Un altro pezzo di infanzia che saluta questa terra. Era già accaduto questa primavera, quando in modo improvviso e senza che si potesse chiamare un time out a lui tanto caro, il pacioso e rassicurante volto di Franco Lauro ci aveva lasciato. Nuovamente, come se non bastasse, un mese dopo, lo raggiungeva Beppe Barletti da Torino, voce grattata e da cronista impassibile eppur sempre carico di trasporto emotivo, che mi lega ai ricordi dei derby poveri ma ricchi di pathos a cavallo fra gli ottanta e i novanta, o ancora ai servizi di tarda sera dei primi turni di Coppa Italia, quando io, piccolo scolaro e fradicio di amore per il calcio, attendevo nonostante crollassi dal sonno di sapere se contro la Fidelis Andria avesse segnato il nuovo tedesco Andy Moeller: e Beppe mi guidava dall’immaginazione al reale con la sua intonazione cantilenata alla visione della cosa più bella: il gol. Adesso tu, come cantava Eros nei suoi anni di maggiore successo televisto. Quanti sabati mi hai fatto compagnia al ritorno da scuola mentre pranzavo, introdotto da un pezzo galattico dei Pink Floyd che ho scoperto solo esser loro molto in là, perché per me era la sigla di Dribbling e basta.
E poi le sintesi delle partite la domenica pomeriggio, quando riconoscevo gli scudetti di ogni squadra senza avere ancora l’età per saper leggere, nell’attesa spasmodica di scoprire quale fosse il match clou scelto da te e Gigi Riva, che su due sedie alla ben e meglio commentavate di sbieco.
E ancora la domenica sera il ripasso dei gol del pomeriggio con un altro capolavoro di tempi e di sigla che era Domenica Sprint. Il televisore senza telecomando del salotto rimaneva acceso a dettare i tempi della cena per poter vedere tutto, tanto mamma si era arresa ed anzi, sapeva tutto anche lei, da Van Basten a Careca, passando per Skuhravy e Aguilera.
L’apice della tua missione per noi appassionati lo raggiungesti con le infinite ore di trasmissioni da Saxa Rubra per il Mondiale nostrano, a lanciare genuine interviste di Furio Focolari e di un Gianni Cerqueti alle prime armi, per poi fare da aperitivo al piatto forte di Brunone Pizzul in diretta dall’Olimpico ebbro di gioia.
E’ buffo sentirsi così legati a personaggi più che a persone. Ma questo divario è colmato dall’autentico amore per uno sport che ci rende intimi con persone sconosciute.
Siam tutti uguali e diversi, ognuno con le sue sensibilità però non potrà esimersi dal ricordare quando il mercoledì era l’unico e inebriante giorno di Coppe, le tre Coppe, e tu presentavi i riflessi filmati delle partitte disputate al pomeriggio (sì, le Coppe col sole, che immagine inesorabilmente datata) per chi rientrava a casa e si accingeva a terminare quella giornata che tanto ci condizionava la settimana, mettendosi in pantofole e pigiama per quel che restava la sera fra Uefa e Campioni, diretta o differita, ma rigorosamente ignari.
Adesso invece siamo pienamente consapevoli che tutto questo non c’è più. A dire il vero ormai da molto tempo ti eri defilato, probabilmente stanco e coscienzioso che quello non era più il pallone che volevi raccontare: troppo bulimico, troppo dozzinale, troppo propinato.
L’avvento delle tv a pagamento ha realizzato ciò che Renato Pozzetto vaticinò in un suo celebre film, quando, nei panni di Artemio il campagnolo, ammoniva i paesani desiderosi di vedere ogni giorno passare il treno, che: “eh no, dopo altrimenti ci si abitua a vederlo troppo e non è più bello”.
Tu andandotene ce lo hai rinfrescato, come facevi lanciando un servizio. Sappi però, caro Gianfranco, che il timbro della tua voce rimarrà ben salvato in uno dei miei cassetti della memoria, uno di quelli più preziosi, quello che archivia le emozioni legate al gioco che ci lega più di ogni altra cosa alla vita vissuta da eterni fanciulli.
Marco Murri