Furino entra deciso e manda la palla fuori: rimessa laterale. Deve effettuarla Vannini. Le squadre si riposizionano in mezzo al campo, quando Renato Curi crolla a terra. Si avvicina Bettega e sente solo un filo di voce: “Via, via che mi tiro su”.
Quel pomeriggio Franco Vannini si aggira negli spogliatoi come un automa. Piange: “Gli volevamo tutti bene. Sua figlia Sabrina è nata il 7 ottobre come me. Si festeggiava sempre insieme il compleanno. E adesso … ”. Deve fermarsi, non riesce a parlare.
Per lui era come un fratello. Erano arrivati a Perugia insieme dal Como e nell’ultimo anno avevano lottato fino alla fine per la promozione in serie A. Erano il più piccolo e il più alto del Perugia: “Insieme formavamo l’articolo il. Ora io, che ero il gemello lungo, porterò i figli di Renato al Luna Park tutti i lunedì per sentirmi meno solo”. Alcuni esperti ritengono Franco Vannini lento, quasi pachidermico. Un metro e ottantanove centimetri, uno di quei numeri 10 non convenzionali degli anni Settanta. Ha tecnica più che apprezzabile, abbinata a una superba intelligenza tattica. E per la squadra corta e dai ritmi insostenibili di Castagner diventa subito punto fermo. Quando trova avversari del suo passo, quasi sempre prevale. Non solo. Diventa l’arma impropria per forzare qualunque difesa. E segna quasi sempre alla stessa maniera: se c’è un cross, possibilmente dal fondo, lui va in terzo tempo . Per questo tutti lo chiamano Condor.
Fin dalla cadetteria s’infila una serie utile di diciotto partite, che è anche una succosa anteprima. L’avversario viene costantemente aggredito. Movimenti senza palla continui, mandati a memoria e qualcuno mutuato dal basket. La manovra vien fuori limpida, tutti avanti e tutti indietro. Ci si aiuta.
Alla dodicesima, Vannini è secondo nella classifica dei cannonieri. Eppure è costretto a fare anche il terzino sinistro oppure il libero, coprendo le avanzate di Frosio. Poi l’ennesimo suo gol di testa contro il Brindisi permette di lanciare lo sprint per la serie A. E’ il 15 giugno 1975. Una partita sofferta a Pescara in cui si va sotto : gol di Serato. Poi il Condor la dà a Frosio, che costringe Cimpiel alla respinta corta, sulla quale si avventa Sollier. Il Perugia per la prima volta nella sua storia è promosso in serie A. E con novanta minuti d’anticipo. “Non ho potuto festeggiare. Mi è venuta la febbre immediatamente prima dell’ultima partita”.
Quell’anno ha regalato a Castagner sette gol , diventandone anche il portavoce in campo: “Sembra correre poco, ma è sempre puntuale sia in difesa che in attacco. Nelle due aree di rigore è determinante. E se ci sono delle decisioni da prendere in campo, Vannini è tra quelli che lo fa d’istinto , senza aspettare il mio intervento. Sa interpretare il mio pensiero”.
Mediatore tra compagni e allenatore, così come tra squadra e pubblico. Nello spogliatoio basta una sua frase pronunciata con quell’inflessione toscana per sdrammatizzare dopo una sconfitta oppure per sedare i bollori dei più giovani. Tutti gli anni poi, inventa i soprannomi dei compagni: “Nappi è il poeta perché è amico di un certo giornalista. Casarsa è Gepy, come il cantante, perché è arrivato un po’ sovrappeso. Stiamo insieme tutti i giorni, mattina e sera. Di argomenti seri meglio non parlare. Per esempio se parlassimo di politica, ci ammazzeremmo “. Dopo una pareggio in Coppa Italia, il Condor fa capire a Malizia di aver preso un gol evitabile. Tremano anche i muri dello spogliatoio.
In serie A, la matricola è subito a suo agio. Nessun problema sulle palle alte con Vannini, Berni e Lanzi. Per due anni la squadra rivelazione : “I nostri segreti sono il rapporto con il pubblico, la serenità dell’ambiente, le capacità di Castagner e della dirigenza e la voglia di arrivare del gruppo. La capacità di procacciarsi stimoli nuovi”. Franco Vannini è arrivato nella massima serie tardi, a ventotto anni . Stava mollando il calcio come aveva fatto da bambino con il basket: “Mi preferivano sempre qualcun altro più bello a vedersi. Sono sgraziato, lo so bene. Pochi hanno avuto la pazienza di vedere quello che realmente valevo. Forse ho pagato anche il mio carattere: io dico sempre quello che penso”.
Va a bersaglio contro il Foggia, che non aveva creduto in lui. Per la cronaca, con un colpo di testa su cross di Novellino dal fondo : “Un gol che ho desiderato tanto. Come quello l’anno scorso contro il Como”. Che l’aveva venduto al Perugia solo per settanta milioni di lire. Al secondo anno di A si congeda dal pubblico con una doppietta: tuffo di testa su corner di Pin e poi ancora stacco su assist di Berni. E’ 4-2 al Napoli. Il Condor alla fine è il cannoniere della squadra addirittura a quota nove, incollato a Giordano e Boninsegna.
Agli occhi del grande pubblico, il Perugia è la squadra dei buoni giocatori e nulla più. Quella senza grandi individualità. Un corpo indifferenziato in cui dei singoli non si parla mai . Anzi quasi mai. E’ il 23 ottobre 1977, Bologna-Perugia. Franco Vannini è tra i migliori in campo. Si vince 3-2, ma prendendo due gol in due minuti in un finale convulso. Nel sottopassaggio tra i perugini si discute animatamente, ci sono spintoni . Alla fine il Condor tira un cazzotto a Novellino. Non è una faccenda personale: la rottura è tra Novellino e la squadra. Il ragazzo forse si è montato la testa, pensa solo alle offerte di mercato. Dell’episodio si viene a sapere dopo ventiquattrore. Anche perché Novellino ne porta ancora i segni. L’indomani la pace: Vannini regala un disco di Barry White al compagno: “Fai un gol domenica e te ne regalo una dozzina”.
E’ l’anno della prova generale. Sventagliata di Franco Vannini di quaranta metri, Speggiorin inaugura la quaterna alla Lazio. A metà campionato il Perugia è quarto. Incredibile quello che succede a Verona: la squadra rimane in otto per le espulsioni di Amenta, Biondi e Nappi. Il Condor crea anche la palla della vittoria: finisce 0-0. Fuori dalla zona Uefa ancora per un soffio. Poi, il 30 aprile 1978, un’altra trasferta e si perde 1-3 a Vicenza. Gli uomini di Castagner non lo sanno, ma da quella domenica decorrono i diciotto mesi di imbattibilità in campionato. La sublimazione del collettivo. L’esame di laurea al cospetto della Juve. Vantaggio con un siluro di Speggiorin. Sui calci da fermo Trapattoni mette addirittura Bettega in marcatura su Vannini, perché Tardelli non ha funzionato. La Juve reagisce. Il Perugia ha perso da pochi giorni Grassi, che si è fratturato un perone. Malizia non lo fa rimpiangere fino al pareggio di Cuccureddu. Non è finita: “Sicuramente uno dei gol più belli della mia carriera. Una punizione che abbiamo studiato a lungo in allenamento. Sul traversone a sorpresa di Casarsa, carico il sinistro al volo”.
Simbolico è l’assalto finale di Causio con Vannini che rimonta e gli porta via palla. Dedicato a chi lo definiva lento. Poi Causio prova a riabilitarsi, ma a parole: “Un gol come un terno a lotto. Senza togliere dei meriti, se Vannini riprovasse altre cento volte, voglio proprio vedere in quante occasioni riuscirebbe a fare ancora gol”. Il Perugia ha interrotto una serie di ventinove partite senza sconfitte della Juve, ma dal Comunale di Torino esce tra gli applausi. Ai calciatori toccano, come sempre, trecentoquarantamila lire di premio partita. E il clima in città non cambia. I perugini si mettono in coda , ma per Assisi dove è arrivato Giovanni Paolo II. “Il fatto di essere primi ci dà una grande soddisfazione. Continuiamo sulla nostra strada senza farci prendere da un eccessivo entusiasmo. Se continuasse così, tanto di guadagnato. Altrimenti ripiegheremo su quello che era il nostro obiettivo: entrare nelle prime cinque”. Poi Franco Vannini saluta. Esce e va a prendere Frosio . Fanno visita a Clelia Curi e alla piccola Sabrina. C’è anche Renatino, che ha solo quattro mesi. Oggi è il compleanno di Clelia, ventisei anni. Ma lei l’aveva dimenticato.
Dopo la vittoria di Bergamo, il Perugia è in testa da solo. Come l’ospite inatteso, una felice anomalia. Alle partite si vede anche il signor Enzo Bearzot. Castagner sa come accoglierlo: “Almeno due dei miei meritano”. E quando chiedono a Radice e Trapattoni i migliori calciatori italiani dell’anno 1978, la risposta è identica : “Il migliore è Paolo Rossi, ma tra i primi tre c’è Vannini”. A un terzo del cammino Milan e Perugia sono in testa appaiate. E c’è lo scontro diretto. Dopo tre minuti e quarantacinque secondi, il Condor brucia De Vecchi ed esplode un missile da venticinque metri . Albertosi ci arriva. Dalla rimessa laterale Butti per la testa di Cacciatori: palo pieno e tap in del Condor. Alla fine è pareggio. E Castagner è spavaldo: “Vannini è il miglior giocatore del campionato per stacco di testa, migliore anche di Bettega. E rappresenta il cinquanta per cento del nostro potenziale, sia offensivo che difensivo. Non siamo dietro il Milan, siamo alla pari”. Poi dà un’occhiata al calendario.
Si festeggia il Natale con un’amichevole contro la nazionale cecoslovacca. Segnano due mezzali: una è Panenka. Fino a quel pomeriggio di febbraio. Il Perugia va sotto 0-2. L’Inter è più disinvolta. Nella ripresa i ragazzi di Castagner guadagnano campo e Vannini è incontenibile. Dovrebbe marcarlo Pasinato , ma nemmeno lo vede. Nemmeno quando accorcia le distanze con una delle sue incursioni. L’Inter si è dissolto, crollato fisicamente . E’ un finale a spade sguainate con Longhi che assegna un rigore al Perugia e poi cancella tutto per fuorigioco. Bersellini manda dentro Fedele che, in un contrasto con Bagni, gli provoca una distorsione alla caviglia .
Mancano dieci minuti, quando Fedele entra in collisione anche con Vannini: frattura di tibia e perone della gamba destra. La gente urla “Assassino”. E in campo vola di tutto. Il Condor è lì, sulla barella . Congiunge le mani. All’ultimo tuffo l’Inter riesce a non prendere tre-palle-tre di testa ed è 2-2 : il gol di Ceccarini è l’ inedito omaggio al pivot della squadra, finito in ospedale. Triplice fischio e Castagner viene trattenuto a stento: “Due-tre giocatori dell’Inter dovrebbero fare i macellai piuttosto che i calciatori. Adesso dobbiamo abbandonare ogni speranza, perché tutte le squadre venivano qui terrorizzate da Vannini. Preferivo perdere l’imbattibilità piuttosto che perdere lui”. Bagni non ha dubbi: “Fedele è entrato per picchiare”. Il più sereno sembra proprio Franco Vannini: “E’ mio amico , siamo stati militari insieme. Purtroppo io avevo sentito il fischio e lui no. Ho tenuto la gamba molle e l’urto con il suo ginocchio è stato fatale”. Fedele prova a uscire dalle corde: “Ho rubato la palla a Dal Fiume. Vannini ha tentato di contrastarmi e gli ho fatto passare il pallone di lato. Ha sollevato la lunga gamba e l’ho colpito involontariamente col ginocchio. Il gioco era fermo , ma non avevo sentito il fischio. Sotto la tribuna non si sentivano le parole da due metri. Vannini è mio amico, l’ultima persona alla quale avrei fatto fallo volontariamente”.
Vannini avrebbe meritato la Nazionale, è la sentenza di Gianni Brera. Quattro mesi di stop: è quella del medico del Perugia. Franco Vannini passa la domenica successiva in ospedale accanto a un transistor. Su una radio locale danno la partita di Firenze : “In settimana avevo visto i miei compagni giù di morale. Ho avuto un po’ di timore quando la Fiorentina è passata in vantaggio e ho pensato potessero mollare. Invece il gol subito è stato quasi un segnale: hanno reagito”. Poi c’è la Juve. Castagner mescola maglie e uomini, mettendo Bagni nel ruolo del grande assente. E i conti tornano. Il Perugia domina, Zoff para un rigore a Casarsa. Uno dei tanti pareggi che alla fine peseranno. Lui rimane accanto alla squadra, portandosi dietro il gesso. Castagner continua a parlare di scudetto coi ragazzi, ma ha capito che non ci sono speranze. Dopo il pareggio di Catanzaro qualcuno gli chiede: “Cosa è mancato quest’anno al Perugia?” “I gol di Vannini”.
Una forma di flebite pregiudica la rieducazione. I medici consigliano prudenza, inutile rischiare. E non fanno previsioni. Lui parte per il ritiro di Norcia coi compagni, ma si allena sempre a parte. Subentra la paura di non riconoscere più il suo Perugia e di non esserne riconosciuto. Dopo una dolorosa sconfitta in amichevole contro la Ternana, Castagner dice chiaramente: “Non ho filtro a centrocampo . E non ho molte soluzioni finchè non rientra Vannini, l’uomo chiave. Senza di lui non avrei dubbi sul modulo a una punta”. Aveva temuto di dover smettere di giocare. Poi i compagni, i tifosi e il mister gli hanno fatto recuperare fiducia : “Sono sulla via della guarigione completa. Mi aspetto il miracolo della mia volontà. Non posso deludere tanta gente che mi vuole bene. Credo proprio che se continuerò a migliorare, sarò pronto per l’inizio del campionato”. Gli esperti pronosticano inequivocabilmente lotta per lo scudetto. Anche perché è arrivato Paolo Rossi. Al Condor tocca intervenire : “Sapranno cavarsela anche senza di me. Rossi sarà uno stimolo per i veterani. Giocheranno con più impegno. Poi vorrei dare un consiglio ai giovani: rimanere quello che sono, compattarsi secondo le loro caratteristiche e senza farsi venire la voglia di superare Rossi. I programmi restano immutati. Lasciamo perdere però il discorso scudetto: un campionato tranquillo”.
A settembre qualcuno lo vorrebbe in campo a Zagabria per la Coppa Uefa, ma lui frena. Lo provano per due volte in allenamento. Poi va a Coverciano dove lo visita il medico della nazionale cinese. “Tentiamo” dice il presidente. Poche settimane e Franco Vannini sembra vicino al rientro: deve rimandare ancora. La squadra non è più la stessa e lui non può fare nulla. La rabbia è troppa, il garbo istituzionale non regge più. E i lunghi monologhi interiori logorano. Proprio in quel momento c’è lì un microfono, pronto: “Paolo Rossi non ha dato al Perugia quello che poteva. Gli mancano gli stimoli per fare bene in una città di provincia che in definitiva ha scelto come ultima spiaggia. Lui non è legato alla città. Lui voleva andare al Milan o alla Juve. Per questo non ha rapporti autentici con i tifosi. Quando è in campo, ha in mente la Nazionale, gli Europei , interessi extra-calcistici. E spesso tira indietro la gamba. Ha paura delle botte e per questo gioca più arretrato e con meno determinazione”. Conclude accusando Dal Fiume e Bagni di “scarso rendimento”. Rientra più di due mesi dopo, il 17 febbraio 1980. Un’amichevole contro il Debrecen, organizzata per lui. Entra in coda ai compagni in un pomeriggio di sole. E il volto è tirato. Adesso vorrebbe solo uscire da quei dodici, interminabili, mesi di finta normalità. Vedendolo in campo, la gente si rassicura, come se ritrovasse una vecchia conoscenza. Al terzo minuto proprio lui appoggia per lo scatto di Casarsa lungo la linea di fondo. Poi eccolo in area staccare di testa nel mucchio. E alla sua maniera: Bagni per un soffio non conclude. Primo lungo applauso.
Tredicesimo minuto. Franco Vannini guarda il ginocchio . Poi si ferma sotto la gradinata e alza la mano. Si avvicina alla panchina. Deve lasciare. Un impercettibile cenno di risposta al saluto dei cinquemila. La partita continua, ma non interessa a nessuno. E’ la ferita dalla quale è possibile vedere la fine di quel Perugia. Un declino lento e inesorabile, un destino che si compie . La notte dorme mezz’ora. Sorride, non riesce ad abbattersi : “Non fate quelle facce. Si tratta solo di un risentimento al legamento della gamba. Una cosa in sé da niente”. La borsa di ghiaccio in mano e un altro sorriso stentato: “Sapete, in definitiva sarebbe stato meglio se mi avessero detto: ecco si è rotto, qui ha ceduto tutto. E invece ancora siamo al punto di prima. Io sto vivendo da mesi dei momenti drammatici. Cerco soltanto di capire quello che sta succedendo. Di doloretto in doloretto sto andando avanti da un sacco di tempo . Per quel che mi riguarda, io fino a giugno insisto. Riproverò, ormai sono corazzato a questi attacchi della cattiva sorte. Nel frattempo non ho nulla per cui piangere. Semmai ho qualche rimpianto”. Curiosamente l’assenza nello spogliatoio del Condor coinciderà col contagio delle scommesse. Sei mesi dopo annuncia il ritiro. Si accarezza le lunghe guance: “Noi giocatori modesti abbiamo bisogno di vincere qualcosa. Beh, io non ho mai vinto niente . Lasciare, anche quando si sa che è inevitabile, non è mai piacevole. Anche dopo averci pensato tanto . Ci tenevo molto a riprendere”. Certo non molla il calcio e nemmeno certi valori. Come la memoria. Che è anche la memoria di Renato. Porterà il suo nobile disprezzo per la mediocrità sulle panchine di mezza Italia. E, seppure a distanza di decenni, Fedele gli chiederà scusa. Forse Pier Paolo Pasolini l’avrebbe definita una di quelle storie che non concedono nulla, ma danno tutto. L’ultimo atto nella sede della società, proprio sotto la foto ingrandita del gol contro la Juventus quando su quel campo non vinceva nessuno.
Ernesto Consolo
Da Soccernews24.it