Cosenza, Marulla e il gol che non muore mai
Giu 18, 2025

Il pallone, in Calabria, ha un suono diverso. Rimbomba tra i monti della Sila, rotola lungo il Crati, attraversa vicoli e piazze dove il tempo scorre piano. A Cosenza, il calcio è una faccenda di cuore e di orgoglio, un rito antico come le mura normanne, un sentimento che non si è mai piegato, nemmeno nei giorni più amari. E in mezzo a tutto questo c’è un nome che ancora oggi, a distanza di anni, vibra come un canto popolare: Gigi Marulla.

Quando nel luglio del 1991 il Cosenza affrontava la Salernitana nello spareggio salvezza di Pescara, la città intera sembrava sospesa su quel gol. Era il 16 giugno, stadio Adriatico , caldo denso e afa che tagliava il respiro. E poi lui, Marulla, occhi fissi sul pallone, il numero 9 sulle spalle come un mantello antico. Sesto minuto del primo tempo supplementare, la rete che si gonfia. Salvezza. Pandemonio.

La curva cosentina in delirio

Quello non fu solo un gol: fu la definizione stessa del destino calcistico cosentino. Più di una vittoria, più di una promozione: fu l’affermazione identitaria di una squadra e di un popolo che viveva il calcio non come passatempo, ma come appartenenza.

“Marulla è il Cosenza”, dicono ancora oggi i tifosi al San Vito-Gigi Marulla, lo stadio che porta il suo nome come si porta il nome di un santo. Perché per Cosenza, Marulla non è mai stato solo un attaccante. È stato il capitano, il simbolo, il trascinatore. Un uomo che scelse la provincia quando avrebbe potuto andare altrove, che sposò la maglia rossoblù come si sposa una donna amata.

Marulla con la maglia del Genoa


Arrivò nel 1982, giovane e affamato, dopo qualche stagione tra Acireale e Avellino. Ci ritornò nel 1989 dopo Genoa e Avellino. Resterà per quasi undici anni, scrivendo la storia: 330 presenze, quasi 90 gol, record su record. Ma i numeri, da soli, non bastano a spiegare il legame. Marulla era il sorriso umile di chi non si è mai montato la testa, l’abbraccio al compagno che sbaglia, la corsa sotto la curva dopo ogni gol, le mani alzate verso il cielo di Calabria.

La grinta di Gigi Marulla, idolo del popolo cosentino



Anche dopo il ritiro, quando il fisico gli impose il passo indietro, Marulla rimase a Cosenza. Allenatore, dirigente, presenza discreta ma costante. Era uno di famiglia, uno che al bar del centro lo salutavi per nome, come un vecchio amico. Finché il 19 luglio 2015, il cuore si fermò all’improvviso. Alla vigilia dell’anniversario del suo rigore più famoso. Un crudele scherzo del destino.



Il dolore fu collettivo, sincero, popolare. Alle esequie, la città intera si strinse attorno alla sua famiglia. E il San Vito, che aveva esultato ai suoi gol, si trasformò in un altare laico dove scorrevano lacrime e cori. Da allora, il suo nome campeggia sopra l’ingresso dello stadio. San Vito-Gigi Marulla: come a dire che il calcio, qui, è fatto anche di memoria, di riconoscenza, di gratitudine.

Mario Bocchio

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