
Storia, ironia e leggenda di un personaggio che ha segnato il calcio vicentino di provincia
Le leggende del calcio non abitano soltanto negli stadi di Serie A. A volte nascono all’oratorio, ai margini di un campo sterrato, tra le voci squillanti dei ragazzi e i cori improvvisati di chi, più che allenatore, è un poeta popolare del pallone. È il caso di Cìo, Rino Faccin, figura epica del calcio vicentino degli anni Sessanta e Settanta, ricordato da chi lo conobbe come un uomo ironico, gioviale, dalla voce baritonale e sempre pronto a intonare un motivetto scherzoso.

La memoria lo riconduce a una foto: la squadra giovanissimi della Fulgor 1965-’66, ritratta allo stadio Miotto. In quella formazione di volti puliti e sorridenti – Piero Dalle Carbonare, Pippi Pilastro, Guivi Savio, Michele Nicoletto e tanti altri – spunta lui, accosciato accanto ai ragazzi, con quell’aria da istrione che non si dimentica.

Cìo era così: un uomo di calcio e di comunità, più che un semplice dirigente o allenatore. Le sue gesta si legano alle due anime del pallone locale, tra Thiene e Zanè, con un passaggio fondamentale all’Alpilatte Zanè, allora vivaio del Varese di Serie A. Si racconta che fosse un eccellente talent scout: a molti ragazzi indicò la strada giusta, ad altri riservò stornelli pungenti, sempre in bilico tra l’elogio e la canzonatura.

L’aneddoto che divenne canto
Per chi scrive, Cìo non fu solo una figura corale ma anche un interlocutore diretto. Prima una presa in giro:
“A…jà…jàii, Bonato… te ghè vosù al Thiene andar, al balon te ghè desparà de xugar…”.

Una battuta che bruciava come un giudizio severo, ricordando la scelta di rifiutare lo Zanè per rimanere fedele al Thiene.
Poi la rivincita: in un derby juniores 1970-’71, giocato febbricitante ma con entusiasmo incontenibile, arrivò un trionfo per 5-0. Negli spogliatoi, a sorpresa, comparve Cìo: entrò per stringere mani, lodare gli avversari e cantare il suo inno sportivo al fair play. Quel giorno i ruoli si invertirono: il ragazzo gli rinfacciò scherzosamente la vecchia critica, mostrando orgoglioso i “tre cachi” messi nel sacco allo Zanè. Cìo sorrise, fece una piroetta e uscì di scena, lasciando dietro di sé un silenzio interrotto poco dopo da una gazzarra festosa.

Un mito che non passa
Il tempo, si sa, scivola via. Ma certe figure resistono. Non molto tempo fa, durante una partita degli Allievi della Fulgor, tra il boato di un gol sbagliato si levò una voce inconfondibile: “Ma noo! Ma noo! No se pol sbagliar ‘sto goal…”.
Era ancora lui, Cìo, in versione rap improvvisato, a commentare con la stessa ironia di sempre.

Gli anni erano passati, ma lo spirito era rimasto intatto. Uno sguardo d’intesa fu sufficiente per riconoscersi: Cìo apparteneva a quella rara stirpe di uomini che trasformano il calcio in poesia popolare, dove il risultato conta meno della storia che lascia in eredità.
Un Grande della piccola storia vicentina, che merita di essere ricordato non per le classifiche, ma per la sua capacità di far sorridere e cantare generazioni di ragazzi col pallone tra i piedi.
Giuseppe (Joe) Bonato