Werther Gaiani, il campione che la guerra non ci ha lasciato
Giu 17, 2025

Bologna, 1 settembre 1944. La sirena antiaerea urla nel cielo, sovrastata dal rombo dei bombardieri alleati. Un ragazzo di 19 anni corre per le strade del centro, cercando riparo. Ha gli occhi chiari, i capelli scuri spettinati dalla corsa, le gambe snelle e forti che tante volte hanno dribblato i difensori nei campi polverosi dell’Emilia. Si chiama Werther Gaiani. È un calciatore. O almeno, stava per diventarlo davvero.

La rappresentativa emiliano romagnola che, a Parma, vinse contro quella lombarda. Tra i giocatori anche Werther Gaiani


Werther Gaiani nasce a Molinella il 29 giugno 1925, quando il mondo sembra ancora lontano dal precipizio. Il padre, come tanti, lavora nei campi; la madre bada alla casa. È un bambino magro ma vivace, di quelli che passano i pomeriggi a rincorrere un pallone sgonfio tra i cortili e le aie. Presto, il talento emerge: controllo di palla naturale, rapidità nei movimenti, una visione di gioco sorprendente per la sua età.

La squadra di calcio del Molinella al “Littoriale” di Bologna nella stagione 1939-’40



A 14 anni, quando molti suoi coetanei frequentano ancora i campetti dell’oratorio, Werther esordisce in Serie B con la maglia della sua Molinella. È il 1940, l’Italia è appena entrata in guerra, ma sui campi di calcio si gioca ancora. In un pomeriggio che resterà nella storia, Gaiani entra in campo e non solo disputa la partita: segna un gol alla mitica Pro Vercelli. A soli 14 anni, 11 mesi e 4 giorni diventa il più giovane marcatore di sempre nei massimi campionati italiani.

Werther Gaiani



Una promessa. Forse una predestinazione. Ma la guerra incombe. Mentre l’Italia precipita nel disastro bellico, Werther continua a giocare. Viene notato dal Forlì, in Serie C, dove nel 1942-ì43 segna 15 reti e trascina la squadra alla vittoria del girone. Le sirene della Serie A iniziano a chiamarlo: Ettore Puricelli, il grande “testina d’oro” del Bologna, lo osserva durante alcune partite amichevoli e segnala il suo nome ai dirigenti rossoblù.

Il Bologna, pur con il campionato sospeso, lo mette sotto contratto. Ha appena 18 anni. Il sogno sembra ormai realtà: il ragazzo di Molinella sta per vestire la maglia della squadra campione d’Italia solo pochi anni prima, quella gloriosa del Bologna “che tremare il mondo fa”.


Ma la guerra non aspetta i sogni. Settembre 1944: l’ultimo bombardamento. Il fronte si avvicina. Dopo l’8 settembre 1943, l’Italia è spezzata in due. Bologna, importante nodo ferroviario e industriale, viene martellata sistematicamente dai bombardamenti alleati: quasi cento incursioni aeree tra il 1943 e il 1945, oltre 2.500 vittime civili.


La mattina del 1 settembre 1944, le sirene suonano ancora. Gli aerei americani colpiscono diversi obiettivi in città. Werther è in strada, forse in ritardo per un appuntamento, forse diretto al campo d’allenamento, forse semplicemente colto di sorpresa.

Una bomba esplode vicino a lui. Non c’è scampo. A 19 anni appena compiuti, il ragazzo che dribblava come un veterano e sognava i grandi stadi viene travolto dalle macerie.

Il Bologna, la Serie A, il calcio intero non lo vedranno mai indossare ufficialmente quella maglia. Resterà per sempre la grande promessa interrotta.

Il Bologna vincitore dello Scudetto nel campionato di Serie A 1936-’37


Oggi il nome di Werther Gaiani sopravvive nelle cronache sportive di chi recupera le storie dimenticate, inciso sulle lapidi di Bologna insieme a tanti altri giovani travolti dalla furia cieca della guerra. La sua storia non è solo quella di un calciatore mai sbocciato, ma anche quella di un’intera generazione falciata prima di poter vivere davvero.

La lapide che a Bologna ricorda anche Gaiani



Molti anni dopo, quando il calcio italiano tornò alla normalità, quando il Bologna tornò a riempire lo stadio con i suoi tifosi, qualcuno ricordava ancora quel ragazzo di Molinella, minuto e scattante, che sapeva sorridere anche sotto le bombe.

Forse, in un’altra vita, Werther Gaiani sarebbe diventato un idolo della curva, un simbolo di talento e fedeltà rossoblù. In questa, ci resta il suo nome come testimonianza fragile e preziosa di quanto la guerra abbia rubato.

Mario Bocchio


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