Nel 1973 nel Levante, in Spagna, arrivò Carlos Caszely.
L’11 settembre 1973 un golpe militare abbatteva il governo democratico di Salvador Allende , dando inizio a una sanguinosa dittatura. A cui si oppose il talentuoso Caszely.
Per chi ama le curiosità del calcio Carlos Humberto Caszely è “solo” il primo giocatore a cui venne mostrato un cartellino rosso ai Mondiali. Per i cileni sopra i 50 anni quest’uomo con i baffoni invece è un mito. Bandiera del Colo Colo, squadra più titolata del Paese, colonna e trascinatore della Nazionale. Ma per chi l’11 settembre 1973, quarant’anni fa, viveva il golpe di Augusto Pinochet dalla parte del governo di Salvador Allende, il baffuto attaccante è stato un eroe. Ecco la sua storia.
Classe 1950, Caszely, figlio di René ferroviere di origini ungheresi, esordisce in prima squadra con il Colo Colo nel 1967. Piedi raffinati, dribbling secco e un fiuto del gol invidiabile, tanto da guadagnarsi da parte dei tifosi il soprannome di El Rey del metro cuadrado.
Un campione, fuori dal cliché del calciatore senza idee. Mentre gioca nelle giovanili del Colo Colo studia al liceo e si interessa di politica. Alle elezioni del 1970 è un sostenitore di Unidad Popular, la coalizione di centrosinistra che fa capo al socialista Salvador Allende.
E quando il candidato progressista viene eletto Caszely ne appoggia apertamente le politiche, anche alle consultazioni del 1973 dove la stella del Colo Colo, in quell’anno capocannoniere della Copa Libertadores, partecipa alla campagna elettorale per la rielezione di due parlamentari del Partito Comunista cileno. Dal canto suo Allende in occasione della finale di Copa contro l’Independiente fa saltare il protocollo visitando a Buenos Aires il Colo Colo e facendosi fotografare abbracciato proprio a Caszely.
Ma il sogno del nuovo Cile di Allende finisce qualche mese dopo. E’ l’11 settembre 1973 e un gruppo di militari guidati da Augusto Pinochet prende il potere, bombardando il palazzo presidenziale e trasformando lo Stadio Nazionale di Santiago in un campo di concentramento dove vengono rinchiusi e torturati molti sostenitori di Allende. Ma Carlos non c’è, in estate ha accettato l’offerta degli spagnoli del Levante e si è trasferito nella Spagna di Francisco Franco. Il suo primo impatto con la neonata dittatura è del 21 novembre, due mesi dopo il colpo di stato.
All’Estadio Nacional è in programma il ritorno dello spareggio per l’accesso ai Mondiali 1974 contro l’Unione Sovietica. Una partita che non avrà mai luogo, perchè la Nazionale di Oleg Blochin si rifiuta di giocare in quell’impianto. Un match che si trasforma in una farsa. Davanti allo stadio stracolmo la squadra cilena scende in campo senza avversari e con un copione preordinato.
Al fischio d’inizio dell’arbitro, regolarmente designato, i giocatori della Roja si dovranno passare la palla e uno, il capitano Francisco Valdes segnare nella porta vuota. E così accadde. Con Valdes e Caszely, noti entrambi per le loro simpatie per Allende che per paura e con vergogna non hanno la forza di interrompere la sceneggiata.
Una vergogna che Carlos proverà a cancellare qualche mese dopo, alla vigilia della Coppa del Mondo. Pinochet vuole vedere e salutare la Roja prima del Mondiale. Durante l’incontro il dittatore saluta e stringe la mano a tutti i componenti della squadra. A tutti. Meno che a uno. Carlos Caszely che le sue mani le tiene bene intrecciate dietro la schiena, quando Pinochet si presenta da lui. Un gesto, ripetuto ogni volta che incontrerà Pinochet che gli vale ancor di più l’etichetta del Rojo, del Rosso ma che ha anche una valenza personale. Mentre è in Spagna la DINA, la Polizia politica del regime arresta Olga Garrido, la mamma di Carlos. Per settimane è una dei molti desaparecidos della dittatura. Quando viene liberata racconta di vessazioni e torture.
Nonostante sia considerato un sovversivo El rey del metro cuadrado in Germania per i Mondiali del 1974 ci va. Ma la sua avventura finisce dopo 67 minuti e con un mare di polemiche. Caszely viene espulso (il primo cartellino rosso della storia) nel match d’esordio contro la Germania Ovest e su di lui piovono critiche e sbeffeggi. “Caszely espulso per violazione dei diritti umani” scrive la stampa di regime.
Si è fatto espellere per non giocare contro i comunisti della DDR, aggiungono.
Il Cile esce (zero vittorie e due pareggi con Australia e Germania Est) e sono in due a pagare. Il tecnico e Caszely. L’attaccante è escluso dal nuovo selezionatore della Nazionale Caupolicán Peña . Per cinque anni la Roja la seguirà da tifoso e il suo essere “rosso”, secondo alcuni, gli precluse una maglia prestigiosa, la bianca ma franchista del Real Madrid.
Carlos però è troppo forte. Nel 1979, appena tornato al suo Colo Colo dopo 5 anni in Spagna Caszely viene richiamato e trascina il Cile in finale di Copa America e lo porta ai Mondiali spagnoli del 1982. Qui contro l’Austria sbaglia un rigore che di fatto elimina la sua Nazionale. E otto anni dopo volano ancora le accuse. L’ha fatto apposta, dice qualcuno. Per il Rey del metro cuadrado è in pratica la fine della sua storia con la Nazionale. Giocherà altri tre anni in Nazionale, con un’ ultima partita e un ultimo supergol contro il Brasile.
Ma con il calcio non si spegne la sua voglia di opporsi alla dittatura. E’ il 1985 e Caszely, ormai un ex della Nazionale, incontra ancora Pinochet alla Moneda, il palazzo presidenziale. Si presenta e stavolta lo saluta (ma non gli stringe la mano). Ha una cravatta rossa vistosissima “Lei porta sempre la cravatta?” domanda il dittatore. “Sì, non me la tolgo mai. La porto dalla parte del cuore”. “Io gliela taglierei” è la risposta di Pinochet mimando le forbici con le dita.
Ma la vera rivincita sul dittatore l’ormai ex attaccante del Colo Colo se la prende nell’autunno 1988. Il Cile, dopo 15 anni di dittatura sta decidendo il suo futuro attraverso un referendum che dovrà dire se Pinochet dovrà rimanere ancora al potere.
Tra gli spot della campagna per il no, ce n’è uno in cui parla una signora sessantenne, racconta le torture e le vessazioni che ha subito.
E alla fine della testimonianza appare lui, Carlos Caszely, El Rey del Metro Cuadrado. “Per questo il mio voto è No. Perché la sua allegria è la mia allegria. Perché i suoi sentimenti sono i miei sentimenti. Perché il giorno di domani potremo vivere in una democrazia libera, sana, solidale, che tutti possiamo condividere. Perché questa bella signora è mia madre”, sono le sue parole. Il no vincerà con il 55% dei voti ma Carlos Caszely rifiuterà di entrare in politica, scegliendo di raccontare il calcio come giornalista.