Serse era ormai da anni sulla panchina perugina, in quella squadra umbra destinata a ricucirsi il suo piccolo spazio nell’elite del calcio, quando ricevette la telefonata: “Mister, guardi che Lauro è peggiorato… se riesce a venire… sarebbe importante”. Il tecnico non se lo fa ripetere due volte perché il raggiungimento della Serie A è stato sì il risultato di mille lotte in campi privi di erba e con le reti bucate… ma in particolar modo di giocatori allenati con i quali si è creata una sintonia familiare e rivolta all’eternità. Ad Arezzo, prima occasione per fare sul serio, ne aveva incontrati diversi di ragazzi in maglietta e calzettoni ma tra questi vi era uno più degli altri che Cosmi teneva sempre nei suoi pensieri e, perché no, pure in qualche preghiera. Lauro Minghelli e il mister si vedono per la prima volta nel 1995, proprio nella squadra amaranto; il primo è già una bandiera di una società che nei precedenti ventiquattro mesi era dovuta ripartire dal fallimento… il secondo invece, un ex calciatore passato solo per le serie inferiori umbre, ma in rampa di lancio come guida tecnica.
Lauro vestiva la maglia dei toscani già da due anni, quando la Serie D divenne una sentenza da tribunale e occorreva ripartire con giovani di belle speranze. Nato libero, si trasformò poi in un centrocampista a tutti gli effetti dato che il tocco gentile non gli mancava di certo. Minghelli veniva dalla primavera del Toro, da sempre fiore all’occhiello per molti giovanissimi, e lì era stato capace di vincere due campionati consecutivi insieme a dei compagni di assoluto livello, uno su tutti, Christian Vieri. Con l’Arezzo c’è da farsi le ossa e dopo dei campionati dilettanti conclusi ben sotto le aspettative, arriva l’anno della svolta con la stagione ’95-’96. A dire il vero il Mingo, come viene affettuosamente soprannominato, si trova a combattere su due campi: quello dal manto erboso e quello della vita, dove spesso ci si trova in trasferta e con un gol da recuperare. Servono due interventi per sconfiggere un tumore ma alla fine esce vincitore e torna a lottare con i propri compagni. Le cure e tutte le precauzioni del caso lo hanno in parte minato fisicamente e soprattutto nel numero di presenze (… quante gare saltate durante la riabilitazione che avrebbe voluto giocare!), eppure nello spirito resta sempre lo stesso, con il sorriso stampato di chi alle difficoltà non si piega e mette sempre avanti la voglia di vivere. Arriva la C2 e si sogna di tornare dove l’Arezzo e i suoi ragazzi meriterebbero, ma la strada è in salita.
Non per la rosa aretina che, tempo un biennio, ottiene pure il pass per la C1, ma per Lauro, ancora una volta faccia a faccia con il destino. Minghelli inizia la stagione ’97-’98 ma non potrà concluderla. Da tempo avverte forti dolori alla schiena che lo costringono più volte a fermarsi durante gli allenamenti così, dopo diversi controlli e un viaggio negli States, arriva il drammatico responso: si tratta di Sla. Il calciatore ha appena venticinque anni e questa volta è costretto ad appendere gli scarpini al chiodo; avrebbe dato l’anima per riscrivere il punteggio di quel match extra-campo ma certe sfide sono già decretate in partenza e brutalmente archiviate. C’è solo da alzare la testa, ancora una volta, e accettare la sconfitta solo nei numeri ma non nella prestazione… allora ecco che Mignani gioca la sua partita migliore.
Dal giorno in cui scopre il nome dell’avversario fino all’ultimo respiro, non spreca neanche minuto e continua a sorridere alla vita, trovando il colore pure nei momenti più grigi. L’Arezzo gioca e vince la finale play-off nel ’98 contro lo Spezia: Lauro vorrebbe unirsi ai suoi compagni, l’ufficio inchieste dice no ma i compagni (bomber Pileddu su tutti, tanto da prendersi una squalifica) si rifiutano a quel regolamento assurdo.
Il talento di Balducci apre le marcature con un gol di tacco (ribattezzato da Cosmi “il tacco di Dio”), poi sarà 2 a 1 finale per gli amaranto: l’Arezzo torna in C1 dopo cinque anni dal fallimento. In toscana il presidente, a lunghi tratti contestato, è nientemeno che Ciccio Graziani; per lui Lauro vale come un figlio, non a caso è l’unico di quella squadra (dove militano pure Tardioli e Di Loreto, futuri acquisti del Perugia) ad essere invitato a pranzo in casa del campione del mondo 1982. Non è un caso anche perché in rosa c’è Gabriele Graziani (figlio di Ciccio) con il quale Lauro stringe un profondo rapporto di amicizia.
Dopo la diagnosi, Minghelli perde gradualmente la capacità di correre e muoversi liberamente… che ironia per uno venuto da Maranello, dove la velocità è un must. Si trasferisce in Brasile, aiutato da un clima favorevole e da uno spirito gioioso che può solo che fargli bene; la gente del posto ha ben poco, una moltitudine di persone naviga nella povertà più assoluta eppure non esiste la tristezza. Minghelli avrebbe dei motivi per esserlo, invece prende spunto e passa gli ultimi periodi ancora una volta, se non fosse stato chiaro, a testa alta (come il titolo del libro a lui dedicato).
Ogni volta parte dall’Italia con una valigia piena solo del necessario per poi tornare con molto meno del carico iniziale: “Vestiti e quant’altro servono più a loro che a me”. Minghelli regala, maglioni come sorrisi, a chi vede in difficoltà. Il corpo poi si fa sempre più immobile, mentre la testa è lucida e viaggia di continuo; ripensa a quando era piccolo, alla scuola per la quale non era poi così portato contrariamente al pallone, da sempre suo fedele compagno.
Sarebbe potuto salire ancora di categoria ma non era questo l’unico scopo della sua vita: gli bastava avere quella sfera tra i piedi e il necessario per vivere… il resto solo sovrabbondanza.
Alla fine quel 15 febbraio del 2004 e quel policlinico di Modena, nel quale Lauro esalò gli ultimi respiri; c’era pure mister Serse a salutarlo, arrivato giusto due minuti prima del decesso. Come se Minghelli si sentisse in dovere di aspettare quell’allenatore dal quale ha ricevuto tanto, dando però molto di più.
Qualche ora prima si era spento pure il Pirata, Marco Pantani; due sportivi diversi ma uniti non solo dalla stessa regione di provenienza quanto da una fine tragica. C’è una curva per Lauro che ora porta il suo nome e tanti tifosi che non smettono di ricordarlo nei loro cori… ecco come si diventa immortali. Spero che lassù ci sia per te un enorme Brasile ad abbracciarti.
Luca Fazi