La passione di “Don” Saverio
Feb 4, 2021

Il finale tragico della storia di quel presidente mi era sfuggito forse perché in quel periodo ero militare di leva e avevo altro cui pensare. Fatto sta che solo di recente ne ho letto del triste epilogo. Per seguire il lavoro degli operai che ristrutturavano gli uffici della sua concessionaria d’auto, il titolare era salito sul tetto del capannone, quando improvvisamente una lastra del solaio era ceduta facendolo precipitare al suolo da notevole altezza. Per Saverio Garonzi, 76 anni, il decesso fu immediato. “Trauma cranio-facciale e frattura del polso destro“, scrissero sul certificato di morte al pronto soccorso dell’ospedale di Borgo Trento, dove l’imprenditore giunse cadavere.

La vita di Saverio Garonzi meriterebbe d’essere raccontata in un film di neorealismo calcistico, tanti sono gli episodi, le avventure, i fatti, di cui “Don” Saverio si rese protagonista da quando a metà degli anni ‘60 prese in mano le redini dell’Hellas squadra della sua Verona. Era un presidente vecchio stile, impulsivo e autoritario. Tanto per capirci, faceva parte di quella schiera di presidenti padroni che riuscirono partendo da zero e a fare le fortune di piccole società di provincia, animati piu dalla passione per il “balòn” che per la fame di vil denaro fine a se stesso. “Un rigattiere che si è fatto da sé”, così amava definirsi senza mai rinnegare le sue umili origini scaligere nei primi anni del secondo dopoguerra. Un uomo determinato, un personaggio in grado di raggiungere il successo grazie allo spiccato senso pratico e alla capacità organizzativa e d’intuito.

Il merito di Garonzi fu quello di riuscire a dare una pianificazione alla società gialloblu, dotandola degli impianti sportivi di Veronello, centro sportivo oggi intitolato a suo nome e poi, valorizzando il settore giovanile. Inoltre, anche la formula di portare nel club scaligero giocatori quotati che garantissero al popolo dei tifosi una stabile permanenza in serie A, fu una mossa davvero azzeccata. La conferma della sua politica vincente è racchiusa in due affermazioni sportive di rilievo. La prima, quando il suo Fatal Verona sconfisse il Milan di Rocco e di Rivera quel 20 maggio del ‘73, rovinando ai rossoneri la festa, compreso quella del sottoscritto, per la conquista del decimo scudetto che andò perduto in quell’ultima di campionato e poi, conquistando l’accesso alla finale di Coppa Italia contro il Napoli nel ‘76. In quegli anni il nostro presidente rossonero del Thiene di Serie D, avvocato Gianni De Muri, ebbe modo di conoscere Luciano Garonzi personalmente durante kermesse sportive o trattative sui trasferimenti dei giocatori nell’ambito del calciomercato estivo.

Garonzi con il presidente del Thiene De Muri

Ancora oggi De Muri lo ricorda con piacere raccontandomi come fosse una persona affabile, simpatica e facendomi ammirare una foto ricordo in compagnia del presidente dell’Hellas, un giornalista sportivo e un concessionario d’auto di Vicenza fatta nel cortile della villa di Giussy Farina, allora presidente del Lanerossi, in occasione di un evento mondano. L’avventura di Saverio Garonzi alla guida del Verona Hellas iniziò nel 1965. Don Saverio, com’era denominato, impresse subito il suo carattere nella gestione del club gialloblu.

Gianni De Muri

Al suo fianco chiamò solo alcuni fidati collaboratori e cominciò a lavorare alla ricostruzione. Con lo svedese Liedholm alla guida della compagine, alla fine del terzo campionato, nella stagione 1967-’68, conquistò la promozione in A classificandosi al secondo posto dopo il Palermo.

Nel 1974, però, una telefonata all’attaccante Sergio Clerici, alla vigilia della partita con il Napoli, gli costò l’accusa d’illecito sportivo e la retrocessione della squadra in B. Un anno di purgatorio e subito il ritorno nel paradiso della A con l’allenatore Cadè. Assunse poi Valcareggi, ex ct della nazionale, arrivando, come abbiamo già ricordato, alla finale di Coppa Italia, ma purtroppo con la squadra scaligera sconfitta dal Napoli all’Olimpico il 29 giugno 1976.

Due “rose” del Verona insieme al presidente Garonzi

Stagione per Garonzi quella, segnata da una parentesi angosciosa: il sequestro subito la sera del 29 gennaio 1975, quando alcuni banditi lo rapirono. La prigionia durò nove giorni.

Fu rilasciato il 7 febbraio in provincia di Bergamo dopo il pagamento del riscatto: un miliardo e mezzo di lire. «Un miliardo e mezo, son rovinà», fu il suo commento, quando si presentò, stanco e con il volto tumefatto, per la prima volta in pubblico dopo la drammatica esperienza. La carriera di presidente Garonzi si chiuse in modo amaro con la retrocessione in B nel 1979-’80 e una squalifica per una polemica contro l’arbitro Menicucci. La rabbia gli era esplosa in occasione di una partita contro il Pescara causata da un rigore concesso dall’arbitro agli abruzzesi. Garonzi, già stressato e deluso da quel campionato disastroso, a fine partita andò, come si dice in veneto, «zò dal brentòn».

Garonzi nel Paluani Chievo

Ottenne come gratifica una squalifica a vita, poi commutata in due anni di fermo, che lo costrinsero però ad abbandonare il club gialloblu. Garonzi reagì come in ogni altra disavventura vissuta col solito piglio d’orgoglio e, contagiato com’era dall’assidua passione per il “balòn”, scontati i due anni, assunse la dirigenza del Paluani Chievo, squadra Interregionale dilettanti, dove pose le basi per l’incredibile ascesa nella storia calcistica di un borgo di Provincia che raggiunse in breve tempo la massima serie.

Giuseppe (Joe) Bonato

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