Chinaglia, Pelé, Beckenbauer e ancora Carlos Alberto, Neeskens, Cruijff, Best, Wilson, Cabanas, Rijsbergen, Francisco Marinho ed Eskandarian. Cosa rappresentano tutti questi nomi altisonanti? Semplicemente l’inizio di una favola che parve meravigliosa in un attimo, nello stesso tempo si trasformò in una farsa con tutti i connotati del pittoresco e, oggi, divide quelli che un tempo furono i posteri tra chi vide i Cosmos e la NASL leggenda e chi precursori.
La storia dei Cosmopolitan, questo il nome per intero del nascente club statunitense, inizia quando si fondono involontariamente e in modo del tutto casuale le ambizioni sportive di alcune delle più influenti personalità della storia statunitense: Jack Warner, fondatore e proprietario della Warner Communications Inc, società con interessi in ogni ramo della cultura americana, dall’informazione, al cinema, alla fortunatissima industria musicale del periodo, tramite Steve Ross e la Warner Music International e i fratelli turco-statunitensi Ahmet e Nesuhi Ertegün, proprietari dell’etichetta discografica Atlantic Records, fino ai fumetti, nati con l’intento di condizionare o almeno influenzare il pensiero dei più o meno giovani lettori; ed Henry Kissinger, Segretario di Stato dell’amministrazione degli Stati Uniti, di famiglia ebrea, anti-comunista fino all’ossessione, con partecipazioni discutibili in tutti i colpi di stato dell’America del sud e dell’Asia, avallando le dittature che vanno da Pinochet in Cile, per il quale la Francia lo portò a testimoniare in merito la morte di 5 francesi, a Suharto, detto anche “il duce d’Indonesia” e “lo sterminatore di comunisti“, in Indonesia, il sanguinario dell’invasione di Timor Est e del conseguente massacro di oltre 200.000 uomini. Un politico prima che un uomo, che gode di ogni favore, che tiene la FIFA sotto scacco, prima con Joao Havelange, poi con Blatter e che con lo sport, segnatamente col calcio, fa politica fino a imporre in favore di Jorge Rafael Videla Redondo, il Mundial del ’78, osservando il trionfo della celeste al fianco del dittatore argentino dei trentamila desaparecidos e del fondatore e capo della P2, Licio Gelli, tristemente noto alle cronache nostrane, un altro che col comunismo non aveva certo un bel rapporto.
Ma quando i destini politico-sportivi di Warner, Ross, Kissinger e dei Cosmos si incontrano? La risposta è semplice, nota e irrimediabilmente inaspettata al tempo stesso e risponde al nome, o meglio ai nomi Edson Arantes do Nascimiento, conosciuto come Pelè.
Negli anni del boom discografico e cinematografico, negli States, solo il baseball veniva riconosciuto come sport universale, con la palla a spicchi, l’hockey e il football americano da cornici. L’Europa chiamava, tuttavia, e i bagliori di una prima globalizzazione non ancora intesa nella sua interezza stuzzicava pensatori, sognatori e uomini d’affari.
In questa cornice lo sport necessita di evolversi e plasmarsi al pubblico potenziale. Nasce la NASL, o meglio la North American Soccer League, alla fine degli anni ’70 dalla fusione tra la United Soccer Association e la National Professional Soccer League.
Prima di quegli anni l’unica stella mondiale che si era vista in America fu Edvaldo Izidio Neto, noto semplicemente come Vavá che, dopo Atletico Madrid e Palmeiras, fece la sua comparsa prima in Messico al Club América e nelle fila del Toros Neza, per poi passare nella neonata NASL in forza ai San Diego Toros.
Il calcio americano è uno spettacolo ma nel senso più dispregiativo possibile del termine, il fuorigioco non è fischiato più con riferimento di demarcazione la linea di centrocampo ma in una riga non immaginaria posta ai trentadue metri dalla linea di porta e così sarà fino al deciso intervento della FIFA poco prima dei mondiali di Spagna ’82. Le vittorie valgono 6 punti, così come ogni gol segnato porta punti e il pareggio ne vale 3, prima di introdurre i rigori in caso di parità, gli shoot-out. Inoltre il timer non segna i ben noti e occidentali novanta minuti, bensì un count-down che conclude la gara una volta giunto allo zero, senza recupero. Vollero porte più grandi, gli americani, e provando a modificare ciò che nel calcio e del calcio respingeva, a parer loro, la gente si isolavano dal resto del mondo, nonostante le prime idee avveniristiche e funzionali in merito a sponsor e, soprattutto, nomi sulle maglie da gioco siano da attribuire proprio alla cultura americana, riportata o meglio copiata dalla FIFA solo a metà anni ’90. Comandano i Philadelphia Atoms in quegli anni e non vedono certo di buon occhio l’ingresso, nel 1971, di tre nuovi club, i Toronto Metros, i Montreal Olympique e i New York Cosmos.
Warner decise così d’investire sul football europeo e lanciò il suo progetto, il Cosmos Country. La squadra però fatica, allo Yankee Stadium di New York non si superano mai i 250 spettatori e il seguito è minimo. Il clamore inizialmente sperato a seguito dell’investimento dei più potenti uomini d’affari del continente non sembra dare i frutti sperati, tant’è che il portiere del club, Shep Norman Messing, oggi commentatore tv, prima di accasarsi agli Oakland Stompers e divenire, con il suo stipendio da $ 100.000 l’anno, l’americano più pagato nella storia del calcio americano, lasciando dopo una stagione deludente e accasandosi ai Rochester Lancers, posò nudo (sì, proprio nudo, per i più curiosi su Google immagini non v’è alcuna censura per le foto dell’ex portiere-presidente dei New York Express) per la modica cifra di $ 5.000, pur di mantenersi.
Serviva volare in alto, puntare su ciò che di più prezioso l’immaginario collettivo potesse ritenere unico e irripetibile, serviva una gemma, meglio una perla, la Perla Nera. Norman Samnick, in quegli anni solo avvocato personale di Warner e del presidente Steve Ross, non ancora vice presidente della Warner Communications, volò in Brasile (qualche mese dopo avrebbe fatto capolino anche in Germania per un certo Franz) per provare a convincere Pelé ma per il brasiliano, un Dio in patria, non vi fu alcun tentennamento nel rifiutare l’offerta, temendo di tradire i propri sostenitori, i propri discepoli. È in questo frangente che interviene chirurgico e puntuale Henry Kissinger che forte delle buone relazioni tra i due Paesi, ma soprattutto del suo potere contrattuale, porta Pelè in America, nella neonata NASL.
Negli anni in cui Hank Aaron, il più celebre giocatore di baseball del pianeta, uno che nel ’57, da Most Valuable Player, vinceva da solo le World Series in maglia Milwaukee Braves e godeva del favore degli afroamericani, essendo nero ed ex talento della Negro League, guadagnava $ 200.000 l’anno, Pelè, pagato circa cinque milioni di dollari, accumulava più di quanto avesse mai guadagnato al Santos in tutta la propria carriera. Firma ogni tipo di contratto per eludere la pressione fiscale, ne firma uno con la Atlantic Records da “recording artist”, musicista, da “performing artist“. È un attira spettatori, una macchina da intrattenimento, un macina consensi.
Con lui arrivano in poco tempo il compagno di squadra del 1970, Carlos Alberto, FranzBeckenbauer, fresco pallone d’oro, e Giorgio Chinaglia, la leggenda dei Cosmos, colui che siglò 193 gol in 213 partite, un record ancora oggi imbattuto. Con The Villain, Il Cattivo, si completò negli anni una squadra di star che in porta vedeva il tedesco Hubert Birkenmeier, in difesa l’armeno Andranik Eskandarian, l’ultimo iraniano di religione cristiana a partecipare a un campionato mondiale di calcio, prima di Andranik Teymourian, uno dei primi ad essere definito il Pelè d’Asia e forse, prima del più noto olandese, anche Pelè bianco.
A centrocampo Vladislav Bogicevic, mentre la fascia di capitano era sul braccio di Werner Rothche a Hollywood fece giusto una comparsa per il film, simbolo dell’epoca, “Fuga per la Vittoria” interpretando, tuttavia, un gerarca nazista.
Altri campioni e visionari investitori avallano la politica dei Cosmos, così dopo Vavà e Gordon Banks, quello della parata del secolo ai mondiali del ’66, che si era accasato nel ’67 ai Cleveland Stokers, non vedente da un occhio, a causa di un incidente, aveva alzato comunque al cielo il trofeo della Eastern Conference in maglia Fort Lauderdale Srikers. Arrivano in America anche Eusebio, dopo tre lustri al Benfica in cui vinse tutto e si schiera tra le fila di Boston Minutemen e Monterrey, prima di vincere il titolo con i Toronto Metros in una stagione in cui i suoi 16 gol saranno decisivi per il successo finale.
Nel ’76 il calcio americano è sempre più rock: la maglia Aztecs di Los Angeles è vestita da George Best che come suo solito impiega davvero poco a conquistare critica e fan e tre anni dopo anche Johan Cruijff, entrambi segneranno gol a decine, verranno eletti giocatori dell’anno e si misureranno anche con portieri che hanno scritto la storia nella Champions League europea, come Bruce Grobbelaar.
Sulla copertina del 3 Settembre 1973 di Sports Illustrated appare Bob Rigby, da Ridley Park, Pennsylvania e un futuro da commentatore in MLS, è un evento storico, il calcio anche in America inizia a trovare consenso e la dirigenza dei Cosmos cavalca l’onda: in tribuna nelle partite del club iniziano a vedersi sempre più spesso Steven Spielberg, Mick Jagger (si narra di sui continui allontanamenti dagli spogliatoi, nei quali si recava ubriaco prima e dopo il match), Robert Redford, un assiduo frequentatore dei match Cosmos e accanito sostenitore del club, e lo stesso Henry Kissinger, spesso al fianco del presidente Steve Ross. La squadra alloggia in hotel di lusso, pranza nei migliori ristoranti del Paese e si sposta su un aereo di linea privatizzato in un battito di ciglia e sempre a disposizione per ogni evenienza. Lo Studio 54, la discoteca più famosa della storia è la loro seconda casa e i giocatori sono gli unici a poter ottenere un tavolo riservato nel privé. L’esperimento sembrava riuscire ma le difficoltà erano dietro l’angolo nonostante la nascente squadra e la ormai definitiva lega di stelle.
La conferenza stampa di presentazione del club di Pelè avviene al 21 Club di Manhattan, lo storico lussuoso ristorante sulla 52.a strada a New York, in un clima non troppo distante dalla cerimonia degli Oscar. L’esordio sportivo avviene qualche tempo dopo contro i Dallas Tornadoma questa volta la location non è delle più azzeccate.
Si gioca al Downing Stadium di Randall’s Island nel quartiere nero di Harlem.
Di quella gara le leggende non si contano più. Si narra che il campo da gioco, non adeguato all’occasione, fu dipinto a mano di verde, che vi fosse un solo pallone disponibile, che gli spogliatoi fatiscenti fossero privi di acqua corrente e che le condizioni igieniche dell’impianto avessero stuzzicato l’idea dei giocatori di non scendere in campo, preoccupati anche per la loro incolumità vista l’assenza di filtro tra l’esterno dell’impianto e il rettangolo di gioco. La partita alla fine si giocò ma su quella gara Gavin Newsham, in “The incredible story of The New York Cosmos scrisse: “Fu un inferno, c’erano bottiglie dappertutto, niente acqua e spruzzarono spray verde per fingere il campo in erba”.
Fu l’ultima partita in quello stadio. Ci si spostò in casa dei Giants ma nonostante qualche titolo qua e là, nulla fu più rose e fiori, ammesso che anche per un istante lo sia stato.
Gli anni ’80 rappresentano il periodo più buio per i Cosmos, l’astro nascente dell’informazione mondiale, il magnate australiano Rupert Murdoch lancia un’offerta pubblica di acquisto verso la Warner; il colosso statunitense riesce a respingere il tentativo ostile ma esce ridimensionata dall’operazione finanziaria ed è costretta a cedere il ramo d’azienda della Global Soccer, la società controllante i Cosmos.
Tutte le premesse, tutte le intenzioni di imporre il calcio in America continuavano a non decollare, nonostante gli ormai disperati tentativi, e la resa definitiva avvenne quando i Cosmos pensarono anche solo per un istante di poter sopravvivere senza Pelè. Il saluto è un’amichevole contro il Santos in uno stadio gremito da quasi ottantamila spettatori e pochissimi paganti, ci sono i soliti uomini di spettacolo da Jagger a Kissinger più suo padre e Mohammed Ali. Il match è trasmesso in ogni tv del globo. È l’ultimo tentativo di voler imporre lo spettacolo a un pubblico che proprio non vuol saperne. Dopo tre anni, infatti, la Perla Nera salutò amaramente gli States, con un comunicato stampa da Rio de Janeiro. Disse addio a una lega in cui erano rimaste due sole compagini in grado di battagliare per il titolo. Capì, non per ultimo ma tra gli ultimi, che la farsa era finita e con essa l’intera NASL. David Hirshey a tal proposito scrive: “I padroni dello sport americano hanno frainteso il successo dei Cosmos. Hanno pensato che fosse un endorsement per il calcio e invece si trattava solo di un momento effimero e febbrile, in cui l’arrivo di un idolo globale ha fatto scattare la scintilla per la nascita dello showbiz nello sport americano. Quando il castello di carte è crollato, la fine si è rivelata totale”.
La cosa che più impressionò è che, Brasile a parte, il suo addio a pochi, quasi nessuno, fece effetto. Pochi titoli sensazionalistici e alcun sit-in di protesta o operazione al fine di indurre un ripensamento, un passo indietro da parte del giocatore o della società. Fu la sconfitta più grande, il calcio in America non svaniva come era arrivato ma in silenzio e indifferenza, nell’epilogo peggiore che si potesse immaginare.La Warner, indebitata per trenta milioni di dollari e con più di duemila dipendenti lasciati sul lastrico, nominò Chinaglia presidente del club mentre questi era già a capo della Lazio, fresca di promozione in A. Giorgione, non nuovo ad uscite infelici, pensò probabilmente di potersi sostituire a “O Rei” nell’immaginario collettivo e pagò questa sua, probabilmente eccessiva, arroganza con una bocciatura di un non fraintendibile Pelè, presto nominato presidente onorario, che dichiarò: “Che la situazione sia irrecuperabile lo dimostra l’attuale presidente, il signor Giorgio Chinaglia, che non a caso è anche presidente della Lazio, che occupa gli ultimi posti del campionato italiano”.
Iniziano gli anni bui del Cosmos, sempre a un passo dall’essere cancellata definitivamente dagli annali del calcio, prima che dall’immaginario collettivo. Sempre sull’orlo del definitivo fallimento e sulla bocca, o meglio sulle intenzioni finanziarie, di chi in America e non solo possieda un briciolo di capitale accompagnato da un minimo spirito di visibilità. Tra i sostenitori aleggia sempre più il presentimento che non arriverà alcun proprietario che non abbia il solo intento di avere un po’ di momentanea pubblicità. Negli anni ’90 la proposta più concreta, con l’offerta d’acquisto portata da una cordata di imprenditori capitanati dall’ex membro del consiglio direttivo del Tottenham, Paul Kemsley. Arrivano gli sponsor, dalla Nike, alla Fly Emirates ed altri marchi ben noti oltreoceano e arriva anche l’avvicendamento tra Kemsley e Seamus O’Brien che segue ai trionfi nei campionati Nasl 2015 e 2016. Nonostante ciò per i Cosmos l’ennesima delusione è servita, infatti, a fine stagione il club comunica che non prenderà parte al prossimo campionato per mancanza di fondi e libera i propri tesserati da ogni vincolo contrattuale. O’Brien garantisce gli stipendi fino al novembre scorso ma le indiscrezioni sul dissesto scatenato da alcune sue inspiegabili scelte aumentano a dismisura. A un passo dal fallimento in suo soccorso arriva Rocco Commisso, originario di Marina di Gioiosa e trapiantato negli Usa da un paio di lustri con affari -pensate un po’- nel settore dell’informazione e nella distribuzione di contenuti multimediali.
Ricomincia il sogno probabilmente o forse nessuno ha mai smesso di inseguirlo. Un sogno indotto e amaro, criticato, boicottato e ferito a più riprese solo per aver avuto la colpa di formulare idee e concezioni che attraverso le leggende erano destinate a una piena conferma nel futuro.
Fabio Guzzo