“Il mio calcio è quello di Baresi, Gascoigne, Di Livio, Nunziata, Roberto Baggio. Quello di George Best, magari quello mio. Ma di gioia, allegria e di un attimo di follia sinceramente non ne vedo più”
(Felice Centofanti)
Se c’è stato un terzino sinistro che non ha passato gli anni ’90 da inosservato, questi è stato Felice Centofanti. Tutti lo ricordano per la lunga criniera riccioluta e nera, il pizzo da Dartagnan e la botta di sinistro che fece la gioia dei suoi tifosi.
Esplose ad Ancona, nell’anno della prima storica stagione in serie A. Quella del 1992–’93, in cui, nelle Marche, giocavano Zarate senior e l’ungherese tronfio Lajos Detari, dove il condor Massimo Agostini segnava senza prosopopee spalleggiandosi con quell’altro filibustiere dell’area di rigore che è stato Nicola Caccia. Centofanti, di quella squadra, era l’inamovibile “numero tre”. Capace di sgroppate inesauribili e colpi di classe impensabili come quando, alla quinta d’andata, estorse il pareggio (4–4!) a Marassi contro il Genoa con una doppia rovesciata iniziata da lui e terminata dal Condor Agostini.
Rimarrà ancora un anno ad Ancona, accompagnando la squadra di Guerini alla storica finale di Coppa Italia, dalla B.
Poi l’occasione di una vita: l’Inter. Senza falsa modestia, nel primo anno delle magliette personalizzate, sceglie la “nove”. Quella del centravanti. Eppure all’Inter di Hodgson c’erano fior d’attaccanti come Ganz, Branca e Del Vecchio. Il problema suo, però, sarà la concorrenza: nel suo ruolo, infatti, l’Inter ha già Roberto Carlos. Ma Hodgson, molto confuso nella sua esperienza italiana, preferisce a tutti Alessandro Pistone.
Dopo un anno, saluta Milano e riprende il giro della B e, infine, scende in terza serie.
Ma dato che lui è un personaggio vero, quando appende le scarpette al chiodo si reiventa in un ruolo tutto nuovo: sarà inviato di Striscia la Notizia.
Intanto il calcio non gli piace più. O, almeno, come dichiarerà in un’intervista al Corriere del Veneto prima di tornare a calcare i campi della Terza Categoria, non gli piace più il pallone di Cassano e Balotelli. Per chi, come lui, è cresciuto nel mito di Gascoigne e di Best, le chiacchiere stanno a zero.
Giovanni Vasso