
Bruno Pizzul, nato a Udine l’8 marzo 1938, è stato uno dei volti più noti del giornalismo sportivo italiano, voce ufficiale delle telecronache della nazionale italiana dal 1986 al 2002. Tuttavia, prima di intraprendere la carriera giornalistica, Pizzul ebbe un passato da calciatore, giocando come centrocampista tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60. Una delle tappe più significative della sua breve carriera calcistica fu il periodo trascorso al Catania, dal 1958 al 1960.
Nel 1958, Pizzul venne ingaggiato dal club etneo, che all’epoca militava in Serie B. “I dirigenti siciliani – raccontava sempre divertito – per mia fortuna sbagliarono valutazione, scegliendo me, forse per la prestanza fisica, e scartando l’altro, che rispondeva al nome di Tarcisio Burgnich, di un anno più giovane”. Trecentomila lire al mese più vitto e alloggio: furono queste le condizioni messe sul tavolo. Il ventenne Pizzul accettò di trasferirsi in quella che al tempo era soprannominata la Milano del Sud.
Con la maglia rossazzurra giocò due stagioni, contribuendo attivamente alla storica promozione in Serie A nell’annata 1959-‘60. Quell’anno, sotto la guida dell’allenatore Carmelo Di Bella, il Catania concluse il campionato al terzo posto, dietro Torino e Lecco, ottenendo così l’accesso alla massima serie del calcio italiano.
La promozione rappresentò un traguardo importante per la città e per il club, che tornava nella massima serie dopo anni di assenza. Pizzul, pur non essendo una stella della squadra, si distinse per il suo impegno e la sua dedizione, dimostrando grande spirito di sacrificio.

Uno degli episodi più ricordati della sua esperienza siciliana fu un’amichevole disputata tra il Catania e la Juventus, durante la quale Pizzul si trovò a marcare nientemeno che Omar Sivori, all’epoca una delle stelle più luminose del calcio mondiale.
Sivori, argentino naturalizzato italiano, era noto per la sua classe cristallina, il suo dribbling irresistibile e il suo carattere acceso. Durante la partita, Pizzul tentò con ogni mezzo di contenerlo, cercando di limitarne le giocate e di non lasciargli spazio per esprimere la sua straordinaria tecnica. Tuttavia, come lo stesso Pizzul raccontò anni dopo con il suo consueto tono ironico, il compito si rivelò proibitivo, anche se l’oriundo mise a segno un solo gol.
“Era come cercare di fermare il vento con le mani”, ricordava Pizzul. “A un certo punto mi guardò con quel suo sorrisetto beffardo e mi disse: ‘Ragazzo, non fare troppa fatica, tanto la palla la porto dove voglio io’. E aveva ragione!”.
Sivori fece impazzire la difesa catanese con le sue giocate sopraffine e la sua capacità di inventare calcio con una naturalezza disarmante. Pizzul, pur battendosi con onore, si rese conto di essere di fronte a un talento fuori dal comune. Questo episodio gli rimase impresso per tutta la vita e divenne una delle tante storie che amava raccontare nei suoi aneddoti sportivi.

A Catania Pizzul giocava e nel contempo continuava gli studi universitari, ma trovava anche il tempo per momenti spensierati come i tuffi come i tuffi in mare a Capo Mulini. Un giorno era con i compagni di squadra Giorgio Michelotti e Remo Morelli, lasciarono i portafogli in macchina che vennero rubati. Ma il ladro, tifoso rossoblù, non se la sentì di fare un torto ai suoi idoli e così li restituì alla sede del Catania con tanto di biglietto di scuse.
Bruno Pizzul rimase sempre legato alla città di Catania e al suo periodo in maglia rossazzurra. Anche dopo aver appeso gli scarpini al chiodo e aver intrapreso la carriera giornalistica, continuò a parlare con affetto della sua esperienza in Sicilia.
Pizzul stesso, in più occasioni, aveva ribadito il legame speciale con la squadra e i suoi tifosi: “Il mio talento era inversamente proporzionale alla passione con cui sono stato accolto dai catanesi”.
Bruno Pizzul ha lasciato un segno indelebile non solo nel giornalismo sportivo, ma anche nel cuore di chi lo ha conosciuto come calciatore. La sua esperienza a Catania, sebbene non sia stata la più brillante dal punto di vista tecnico, rimase per lui un ricordo prezioso, testimone di un’epoca di calcio genuino e passionale. E l’incontro con Omar Sivori ne fu uno degli episodi più emblematici: la dimostrazione di quanto il calcio possa essere un intreccio di talento, umiltà e grandi storie da raccontare.
Mario Bocchio