Esordì a Savona il 7 maggio 1967, poco più che ventenne. Avelino Moriggi, ruolo portiere, era smilzo e agilissimo, giocò 102 volte con l’Alessandria, più serie C che B. Aveva cominciato nella Novese, in serie D per poi passare proprio all’Alessandria vestendone la maglia per quattro anni.
Nel 1970-‘71 fu acquistato come riserva di Michelangelo Sulfaro dalla Lazio; esordì in serie A in Lazio-Torino (1-1). L’anno successivo, chiuso da Claudio Bandoni e Rosario Di Vincenzo, fu ceduto a novembre all’Arezzo per poi venire reingaggiato dalla Lazio nella stagione 1972-‘73. Con i biancocelesti vinse lo scudetto 1973-‘74. Nel 1975-‘76 giocò una gara in serie A. In quattro anni di milizia laziale, venne utilizzato in sei gare di Coppa Italia e tre di campionato. E in quella dell’anno dopo, con il tricolore cucito sulla maglia.
In allenamento a Tor di Quinto era perfino più forte di Pulici, la gente laziale e i compagni lo hanno molto amato per la sua grande e silenziosa professionalità. Un esempio per tutti.
(…) Prendete Avelino Moriggi, il portiere di riserva. Lo dico per i curiosi: nome particolare ma in fondo comprensibile, essendo nato il 10 novembre, in cui si festeggia Sant’Andrea Avelino. In cinque stagioni disputò solo tre partite di campionato e una sola volta, a Firenze, sostituì Pulici infortunato. Felice non mollò la porta, nell’anno dello scudetto, neanche per un minuto nell’ultima ininfluente partita di Bologna. Ma quel ragazzo di Cinisello Balsamo, serio e compassato, in allenamento parava tutto, anche più del titolare. «Con Pulici ho avuto sempre un rapporto ottimo, di lealtà e di amicizia. Lui è di Sovico, siamo corregionali. E sì, io mi sento campione d’Italia a tutti gli effetti. Non avrei mai immaginato di vincere uno scudetto dalla panchina, ma ho dato tutto in allenamento, mi sono sempre fatto trovare pronto. Il premio partita lo prendevo anch’io, seppure solo al 70%. E ho condiviso tutte quelle vigilie e quei dopo-partita esaltanti. Ero in stanza con Garlaschelli e questo mi ha tenuto anche lontano dalle beghe dei clan, sono stato amico di tutti». (…).
Racconta Moriggi: “C’era un rispetto diverso, quella Lazio non ti faceva sentire riserva, con Pulici c’era rispetto reciproco. Tante volte mi dicevo ‘perché resto qui?’, dicevo a Maestrelli ‘voglio andare via’. Lui rispondeva ‘no Moro, stai qui‘”. Nell’anno dello scudetto, aspettava il suo momento per entrare in campo nell’ultima gara con il Bologna. Ciò non accadde, ma per il 12: “Nessun problema, è bello anche così”. Il bilancio delle presenze per Moriggi è stato tutt’altro che confortante, ma ammette: ”Cinque anni e mezzo di panchine. Ho giocato pochissime volte con la Lazio, le ricordo tutte. Giocava sempre Pulici, era più forte, giusto così”.
Un gruppo a suo modo indimenticabile: “Tor di Quinto, porte piccole, spogliatoio A contro spogliatoio B, il gruppo di Chinaglia e il gruppo di Wilson. Nessuno voleva perdere mai, era guerra vera”.
Nel 1976-‘77 Moriggi venne ceduto al Novara, in serie B, e al termine di quel campionato pose fine alla propria carriera.