Franco Lanzetti oggi è un simpatico e brillante signore ultrasettantenne che vive a Roma e dopo aver svolto per lungo tempo la professione d’insegnante di educazione fisica ed essersi occupato della gestione di impianti sportivi, è consulente della Regione Lazio. Ma per tutti gli sportivi vercellesi, resta il signor Lanzetti di Viterbo, l’arbitro del leggendario spareggio di Torino tra Pro Vercelli e Biellese del 6 giugno 1971, insomma, l’uomo della monetina (che decretò la promozione in C dei bianchi) che noi abbiamo rintracciato dopo una fortunata ricerca.
Lanzetti, partiamo dall’inizio.
Quando ha incominciato ad arbitrare?
“Avevo 18 anni. Ho fatto tutta la trafila e sono arrivato alla serie B, dove ho diretto 58 gare. Ho smesso nel 1979, all’età di 36 anni.
Essere stato scelto per il delicato spareggio Pro Vercelli-Biellese, significa che allora era molto quotato. A Novara diresse Gino Menicucci di Firenze, mica uno qualsiasi.
“Venivo da cinque stagioni in serie D, nel corso delle quali ero andato bene. Tanto è vero che la stagione successiva allo spareggio sono stato premiato con il Seminatore d’Oro di serie D. In lizza c’erano fischietti come Gino Menicucci e Luigi Agnolin. Tra l’altro, dopo lo spareggio sono stato promosso e poi ho ricevuto anche il Seminatore d’Oro per la serie C”.
Veniamo alla designazione fatale.
Avevo ben diretto il Torneo delle Regioni e mi chiamò l’allora designatore Cesare Jonni di Macerata, arbitro famosissimo, e mi disse: ‘Come premio ti assegno questo spareggio, il primo è finito pari’“.
Così iniziò l’avventura.
“In effetti, era un grosso premio, perché avrei diretto una gara allo stadio Comunale di Torino, un campo importante dove giocavano abitualmente Juventus e Torino”.
La prima impressione quale fu?
“Fantastica. Arbitravo al Comunale di Torino, di fronte a una folla straripante. Non capitava facilmente di dirigere una gara di serie D davanti a un pubblico così numeroso”.
Nelle nostre ricerche, non siamo riusciti a scoprire chi erano i due collaboratori.
“Confesso che non ricordo i loro nomi. In serie D, non c’erano le terne fisse. L’arbitro arrivava da una sezione, io da quella di Viterbo, i collaboratori da altre parti d’Italia. Solitamente erano scelti nella regione limitrofa. Infatti, mi pare, fossero di Milano, comunque lombardi”.
Era la prima volta che arbitrava con loro?
“Sì, li incontrai nello spogliatoio mezz’ora prima e dissi le solite cose che si raccomandavano in quei casi. Come avveniva tutte le domeniche. I segni d’intesa che dovevamo darci”.
Che partita fu?
“Devo dire che fu un match molto corretto. Le due squadre gettarono sul terreno di gioco fino all’ultima goccia di sudore. Erano due formazioni molto motivate e non si risparmiarono di certo. Del resto la posta in palio era altissima. Come ho detto prima, ho diretto anche in serie B e molti incontri decisivi di C ma per me quella resta ‘la partita’, in assoluto”.
Sul piano tecnico che impressione ebbe?
“Mi sembrarono due formazioni molto dotate tecnicamente. Soprattutto per me che abitualmente dirigevo gare nel centro-sud dove a prevalere era solitamente la grinta, la foga. Più battaglia e meno tecnica. Qui, invece, le squadre dialogavano bene, c’erano buone trame. Due ottime squadre, molto ben preparate, sul piano tecnico e fisico”.
Poi, si arrivò al momento fatale.
“Ricordo che, improvvisamente, sul Comunale scese il gelo, nonostante la calura di quel pomeriggio di giugno. Un silenzio irreale, dopo le grida e le urla di incitamento che avevano accompagnato i centoventi minuti del match”.
A quel punto, lei tirò fuori i famosi cinquanta vecchi franchi francesi.
“Esattamente. Quella monetina faceva parte del resto che mi era rimasto in tasca, dopo una gita fatta a Parigi con Francesco Oddo, mio compagno all’Isef, padre di Massimo. Francesco in seguito ha allenato diverse squadre di serie B”.
Come andò?
“Con me c’erano i due capitani, i due guardalinee, il dirigente del Torino, società che aveva organizzato l’evento, mi pare fosse Beppe Bonetto, e il funzionario della Lega. Fu Bruno Rossi, il capitano della Pro, a scegliere testa. Feci subito annotare la scelta per iscritto al funzionario di Lega. ‘Non si sa mai’ pensai. Poi lanciai in alto la moneta. Quando cadde a terra, il funzionario si abbassò per vedere l’esito e io mi chinai come si nota dalle foto dell’epoca. Rossi, però, fu il più lesto. Vide subito che era testa e, mentre noi stavamo ancora controllando, compì quel balzo che è entrato nella storia e che non scorderò mai. Il resto lo sapete meglio voi. Esplose una gioia indescrivibile. Fu una grande festa che poi, ho letto, coinvolse l’intera città”.
Che fine ha fatto quella moneta?
“Qualche anno dopo sono venuto a dirigere la Cossatese, a Cossato. Ho incontrato un dirigente della Pro e l’ho regalata a lui. Non so dire chi fosse”.
Così la storia della monetina s’ammanta di una nuova leggenda.
Bruno Casalino