Il profeta e il campione
Mag 8, 2025

Nel cuore degli anni Sessanta, quando l’Italia correva verso il boom economico ma portava ancora addosso le ferite della guerra, due uomini molto diversi si cercarono e si trovarono. Uno indossava la tonaca, l’altro una maglia rossonera con il numero dieci sulle spalle. Uno predicava la speranza ai disperati, l’altro la faceva brillare negli occhi di un intero popolo con la grazia del suo sinistro. Si chiamavano Eligio Gelmini e Gianni Rivera. E insieme, a modo loro, cambiarono il modo in cui si poteva immaginare il legame tra calcio e coscienza.

Nereo Rocco, Gianni Rivera, Padre Eligio e Luciano Chiarugi alla “Domenica Sportiva” dopo Verona-Milan del 1972-’73 (foto archivio Magliarossonera.it)



Padre Eligio, già allora figura scomoda e magnetica, era più che un sacerdote: era un uomo di lotta. Si muoveva tra le carceri e i vicoli dove nessuno voleva entrare, cercando anime dimenticate dal mondo. Aveva fondato comunità, raccolto giovani perduti, affrontato poteri opachi e silenzi ingombranti. Ma nonostante il suo universo fosse quello della miseria e della redenzione, Padre Eligio non disdegnava il confronto con i simboli del successo. Al contrario, sapeva che per salvare i ragazzi, serviva anche il fascino della bellezza, della cultura popolare, dello sport. Divenne consigliere spirituale del Milan e fu così che conobbe Rivera.

Da sinistra: primo piano di Padre Eligio (Angelo Gelmini), insieme a Gino Bramieri e Rivera, con l’attrice Malisa Longo (le ultime due foto provengono dall’archivio di Magliarossonera.it)

Gianni Rivera, il “Golden Boy” del calcio italiano, era allora l’emblema dell’eleganza applicata allo sport. Non era solo un calciatore, era un’idea: quella di un’Italia gentile, pensante, sofisticata. Aveva una voce educata, mani da pianista e il passo leggero dei predestinati. Ma dietro quella grazia, c’era un ragazzo che cercava risposte, che non si accontentava della gloria.

1970, consigliere spirituale del Milan, con Gianni Rivera (foto archivio Magliarossonera.it)



Si incontrarono a Milanello. Rivera, incuriosito, volle parlare con quel prete dal piglio deciso e dagli occhi scavati. Ne nacque una conversazione lunga ore, che si trasformò in amicizia, e poi in collaborazione silenziosa. Rivera cominciò a visitare le comunità di recupero create da Padre Eligio, prima in incognito, poi con sempre maggiore convinzione. Lo faceva lontano dai riflettori, perché sentiva che lì, tra quei ragazzi che combattevano con l’eroina e l’abbandono, il pallone tornava a essere ciò che era all’inizio: un gioco capace di salvare la vita.

Padre Eligio a tavola con Rocco e Rivera (foto archivio Magliarossonera.it)



Per Padre Eligio, Rivera era la prova vivente che si poteva essere campioni senza smettere di essere uomini. Lo invitava spesso a parlare ai giovani, non di tattiche o di gol, ma di scelta, di disciplina, di dignità. E Rivera accettava. Una volta disse: “Eligio non mi ha mai chiesto di fare il testimonial. Mi ha chiesto di essere presente. E non c’è niente di più difficile”.

Nel 1969, quando il Milan alzò la Coppa dei Campioni, Rivera dedicò la vittoria anche “a chi combatte battaglie più importanti delle nostre”. Era un messaggio sottile, ma chi conosceva la sua amicizia con il sacerdote comprese il riferimento. Qualche mese dopo, fu proprio Padre Eligio a benedire uno dei centri più simbolici della comunità Mondo X, e volle che Rivera fosse lì, con lui, tra i ragazzi. Il fuoriclasse del Milan non si fece pregare.

Un fumetto d’epoca ispirato a Padre Eligio

Quel legame durò ben oltre la carriera calcistica di Rivera. Quando il numero dieci lasciò il calcio per la politica, continuò a sostenere l’opera del suo amico sacerdote. E anche nei momenti più difficili, quando la figura di Padre Eligio venne avvolta da polemiche e scandali, Rivera non lo rinnegò mai. “Eligio è uno che ha sbagliato camminando – disse una volta – ma sempre in avanti. Non ha mai girato la testa dall’altra parte”.

Libro “Le vacche di Padre Eligio”, 1975

Oggi, in un’epoca in cui il calcio ha divorato se stesso tra sponsor, algoritmi e piattaforme, quella storia di amicizia tra un campione e un prete sembra venire da un altro mondo. Ma forse è proprio per questo che va raccontata. Perché ci ricorda che il Milan non è stato solo Van Basten e Maldini, non è stato solo trofei e cronache. È stato anche Rivera che attraversa in silenzio una comunità di recupero. È stato anche Padre Eligio che sfida la morte con una palla tra le mani e una festa mondana.

Guerin Sportivo” n. 12 del 1976 con frate Eligio in copertina

E quando oggi a Milanello si parla di “valori”, qualcuno dovrebbe ricordare che, prima dei codici etici e delle campagne stampa, c’erano un ragazzo e un prete. E una promessa fatta tra loro: usare il talento non per vincere, ma per servire.

Mario Bocchio

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