
Agosto 1925. Il sole sorge pigro su Milano, eppure un pallone rotola già all’alba. Sugli spalti: nessuno. Solo silenzio, autorità in bombetta, qualche gendarme e i due undici più odiati d’Italia: Bologna e Genoa. Alle sette in punto inizia la quinta finale. Quella buona. Quella senza tifosi, senza cori, senza sangue, almeno così sperano. Perché le precedenti non sono state solo partite: sono state battaglie.

Le cronache ufficiali parlano di cinque match, di due squadre a pari livello, di equilibrio sportivo. Ma la verità – quella che si racconta nei bar genovesi o nei portici bolognesi – è molto diversa.

Tutto comincia a maggio. Genoa, squadra dei titoli nobiliari, dei portuali rossi, dei marinai e dei ragazzi che sognano l’Inghilterra. Bologna, squadra di fabbri e figli di contadini, ma con un amico in alto: Leandro Arpinati, podestà, fascista della prima ora, amico del Duce, vero e proprio manovratore nel calcio.

Nelle prime due sfide, ognuno vince in casa dell’altro. Ma è al terzo atto, a Milano, che la tensione esplode. Al fischio finale, il campo è invaso. Urla, pugni, bastoni. Si dice che un arbitro venga minacciato con una pistola, che i fascisti bolognesi scendano dal treno con spranghe già sporche di sangue. Si dice, ma nessuno scrive.

La FIGC annulla il match. Si rigioca. Torino, luglio. Ancora caos. Stavolta la violenza sale di grado: alla stazione Porta Nuova si spara. Due tifosi del Genoa vengono feriti. Pistole vere, non metafore. Lo scudetto non è più un trofeo: è un’ossessione.
Il Genoa, nove scudetti, un’onorabilità da difendere, non ci sta. Ma qualcosa si muove sottotraccia. Arpinati manovra, telefona, impone. La stampa tace, o minimizza. Chi alza la voce viene silenziato. Il fascismo ha bisogno di ordine. E un Genoa vincente, troppo “rosso”, non aiuta.


Giovanni Mauro, arbitro del primo spareggio (a sinistra) e Hermann Felsner, allenatore del Bologna
Così si arriva al quinto match. A porte chiuse. A Vigentino, alla periferia sud di Milano, un campo polveroso ospita la finale più triste della storia del calcio italiano. Il Bologna vince 2-0. Nessuno festeggia, tranne i dirigenti. Il pubblico è assente. Il Genoa, umiliato, non si presenterà nemmeno alla premiazione.

Quel titolo, il primo della storia felsinea, ancora oggi brucia a Genova. È uno scudetto senza pubblico, senza bandiere, senza abbracci. Ma con pistole fumanti e fascisti in tribuna. Uno scudetto che non si dimentica.
Uno scudetto che, forse, non fu mai vinto sul campo.
Mario Bocchio