Aveva poco più di vent’anni il milanese Gianni Mura quando, fresco di tessera di giornalista professionista, scese in Lucania come inviato della Gazzetta dello Sport. Aveva iniziato come praticante (maturità classica in tasca e libretto universitario della facoltà di Lettere), e per fargli fare le ossa lo mandavano in giro a seguire le serie calcistiche minori.
Alla scoperta del boom di Matera, in una terra che sembra essere l’antiboom per eccellenza, i tufi, le pecore, così pensavamo e così si pensa comunemente al nord. Di Matera non si conosce molto e quel poco lo si deve al libro di Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli, che è senz’altro stato più utile a Matera di venti tavole rotonde e quindici congressi. Del Matera squadra di calcio ha parlato la TV: è l’unica squadra, fra tutte quelle di A, B, C e D, ad essere ancora imbattuta. Ha segnato 31 gol subendone 4. Ha la difesa meno perforata d’Italia, un gol in media ogni 405’, ha l’attacco terzo in Italia, dopo Milan e Pisa. Milita nel girone G della Serie D, e non è prima in classifica. È seconda, a un punto dal Savoia, che ha perso due partite, ma ha pareggiato di meno, cioè ha vinto di più.
L’allenatore è Ruggero Salar, triestino di Montefalcone. Lo chiamano «il Rocco dei poveri». Ha cinquant’anni. Cominciò a giocare a 16 anni nel Taranto, poi passò alla Triestina, otto anni di A, poi alla Roma, alla Lucchese, al Prato. Alt nel campionato ’49-50. Diventa allenatore. Alla Miranese, al Foligno – promozione in C -, al Chioggia, al Carpi, al Vittorio Veneto – promozione in C –, al Treviso, alla Mestrina, alla Lucchese, al Matera. Una lunga gavetta. Salar non è in sede, lo vediamo solo in fotografia: un metro e novanta, un buon quintale, faccia da burbero. I giocatori, quando parlano tra di loro, lo chiamano Bubù, in tono affettuoso. Bubù è un grosso orso, protagonista di cartoni animati. Il presidente è l’avvocato Francesco Salerno (Don Ciccio). È segretario provinciale della DC e presidente del consorzio per l’industrializzazione della valle del Basento. Uomo ancor prestante, mascella decisa. Ci riceve nel suo ufficio al consorzio (in via Cappelluti, nell’edificio che dall’angolo con via Torraca porta all’ex-palestra della GIL, ora sede di alcuni uffici della Regione Basilicata, n.d.r.); scavalchiamo con qualche scrupolo una trentina di postulanti.
– Lei è venuto per la squadra, vero? Meno male che si parla ogni tanto di Matera, sia pure per il tramite della squadra. No, io non penso alla promozione, ma siamo in gioco e dobbiamo stare al gioco. Gli sportivi se la sentono già in tasca, io preferisco andarci piano. So che molti in città pensano ad una specie di torta, pensano che le squadre campane favoriranno il Savoia. Io no, se non sono ottimista come gli altri è per motivi diciamo così logistici. Noi affrontiamo trasferte lunghe e faticose, in Lucania abbiamo solo altre tre squadre, Bernalda, Melfi e Policoro. Il Savoia, praticamente, a parte le trasferte in Lucania, quattro, gioca sempre in casa. Tutte le squadre campane del Girone sono infatti addensate sul tratto di autostrada Napoli-Salerno, mezzora di strada, e quando noi giochiamo fuori con la Turris, la Scafatese, la Battipagliese, la Paganese, la Nocerina, per fare alcuni nomi, è come se fossimo in casa del Savoia. Tanto più che i tifosi del Savoia hanno preso la bella abitudine, invece di sostenere la loro squadra, di venire a romper le scatole a noi.
– Ma la Serie C potreste permettervela?
– Sì, senz’altro. Svendendo giocatori, ricaveremmo almeno 100 milioni. Non abbiamo debiti nei confronti della federazione, né di consorelle. Solo qualche cambialetta, succede nelle migliori famiglie.
– Quanto costa un campionato di Serie D?
– Non molto meno di uno di C. Diciamo un centinaio di milioni.
– E come vi reggete?
– In media negli incontri casalinghi abbiamo quattromila persone. Una trentina di milioni ci vengono dal pubblico, sei dalla Provincia, cinque dal Comune, per gli altri si provvede. Mi piace sottolineare che siamo a posto, che tutti i giocatori hanno preso fino all’ultimo soldo, che nessuno economicamente può lamentarsi del Matera. Sì, sarebbe bello guadagnarsi la promozione. Potenza ha una squadra in B, e non può contare sull’afflusso di paesi vicini. Noi abbiamo Altamura, Gravina, Montescaglioso Ginosa…
Il Matera, per questioni amministrative, cessò l’attività nel ’55-’56. Sorsero in città squadre minori, la cui rappresentativa incontrò il Trani, in ritiro ad Altamura, alla vigilia del campionato ’64-65. Tornò la febbre del calcio, e don Ciccio si lasciò convincere a tentare l’avventura, con una squadra raffazzonata, nel campionato lucano di I categoria. Arrivati alla Serie D, don Ciccio diventa presidente: molto entusiasmo, la squadra si salva nelle ultime domeniche. L’anno dopo fa le cose in grande, assume l’allenatore Rambone. «Faremo parlare di noi» dice Rambone. Difatti se ne parla. È il primo allenatore d’Italia a far le valigie, dopo due domeniche dall’inizio del campionato. Il suo successore dura fino al quinto turno. Viene chiamato a reggere il timone il pescarese Enrico Di Santo, che già era stato allenatore nell’immediato dopoguerra. Con Di Santo le cose vanno meglio. È un vecchio saggio, un lavoratore infaticabile. Ora si occupa delle squadre giovanili, una è al primo posto del Trofeo Berretti.
– Alla vigilia di questo campionato – continua il presidente – abbiamo deciso di fare un buon campionato, il nostro pubblico lo meritava.
Il pubblico materano è ardente (l’anno scorso un’invasione di campo e un’aggressione all’arbitro) ma buono (l’invasione di campo si verificò durante Matera-Maglie del 13 novembre 1966, ottava giornata di andata del campionato ’66/’67, dopo che gli ospiti, sotto per 2-0, erano riusciti ad agguantare il 2-2: il Giudice Sportivo assegnò lo 0-2 a tavolino. L’episodio è stato rievocato di recente da Stefano Mele, giornalista e allora dirigente della società, nel libro Con il Matera nel cuore, p. 176). Di calcio non capisce molto – sostengono alcuni giocatori – però è continuo nell’incitamento. Qui non sono avvezzi ai grandi spettacoli calcistici, non hanno avuto modo, come si dice, di farsi il palato. Ma se il Matera vince, van tutti a casa contenti.
Fine prima parte
Fonte e immagini: “Matera Calcio Story”