Consultando la Treccani, troviamo la locuzione di origine gergale “tirare un bidone” per indicare una vendita di merce scadente ma data per buona. Ora, siamo onesti: Carsten Jancker alla fine passò alla corte del patron Pozzo per “appena” 2,5 milioni di euro, una cifra giudicata alta con il senno di poi ma non riconducibile ad un vero furto… eppure fu tanta la “spazzatura” esibita senza vergogna dal centravanti tedesco in maglia bianconera. Però prima, se permettete, facciamo un passo indietro e andiamo a comprendere il perché all’attaccante tedesco venne affibbiato il soprannome di “panzer”.
Ecco allora che ritorna utile l’enciclopedia italiana e sfogliando le sue pagine esce fuori la definizione, in uso figurato, di una persona molto decisa e risoluta che avanza scavalcando qualsiasi ostacolo. Bene, questa sembra ancora più appropriata per definire Jancker e soprattutto i suoi 194 cm per la bellezza di 93 kg portati in giro nei vari impianti sportivi. In fondo l’accostamento al carro armato tedesco, seppur magari poco fantasioso, calza a pennello per indicare un calciatore che amava dominare l’avversario.
Nel gioco aereo? Beh, nella maggior parte dei casi sì, ognuno sfrutta le proprie doti migliori, ma non crediate che Carsten abbia fatto dell’incornate la sua unica arma letale… non era mica un Oliver Bierhoff qualunque, o no? Spalle alla porta, duro contrasto con il marcatore di turno e poi lancio della monetina: se esce testa, Jancker vince il duello e di destro in diagonale beffa il portiere sul palo più lontano, altrimenti croce e non gli rimane che riprovarci.
Cosa usciva più spesso? Diciamo che la sua carriera ha visto momenti alti e bassi, solo che con i primi non si sono mai raggiunte prestazioni individuali da capogiro, mentre con i secondi il buio che pervadeva le sue giocate era pesto.
In azione in Piacenza-Udinese
Stagioni di oscurità prolungata senza veder mai una luce in fondo al tunnel si alternavano a campionati discreti o comunque capaci di metterlo in risalto. Poco più che ventenne fu giudicato acerbo per la Bundesliga e allora ci pensarono i vicini austriaci a coccolare e valorizzare quel bambinone dal viso imbronciato; al Rapid Vienna fa sette gol in campionato ma soprattutto sei in Coppa delle Coppe, diventando (insieme a Bebeto) il miglior marcatore di quella edizione. L’8 maggio del 1996 la finale è tra i biancoverdi e il Paris Saint Germain non ancora qatariota: solo il gol francese di N’Gotty (altra meteora ai confini del “bidonaggio” passata nel nostro paese, seppur decisiva… per info riguardarsi la Serie A 1998-’99) impedì a Konsel e compagni di completare un’impresa unica.
La squadra scese in campo con ben nove elementi su undici di nazionalità austriaca e le uniche eccezioni riguardarono il compianto Trifon Ivanov e appunto Jancker. Una sola stagione a buoni livelli, con l’ottimo passepartout europeo, bastò a Carsten per conquistarsi la fiducia del Bayern Monaco che lo prelevò mettendolo alle dipendenze del Trap. Primo anno a fari spenti, colpa anche di un difficile inserimento, poi stagioni vissute ad un livello medio ma accettabile. Nel ’99 vede sfumare all’ultimo minuto la conquista della Champions in quella notte folle contro lo United; nessun problema, due anni di attesa e arrivò la coppa dalle grandi orecchie battendo il miracoloso Valencia.
Nell’ultimo atto a San Siro Jancker non parte dal primo minuto ma subentra nella ripresa, propizia il rigore del pareggio tedesco e soprattutto riesce a tornare a casa con il trofeo più importante a livello di club. Ottimo modo per riscattarsi dall’estate del 2000 quando, con la sua nazionale, partecipò ad un europeo disputato in maniera indecorosa che vide i teutonici impotenti nel difendere il titolo conquistato quattro anni prima. Il 2001-’02 dovrebbe essere un anno di conferme per Carsten ma, coppa intercontinentale a parte (anche sta volta entrò dalla panchina), non riesce neppure a fare una rete in campionato… troppo poco per chi ha un posto nell’imminente mondiale da conquistarsi. Nonostante lo score dei gol lasciato vergine viene convocato per l’avventura nippo-coreana, mettendo pure un sigillo nella gara di esordio contro l’Arabia Saudita conclusa con il risultato inappuntabile di 8 a 0.
Nella stagione che porterà la Juve a vincere l’ennesimo scudetto e il Milan sul tetto più alto d’Europa, Jancker sbarca nello stivale vestendo la maglia dell’Udinese. Come già scritto, la cifra non è esagerata e dalle parti del Friuli si ha l’impressione di aver messo a segno un colpo. Le convinzioni si ripercuotono pure su una moltitudine di fanta-allenatori che decidono di puntare forte sull’annata del gigante calvo… vi avviso, ormai la truffa è andata in prescrizione e non potete più fare rivalsa per gli ingenti danni ricevuti in quel campionato.
E pensare che la presentazione fu priva di timori: “Bierhoff? Non temo il suo fantasma e sono convinto che farò meglio di lui!”, disse il neoacquisto ai giornalisti che forse, prima di altri, avevano capito l’imminente flop. Ma non basta perché a tuonare, tirando giù un altro sproposito, ci pensano le parole di Rumenigge: “E’ meglio di Bierhoff perché Carsten sa usare anche i piedi”. Quell’Udinese lì si trova cronologicamente a metà fra quella divertente e in un certo senso vittoriosa targata Zac (e il suo tridente Amoroso-Bierhoff-Poggi) e la straordinaria truppa guidata da “Padre” Guidolin e capitanata da Di Natale.
Jancker parte titolare ma giornata dopo giornata sembra sempre più estraneo dalle azioni di gioco; lento, macchinoso e a tratti svogliato… la prima stagione è un pianto.
Si sblocca alla decima contro il Chievo segnando il 2 a 0 dei padroni di casa; i clivensi accorciano con Bierhoff (… incroci del destino) ma alla fine si arrendono ai friulani. Finalmente la scossa giusta per sbloccare l’attaccante inceppato? No macché, rimarrà il primo e unico gol stagionale in A, al quale seguiranno prestazioni flop, un infortunio che gli costerà due mesi di stop e la concorrenza di Iaquinta, con il calabrese che avrà la meglio. Valigie pronte? Non ancora perché la società vuole dargli rinnovata fiducia e lo ripresenta nella rosa dell’anno successivo ma questa volta con i gradi della riserva. Si spera di motivarlo, di spronarlo a cercare un riscatto sportivo e umano ma Jancker quando gioca, poco e male, ha l’imprevedibilità di un bradipo. Lo stesso Pozzo si stanca e dice basta: “Ho avuto fin troppa pazienza con lui… è venuto in Italia solo per fare il turista”.
Questa volta sì, i bagagli vanno fatti e anche in fretta; torna in Germania ma rimanendo coerente con le prestazione viste in Italia… gol frequenti come la cometa di Halley. Allora non rimane che riabbracciare l’Austria, quel suo unico amore corrisposto che lo mise in evidenza: le ultime due stagioni con il Mattersburg sono almeno dignitose. D’altronde Jancker fu un calciatore così, capace di illudere i tifosi dando l’impressione di essere un top player per poi sciogliersi come neve al sole; un po’ come quella partita di qualificazione per il mondiale del 2002, giocata tra Germania e Inghilterra il 1 settembre del 2001… Carsten apre le marcature e poi i rivali ne fanno cinque!
Luca Fazi