Anche quella dell’allenatore del Paris Saint Germain è una delle tante storie dell’emigrazione piemontese nel mondo.
Quando nel febbraio del 2018 venne in Italiaper affrontare la Juventus in Champions League, per la prima volta nella sua vita si avvicinò al paese che ha dato i natali ai suoi avi: Virle Piemonte, 1200 abitanti a 30 chilometri proprio da Torino.
La sua storia l’ha ben raccontata Tommaso Pelizzari sul “Corriere della Sera”. Ecco un interessante stralcio.
È vero, bisognerebbe evitare di iniziare una qualsiasi storia di calcio argentino citando per la trecentomillesima volta lo scrittore Osvaldo Soriano (foto a fianco). Però, il modo in cui è iniziata la carriera di Mauricio Pochettino, allenatore del Tottenham che sfiderà la Juve negli ottavi di finale di Champions League, l’avrebbe veramente potuta scrivere l’autore di «Pensare con i piedi». Allora: poteva essere il 1985, perché Pochettino aveva 13 anni. Una notte, verso le 4, un uomo suonò il campanello della casa di Murphy (stato di Santa Fe) in cui viveva con i genitori. «Suo figlio è in casa?» chiese al padre. «Certo, ma sta dormendo» rispose Pochettino senior. «Me lo chiami» replicò l’uomo. «Ma sono le 4 del mattino!». «Lo svegli». Lo svegliò. E quando sulla soglia di casa comparve un ragazzino in calzoncini dalle gambe magrissime, l’uomo disse: «Va bene, grazie. Arrivederci». E Marcelo Bielsa, proseguì il suo viaggio in 127 alla ricerca di talenti nel resto del Paese.
E fu così che Pochettino diventò un calciatore, lasciando la casa della sua famiglia. Una famiglia originaria proprio della provincia di Torino. È infatti da Virle, 1.200 abitanti, che nel 1867 partirono Matteo Pochettino e la moglie Virgilia, insieme al figlio Michele che allora aveva tre anni. Il loro viaggio finì a appunto a Murphy, un minuscolo borgo di 600 abitanti, a 250 km in direzione nord-ovest di Buenos Aires. Lì, 4 generazioni e 105 anni dopo, nacque Mauricio, figlio degli agricoltori Héctor Reynaldo Pochettino e Amalia Adela Trossero. Ma (come ha raccontato lo stesso Pochettino ad Aurelio Capaldi di Rai Sport), bagna cauda e pasta erano parole-chiave in casa. E il nonno di Mauricio era molto tifoso della Juventus.
L’agricoltura, il rapporto con la terra, resta una costante per Pochettino anche se la sua strada diventa quella del calcio professionistico. Quando finivano gli allenamenti, lui e il fratello Javier andavano ad aiutare i giocatori nei campi. E Mauricio proverà anche a iscriversi ad Agraria. Ma dovrà abbandonarla nel momento in cui il calcio diventerà il suo lavoro.
Suo padre, infatti, si sbatteva la schiena facendo il contadino. E Mauricio, in un certo senso, ha fatto lo stesso per 18 anni, facendo avanti e indietro sulla fascia destra nei campi di Argentina, Spagna e Francia. Raccogliendo pochi trofei, ma tante soddisfazioni.
Da bambino riusciva a guardare le partite in TV prendendo in prestito la batteria del trattore di suo padre, che utilizzava come generatore di corrente.
Poi, il passaggio in Francia al Psg – che nel 2001 non conosceva ancora i petroldollari -, le brevi apparizioni con il Bordeaux e il ritorno all’Espanyol, dove chiude la carriera nel 2006, vincendo un’altra coppa nazionale. Appesi gli scarpini al chiodo, Mauricio inizia a studiare da allenatore collaborando con il settore giovanile e la squadra femminile dei Periquitos, prima di essere chiamato a sorpresa alla guida della prima squadra nel gennaio 2009.
Si tratta di una situazione di emergenza: i catalani navigano in zona retrocessione e, per provare a dare una mossa, la soluzione low cost è affidare le redini a un uomo della società, al suo carattere e alle sue doti di leadership.
Alla fine, dando ampio spazio e fiducia ai giovani, Mauricio e il suo 4–3–3 votato a possesso e pressing portano un comodo undicesimo posto nella Liga. Confermato, Pochettino rimane in sella per altre tre annate, riuscendo a tenere a bada Osvaldo tra gennaio 2010 e maggio 2011, e contribuendo alla consacrazione di Coutinho, eletto miglior giovane del campionato nei sei mesi giocati in Catalogna nel 2012.
A novembre dello stesso anno, la separazione consensuale con l’Espanyol, a seguito di alcune divergenze. Mauricio rimane fermo solo due mesi perché il proprietario italiano del Southampton, Nicola Cortese, non se lo lascia scappare e a gennaio 2013 lo mette alla guida della sua squadra.
La stampa locale non nasconde i dubbi. Pochettino non parla inglese e ha una squadra composta quasi esclusivamente da giocatori locali. I giornalisti si chiedono se i suoi metodi funzioneranno anche in Premier. E, in caso affermativo, quando? Il campionato è già iniziato e i Saints non possono permettersi di retrocedere dopo un ritorno in Premier atteso dieci anni. L’argentino, in un anno e mezzo, riesce a fare ricredere tutta l’Inghilterra, lanciando, tra i tanti, Lallana e Lambert.
Inevitabile, a giugno 2014, la chiamata del Tottenham di David Levy che, dopo i fallimenti di Villas Boas e Sherwood, i rifiuti di Ancelotti e van Gaal, ha trovato il sì dell’argentino.
Scelta più che mai azzeccata. A un passo dalla chiusura del 2015, gli Spurs hanno iniziato a giocare un calcio delizioso. Chi l’avrebbe mai detto che Mauricio Pochettino, terzino rozzo e non sempre preciso dell’Argentina di Bielsa – una delle peggiori che si ricordino – avrebbe permesso alle sue squadre di esprimere un calcio così effervescente e votato all’attacco? Il tecnico nativo di Murphy aveva già dato sfoggio non solo del suo carisma, ma anche delle sue competenze tecnico-tattiche nelle precedenti esperienze all’Espanyol e al Southampton. Ma al Tottenham, sta raggiungendo la sua maturità.