Ezio Pascutti, per tanti motivi, rappresenta il giocatore simbolo, l’icona ideale del calciatore del Bologna. Friulano di Mortegliano, classe 1937, si trasferì giovanissimo a Bologna dove esordì, segnando una rete, il primo gennaio del 1955. Calcisticamente cresciuto nel Pozzuolo, fu ceduto per 300.000 lire alla Saici di Torviscosa, squadra di quarta serie, prima di passare al Bologna nella stagione 1954-‘55 per giocare con la maglia rossoblu, la numero 11 dell’ala sinistra, fino al 1968-‘69, cioè per la bellezza di quattordici anni. Il Museo di Pignaca ci ricorda: 296 presenze e 130 gol segnati nella squadra che “Così si gioca solo in Paradiso”. Figlio di un falegname e di una bidella, cominciò come tutti i ragazzi, con le partitelle giocate nel campetto del paese, tirando più calci alle pietre che al pallone; nell’anno 1952 cominciò a giocare a Pozzuolo, squadra di prima categoria che si guadagnò la promozione grazie ai gol del giovanissimo Ezio.
Nell’estate del 1953 provò per l’Udinese che offrì una buona cifra per l’attaccante, ma il fratello maggiore Enea sconsigliò quella scelta optando per la Saici. In quella squadra Ezio conobbe Leskovic, acquistato anch’egli dal Bologna e prematuramente scomparso poco dopo, senza vestire mai i colori felsinei. Furono definiti una coppia d’oro; quell’anno Pascutti giocò sedici gare e realizzò tre gol. A limitarne il rendimento fu una cisti ad un ginocchio, primo di una serie di problemi alle articolazioni che avrebbero accompagnato tutta la carriera del campione. A portarlo a Bologna fu Gipo Viani nell’estate del 1954; tre milioni e mezzo alla squadra di provenienza e mezzo milione al giocatore. La famiglia avrebbe preferito che Ezio avesse proseguito gli studi tecnici, ma Ezio capì che era giunto il momento tanto sognato e decise di seguire Viani. Il primo anno giocò nella Juniores meritandosi la maglia della Nazionale di categoria, convocato da uno che se ne intendeva: Peppino Meazza.
Alla fine di quell’anno partecipò ad una tournée con la prima squadra in Danimarca e in quella occasione segnò la sua prima rete, seppur in amichevole. E presentò anche i suoi nervi, dando per la prima volta in escandescenze ed attirando i fischi del pubblico avversario. Ezio era un giocatore sanguigno, cattivo in campo e per i suoi atteggiamenti ebbe con i tifosi (anche i propri) un rapporto di amore-odio che ne caratterizzò la sua figura fino all’episodio della partita di Mosca, di cui parleremo in seguito. Esordì in serie A il primo gennaio del 1955, al Comunale contro il Vicenza; Bologna in vantaggio di un gol, tiro di Pivatelli deviato sul palo da Sentimenti IV, pallone che ritorna verso il centro raccolto di testa da Pascutti. Gol del raddoppio. Il primo d’una lunghissima, strepitosa serie. Viani divenne tecnico della Nazionale e fece esordire il grande Ezio in Nazionale, a Parigi contro la Francia.
Alla fine della carriera collezionerà 17 presenze e 8 reti con i colori azzurri. Nel Bologna continuerà a segnare valanghe di gol ed a fallirne altrettanti; il pubblico si divise in opposti schieramenti: critiche sballate e lodi sperticate. Continui incidenti (strappi e distorsioni) ne condizionarono la carriera; divenne un cliente fisso del professor Leonardo Gui, il “mago del ginocchio”.
Croce e delizia dei tifosi rossoblu fino alla gara giocata dalla Nazionale a Vienna nel 1962, dove realizzò le reti della vittoria azzurra; da quel momento, per l’attaccante azzurro, ci fu uno scoppio di celebrità, un bombardamento di applausi che portò l’ala rossoblu alla ribalta del mondo sportivo, come il vero eroe dell’anno. Quotidiani, rotocalchi, giornali di moda, giornaletti per ragazzi, tutti scrissero su Pascutti giocatore e su Pascutti uomo, che intanto si era sposato ed era diventato padre di due bambini.
Un vero divo. Il Pascutti giocatore, intanto continuava a prodursi continuamente in trance agonistica ed a schiumare di rabbia per far esplodere la sua carica vitale. Nell’anno dello scudetto fu coinvolto (innocente) nell’affare doping; lui, Pascutti, assatanato di tutto fu facilmente accusato di essere “dopato”.
Venne assolto come gli altri compagni di squadra da quell’accusa infamante. Un ennesimo infortunio lo priverà della finale dell’Olimpico contro l’Inter di Herrera, ma lo scudetto fu conquistato anche grazie ai suoi gol, segnati per la maggior parte di testa, la sua specialità. In seguito, a Mosca, contro l’Unione Sovietica colpì al volto il russo Dubinski; si parlò di vergogna nazionale, gli piovve addosso di tutto, una lunga squalifica, i berci di tutti i tifosi possibili e immaginabili d’Italia.
Il pubblico bolognese cominciò ad amarlo con convinzione. Lui di quella notte moscovita ricorda: “pagai per tutti, accusato di aver rovinato chissà mai quali rapporti diplomatici. Per tanto tempo fui discriminato dagli alti poteri del palazzo” Dopo i mondiali inglesi del 1966 poteva finire all’Inter; dove Herrera lo voleva a tutti i costi. In cambio sarebbe venuto a Bologna Gigi Riva dal Cagliari, ma all’operazione si oppose Angiolino Schiavio, e l’affare saltò. Una sua rete, proprio all’Inter, di testa a filo d’erba insieme al terzino Burgnich anch’egli proiettato in tuffo, divenne un’icona della storia del Bologna.; questa immagine è il simbolo di quel Bologna, di Ezio-gol.
130 gol, senza calciare mai un rigore o una punizione; l’ultimo a Ferrara il 3 marzo 1968. A trent’anni dovette abbandonare l’attività agonistica a causa dei troppi incidenti sopportati in carriera. Di lui resta il ricordo d quel grande esempio di attaccamento, di super-concentrazione che ne hanno fatto una bandiera. Una bandiera degna di appartenere alla formazione ideale rossoblu del secolo. Con il numero 11, s’intende.