, Papalia, De Tuglio, Andrisani, Guarino, Catapano, Casile, D’Alò, De Gennaro, Capozza. Era la formazione dell’Ilva Football Club. Sono tutti morti di cancro.

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