Per Sansone, giudice d’Israele unto dal Signore, i capelli erano tutto. Da quelli derivava, secondo la Bibbia, la sua forza immane e soltanto Dalila, usando le arti della seduzione, riuscì a scoprire il segreto e a tagliarglieli. I capelli, simbolo antico ma contraddittorio: se nella Bibbia sono motivo di forza, negli anni ’60 vengono guardati con sospetto da tante mamme e papà all’antica.
I capelli lunghi sono ribellione, disordine, maledizione, sesso, droga e rock’n roll. E se un campo da calcio può essere esauriente metafora di vizi e virtù, ecco che capello lungo e pallone sono un binomio che merita di essere raccontato.
I capelli lunghi sono provocazione e ostentazione, sberleffo e identità, biglietto da visita e dichiarazione di superiorità di chi può permetterseli.
Già, perché non sono da tutti: se corri per novanta minuti eseguendo alla lettera ogni dettame del mister è meglio se ti presenti in campo con i capelli da bravo ragazzo. Se invece l’allenatore lo mandi a quel paese e sonnecchi per un tempo e mezzo ma alla fine ne scarti due e la metti dentro, ecco allora puoi anche liberare la chioma svolazzante.
Mario Kempes
Al primo erroraccio, ovvio, ti urleranno “tagliati i capelli cretino!”, ma quando farai il fenomeno vedrai spuntare come funghi ragazzini che non andranno per un bel po’ dal parrucchiere e ragazzine che ti guarderanno con occhi persi d’amore. E’ quel qualcosa in più che va saputo portare. Claudio Caniggia volava sui lunghi capelli biondi, prima di lui un altro maestro di tango, Mario Kempes, aveva vinto un Mundial con tanti gol e tanti capelli. Negli anni ’70 c’erano i Beatles del pallone, gli olandesi che abbinavano con spensieratezza basettoni e capelli lunghi, seguiti a ruota in Italia da Bellugi, Boninsegna, Agroppi e Albertosi,in Germania prima da Netzer poi da Breitner, in Inghilterra da Best e Kevin Keegan, perfino nell’ordinata Svizzera da Alan Sutter, ve lo ricordate ai Mondiali del ‘94?
E il capello lungo è entrato a pieno titolo nel linguaggio calcistico: Centofanti era simbolo delle chiome all’italiana primi anni ’90 che si abbinavano a jeans a vita altissima, Lalas rappresentava il capello lungo country made in Usa, poi è arrivato il modello africano trecce e treccine per tutti i gusti a partire da Gullit, così come un posto nella storia ce l’avrà per sempre il codino divino di Roberto Baggio.
Ce ne sono tanti, tantissimi, e tutti sono qualcosa in più di semplici calciatori: da Eli Ohana a Carlos Valderrama, da Marco Etcheverry a Socrates, da Zamorano a Henrik Larsson fino al divertentissimo Leonardo Cuéllar.
Capelloni di ogni nazionalità e latitudine, destri e mancini, attaccanti e difensori, fenomeni e bidoni, a volte con la pancetta e le gambe storte. Campioni sul campo, personaggi da raccontare soltanto perché non si tagliavano i capelli.
O, forse, soprattutto per questo. Bello, in ogni caso, ripensarli. Soprattutto quando in tv passano creste improponibili e mèches improbabili, ovviamente sopra un fisico perfetto, che fanno venire voglia di cambiare canale.
Marco Vailati