Il Professore e i Giganti: quando Scoglio insegnò ad Agrigento a credere nei sogni
Set 24, 2025

Dalla promozione in C1 con Rubino alla rivoluzione del “gioco a rombo”: gli anni che accesero il cuore biancoazzurro

C’è stato un tempo in cui Agrigento si riconosceva tutta in una maglia biancoazzurra, in un gruppo di uomini diventati simbolo, e in un allenatore destinato a diventare leggenda: Franco Scoglio, il Professore.

La favola iniziò nella stagione 1982-’83. In panchina c’era Egizio Rubino, allenatore capace di guidare una squadra che non partiva tra le favorite. Peppe Catalano, attaccante arrivato tra lo scetticismo, ricorda ancora la fiducia che il tecnico seppe trasmettergli e la scoperta di uno spogliatoio unito, con uomini veri più che semplici calciatori. Quel gruppo riuscì a compiere un’impresa: con 45 punti si piazzò dietro al Messina, ma bastò per regalare all’Akragas la storica promozione in Serie C1. Restano scolpite partite come la rimonta a Torre del Greco e il gol decisivo contro i peloritani, insieme ai ritratti dei compagni d’avventura: Ciccio De Brasi, “Madre Teresa” dello spogliatoio, o Renè Colusso, il professore di campo e di vita. E poi la città: il Viale come ritrovo, i tifosi sempre presenti, i pranzi condivisi nel centro storico, lo stadio pieno di passione.

Franco Scoglio, “il Professore”



L’anno successivo, sulla panchina dei Giganti si sedette Franco Scoglio. Pedagogista, insegnante di educazione fisica, personalità carismatica e spigolosa, seppe trasformare il calcio in un laboratorio di idee. Fu tra i primi a disegnare il centrocampo a rombo, a mescolare marcature a uomo e gioco a zona, a studiare ossessivamente i calci da fermo. Divideva i calciatori secondo attributi: chi aveva “tre polmoni” correva e pressava, chi aveva tecnica giocava, agli altri restava il ruolo da spettatori. Il suo calcio era una formula matematica: 47% tecnica, 30% condizione, 23% psicologia.

Giuseppe Catalano (a sinistra) e Renato Colusso



Quella stagione regalò quindici risultati utili di fila, vittorie memorabili a Salerno e a Casarano, e persino il sogno della Coppa Italia. La gente scoprì che l’Akragas non era solo una squadra, ma una rappresentazione collettiva della città stessa.

Poi arrivarono gli alti e bassi: l’esonero del Professore a poche giornate dal termine, la salvezza tranquilla, e l’anno dopo la retrocessione, dopo i passaggi da Lojacono a Mujesan.



Ma quel periodo restò scolpito nella memoria come un’epoca di orgoglio e di appartenenza. Perché Franco Scoglio, con il suo linguaggio spietato e geniale, con i suoi calcoli e le sue invenzioni, aveva insegnato a un’intera città a sognare. Agrigento, per un attimo, si era specchiata in un pallone e ci aveva visto il riflesso di sé stessa.

Mario Bocchio

Condividi su: