Quando penso chi possa essere additato come esempio del calcio nostrano per le giovani generazioni non ho alcun dubbio a riguardo: Gaetano Scirea. Un fuoriclasse raro, inarrivabile, che colloco nell’olimpo del calcio italiano a fianco degli altri due “liberi” per antonomasia, Giacinto Facchetti e Franco Baresi. Ma come uomo, non me ne voglia nessuno, lo colloco in cima. Esempio inimitabile per serietà e dedizione verso la Juventus e la Nazionale italiana.
Con le sue 552 presenze in bianconero Gaetano Scirea non ha mai conosciuto l’onta del cartellino rosso.
La sua arma migliore era anticipare l’avversario preservandone l’integrità fisica. Proveniente dal vivaio atalantino, dove fece tutta la trafila delle giovanili orobiche, disputò due campionati nella massima serie con 58 presenze e una rete prima di approdare in bianconero.
E vi rimase quindici anni. Negli anni ’80 smisero di giocare Zoff, Platini e Cabrini, si trasferirono ad altra squadra Boniek (Roma) e Tardelli (Inter) ma Scirea concluse la carriera a Torino. Subito dopo, conoscendone le doti, la Juventus gli offrì il ruolo di dirigente che accettò senza pensarci su due volte.
Nei tre lustri che vestì bianconero vinse tutto il possibile, diventando campione del mondo nel 1982 in Spagna con la nazionale di Enzo Bearzot. Nato nel 1953 a Cernusco sul Naviglio (Mi) da una famiglia di operai fu scelto da un osservatore dell’Atalanta mentre giocava all’oratorio.
Nel 1974, anno del suo debutto con la Vecchia Signora, alla guida della squadra piemontese figurava Giampiero Boniperti mentre la conduzione tecnica era affidata a Carlo Parola, famoso per la rovesciata acrobatica. La dirigenza bianconera a onor del vero potè contare fin da subito sulle ottime prestazioni del giovane Scirea ma soprattutto sul comportamento esemplare dello stesso.
In verità l’arrivo di Gaetano fu preceduto dalle buonissime referenze dell’allora presidente atalantino Achille Bortolotti. L’inizio della carriera di Scirea ad alti livelli fu entusiasmante. Vinse subito tre campionati su quattro affiancati anche dalla conquista dell’allora Coppa Uefa al secondo anno. In dieci anni divenne il capitano della Juventus e non lo divenne prima solamente per la presenza in squadra di Dino Zoff da cui li legava una fraterna amicizia anche tra le rispettive consorti.
Ma il rispetto delle persone il ‘capitano’ se lo guadagnò soprattutto nel giorno più difficile nella storia della Juventus. Eroiche le parole pronunciate allo stadio Heysel di Bruxelles il 29 maggio del 1985, quando 39 spettatori morirono schiacciati e asfissiati dalla calca provocata dai tifosi del Liverpool. Dopo oltre un’ora e mezza di rinvio per i disordini, prima di iniziare la finale valevole per la Coppa dei Campioni, Scirea parlò al pubblico juventino rimasto sugli spalti: “La partita verrà giocata per consentire alla polizia di organizzare la protezione durante l’uscita dallo stadio. Non rispondete a provocazioni, restate calmi, giochiamo per voi”. La Juventus vinse quella finale ma i suoi giocatori, scesi in campo ignari della gravità dei fatti, non la considerarono tale e non la considerano tuttora come una loro vittoria. Nella stagione 1989/1990 alla conduzione di Madama ci sono Dino Zoff e Gaetano Scirea.
Nel mese di settembre la Juve viene sorteggiata al primo turno valevole per la Coppa Uefa con i polacchi del Gornik Zabrze. Gaetano è chiamato a vedere sul campo e a relazionare i prossimi avversari di Coppa e si reca in Polonia. Nel viaggio di rientro l’auto sulla quale viaggia viene tamponata da un furgone che ne determina l’incendio a causa di quattro taniche di benzina contenute nel baule della vettura.
Inutili i soccorsi per cercare di salvarlo. Persero la vita tre passeggeri tra cui appunto il capitano di tante battaglie e l’uomo esemplare che tutti conosciamo. Una morte improvvisa e se vogliamo assurda, lontano dal paese che amava tanto e di cui era orgoglioso.
Dal 1990 una delle curve dello stadium è denominata Scirea e lo resterà per sempre.
Un vuoto incolmabile quello lasciato da quest’uomo straordinario che ha lasciato il proprio testimone nelle mani della moglie Mariella Cavanna e del figlio Riccardo, entrato a far parte e, non avrebbe potuto essere diversamente, della famiglia Juventus.
Dario Barattin