
La partita si giocò nel contesto del “Cordobazo”, la rivolta popolare contro la dittatura di Juan Carlos Onganía, che aveva sempre usato il calcio come strumento, come quando era appena entrato in carica e ricevette al Palazzo del Governo i giocatori reduci dallo scandalo di Wembley dopo i Mondiali del 1966 in Inghilterra, e come tre giorni prima della definizione della Coppa Intercontinentale del 1969 sosteneva che l’Estudiantes, guidato da Osvaldo Zubeldía, fosse “una squadra modello”.
Forse questa frase, e il fatto che la squadra argentina fosse stata accolta con oggetti lanciati da diversi punti dello stadio di San Siro, all’andata, quando il Milan vinse 3-0 e sembrava avere buona parte della vittoria in tasca, con una doppietta di Ángelo Sormani e l’altra rete dell’argentino Néstor Combín davanti a 60.675 spettatori, avrebbero potuto accendere la miccia di un Estudiantes molto nervoso per la rivincita alla Bombonera .
Come nell’andata in Italia l’arbitro era stato il francese Roger Machin, per il ritorno la FIFA decise che sarebbe stato il cileno Domingo Massaro, in un momento in cui la Coppa Intercontinentale si giocava in un doppio match tra la squadra campione della vecchia Coppa dei Campioni d’Europa (la Champions League iniziò solo nel 1992) e la Copa Libertadores d’America. E in caso di parità si arrivava ad un terzo incontro decisivo in campo neutro. L’Estudiantes fu la grande rivelazione di quegli anni.

Dickie Randrup, uno scrittore di La Plata, era presente anche lui alla Bombonera in quella finale, ha scritto un libro intitolato “Ho incontrato Pincharrata”.
L’Estudiantes fu la prima squadra non detta “grande” a vincere un campionato argentino, il Metropolitano del 1967, e a portare a casa la Copa Libertadores e l’Intercontinentale nel 1968 (rispettivamente contro Palmeiras e Manchester United). Poi vennero la Coppa Interamericana (contro i messicani del Toluca) e ancora la Libertadores nel 1969 (contro il Nacional di Montevideo). Il Milan era una squadra tosta, molto tattica e disciplinata, guidata da Nereo Rocco, che comunque sopportava la frustrazione di aver perso la Coppa Intercontinentale nel 1963 contro il Santos di Pelé e che ora cercava la rivincita con giocatori di grande calibro, soprattutto con il “Golden boy”, Gianni Rivera, che avrebbe brillato l’anno successivo ai Mondiali in Messico, e con i suoi precisi attaccanti Sormani e l’argentino Combín. Avevano indiscutibilmente vinto la finale della Coppa dei Campioni contro il giovane Ajax di un altrettanto giovane Johan Cruyff, 4-1 nella finale al Santiago Bernabeu.
L’Estudiantes, dal canto suo, aveva battuto il Nacional di Montevideo nelle due partite, 0-1 in Uruguay e 2-0 in Argentina. Ma tutto sembrava quasi definito dopo il 3-0 dell’andata a San Siro e inoltre, a quella partita, la squadra di Zubeldía non era arrivata per niente bene a causa dell’infortunio del suo attaccante Eduardo “Bocha” Flores, che giocò i suoi ultimi minuti prima di operarsi al ginocchio mentre il centrocampista Carlos Bilardo aveva due costole fratturate nonostante avesse insistito nell’entrare. Qualcosa di simile era successo nella finale di Copa Libertadores, quando il difensore Ramón Aguirre Suárez chiese all’allenatore un tappo da mordere mentre giocava a causa del dolore che avvertiva al menisco lacerato.

La squadra argentina aveva deciso di giocare di nuovo in casa alla Bombonera, proprio come nella Coppa Intercontinentale del 1968, quando batté il Manchester United 1-0 all’andata e poi pareggiò 1-1 al ritorno in Inghilterra. “La gloria non si raggiunge con un letto di rose”, scrisse Zubeldía sulla lavagna nello spogliatoio. Adesso tutto sembrava molto complicato ed il nervosismo di alcuni giocatori era evidente. L’attaccante rossonero Prati è dovuto uscire tra le braccia dei compagni a causa di un colpo di Aguirre Suárez, poi prese anche il duro colpo del portiere Alberto Poletti, che percorse diversi metri per attaccarlo quando era a terra, circondato dai compagni di squadra e con l’arbitro vicino all’azione. Al 30′ del primo tempo, Rivera riceve un brutto e sbagliato passaggio di Eduardo Manera, avanza pure Combín, elude Poletti e segna il gol italiano. È 4-0 e tutto sembra finito, ma il portiere dell’Estudiantes, inspiegabilmente, si inserisce tra i festeggiamenti degli ospiti, visibilmente nervoso e in vena di aggressività.

Tuttavia, prima dell’intervallo, due gol consecutivi arrivano dall’Estudiantes, al 43′, quando Marcos Conigliaro ha corretto con un colpo di testa un tiro di Bilardo che rimbalzava sulla difesa, e subito dopo Aguirre Suárez ha scoccato un altro tiro che ha battuto il portiere Cudicini. Sembrava che tutto l’Estudiantes si animasse di nuovo. Ma i nervi sono tornati in gioco. Una gomitata di Aguirre Suárez ha fatto sanguinare il volto di Combín e lo ha sfigurato, il difensore è stato espulso, fingendo di piangere, applaudito dai suoi tifosi, che gridavano “e colpisci, colpisci, colpisci Pincha colpisci”. Era stato espulso anche Rivera, a causa di un’altra botta di Manera, anche lui espulso. In un finale imbarazzante, erano nove contro nove quando i milanisti iniziarono a festeggiare il titolo, ma ancora una volta un Poletti impazzito si mescolò tra i rivali per attaccare Lodetti con un calcio di kung-fu, al punto che dovette intervenire la polizia per separarli.


Nestor Combin del Milan ha riportato lesioni al viso dopo essere stato aggredito da un giocatore dell’Estudiantes
Giunta negli spogliatoi, la delegazione milanese apprese che Combín era stato portato al commissariato di polizia e poi trasferito al 1° Reggimento di fanteria Patricios, dove era stato trattenuto perché aveva lasciato l’Argentina per la Francia all’età di 18 anni senza aver completato il servizio militare obbligatorio. Era stato nazionalizzato all’età di 23 anni. Solo la mattina dopo l’ambasciatore si è presentato con un certificato attestante che l’attaccante aveva prestato servizio militare, ma in territorio francese, con il quale l’Argentina aveva un accordo, e poi è stato rilasciato. Il giorno successivo alla partita, il volto deforme di Combín era sulla copertina di tutti i giornali europei. “La pagina più nera del calcio argentino”, era il titolo dell’allora rivista El Gráfico, che raccontava nei dettagli gli attacchi di Poletti, i colpi a Combín e come la testa di Rivera venne compressa tra Aguirre Suárez ed Echecopar. “Era una guerra e non una partita di calcio.”

Il noto giornalista spagnolo Alfredo Relaño, per molti anni direttore del quotidiano sportivo As di Madrid e già responsabile dello sport del quotidiano El País, ricordava di aver visto quella partita in Tv da casa sua di prima mattina, a causa della differenza oraria con l’Argentina. “È stato straordinario. Ho visto scene horror in cui termini come durezza o aggressività, così comunemente usati nel calcio, non si adattavano. Quella era ferocia criminale”, scrisse anni dopo.
El Gráfico insisteva nelle sue pagine: “No, Estudiantes… questa non era virilità… non era temperamento… non era coraggio… questa era un’apologia della brutalità e della follia… questo ci ha fatto vergognare tutti e dovrebbe far vergognare i responsabili. Se davvero vogliamo salvare qualcosa per continuare a credere nel futuro, cominciamo col ripudiare questo increscioso episodio”. Ma ancora più duro è stato Dante Panzeri, considerato uno dei più importanti giornalisti argentini specializzati in sport di tutti i tempi, e niente meno che nella sua rubrica per il quotidiano “El Día” di La Plata, quando sosteneva che l’Estudiantes “è la rappresentazione della violenza a scopo di lucro applicata al calcio”.

Panzeri odiava allenatori come Zubeldía o Juan Carlos Lorenzo, molto tattici, che secondo lui andavano contro l’estetica degli spettacoli al punto da dire che questa squadra “è l’Estudiantes di Zubeldía, non di La Plata” e chiamava il torneo “Copa Corruptores de América conosciuta anche con il nome irriverente di Copa Libertadores de América”. “C’è un uomo che scrive su una rivista (Dante Panzeri) che dice che siamo noiosi e i promotori di omicidio di gioco. Gli ho detto che saremo prevedibili ma nessuno ci batte, saremo noiosi ma riempiamo il campo e saremo assassini ma grazie a noi il calcio argentino è più vivo che mai”, rispose Zubeldía a Panzeri giorni dopo.
“Accetto che l’Estudiantes abbia uno stile che non mi piace. Riconosco che, quando sfrutta il fuorigioco, il suo è un gioco distruttivo, che annulla e logora gli avversari. Ma non lo fa con un criterio esclusivamente difensivo. Al contrario. Contro avversari che sanno giocare o sono pericolosi nel tirare i cross, evitiamo di impantanarci in difesa. Siamo usciti in gruppo per due motivi: lasciarli in fuorigioco e recuperare palla lontano dalla nostra porta”, ha provato a spiegare il coach “Pincharrata” e anni dopo lo ha giustificato nuovamente: “Quell’Estudiantes non aveva né mistero né laboratorio, come tante volte è stato erroneamente detto. A parità vince chi lavora di più e chi è più organizzato”.

Davanti alla rivista El Gráfico, nelle ore successive all’imbarazzo della Bombonera, Zubeldía ha provato a chiarire la sua posizione: ha poi detto di non aver mai ordinato un colpo, e anzi “nell’intervallo ho insistito per chiedere loro serenità ma non posso scusare quello che già tutti giudicavano, ma capisco la disperazione di alcuni giocatori, per tutto quello che stavano rischiando. Adesso dobbiamo accettare le nostre colpe. Tuttavia non posso dimenticare quello che questi giocatori hanno fatto per me e per l’Estudiantes. L’anno scorso avevo avvertito che la Coppa era un focolaio di violenza. L’ho detto dopo la partita Estudiantes-Independiente ed è registrato. Rocco e Cudicini mi accusano ma il portiere non dice che l’ho accompagnato lungo il tunnel perché non lo toccassero”.

La barbarie fu tale che il dittatore Onganía dovette parlare al paese deplorando gli avvenimenti e applicò un editto a Poletti, Manera e Aguirre Suárez con il quale li condannò a 29 giorni di carcere (finirono a Villa Devoto), erano ritenuti responsabili di alterazione dell’ordine pubblico, incitamento alla violenza o rissa. Si trattava di un editto creato per il calcio a partire dal 1968 e applicato dopo Estudiantes-Racing di Copa Libertadores.



Partendo da sinistra, Combin nel Varese, nel Torino e nel Milan
Quella volta, quattro giocatori erano già in carcere da quattro giorni (due per squadra e uno era Aguirre Suárez). Questa volta, Aguirre Suárez fu squalificato per trenta partite, Manera per venti, e Poletti, a vita, poi graziato quando finì il governo di fatto. Il difensore Aguirre Suárez andò in Spagna, a Granada, dove è ricordato per la sua tenacia, insieme a un altro giocatore di punta dell’epoca, il centrocampista uruguaiano del Nacional Julio Montero Castillo.

Poletti raccontò poi che un cappellano militare li incoraggiò a vincere ad ogni costo e che Onganía voleva che vincessero per coprire la crisi del Cordobazo. Bilardo non perdeva un solo giorno nel visitare i suoi compagni di squadra in prigione ed è stato l’autore della frase “in questo paese non ci sono alternative, è la gloria o il Devoto”, in riferimento al fatto che prima della partita l’Estudiantes era un modello per Oganía e dopo diversi giocatori sono finiti in prigione. “Quel giorno iniziò il mito del ‘soli contro tutti’ dell’Estudiantes, in riferimento all’Argentina e al mondo – scrive Randrup – perché l’opinione pubblica si voltò e da quella notte portammo con noi lo stigma che continua ancora oggi perché prima eravamo una piccola squadra intelligente, che ha gestito tutti i tipi di varianti sotto il suo controllo, e quella notte ha confuso intensità e intelligenza, tutto è andato molto storto e ha scritto una pagina nera”.

Questa partita ebbe anche conseguenze politiche perché l’Argentina si candidava a ospitare i Mondiali del 1978 e alcuni analisti ritengono che ciò abbia influenzato anche Onganía a decidere che alcuni giocatori dell’Estudiantes dovessero essere incarcerati, anche se altri si basano più sulla necessità di mostrare ordine e che tutto fosse sotto controllo. La verità è che dopo questa finale intercontinentale, molte squadre europee non hanno più voluto giocare con i sudamericani in questa competizione, e li hanno boicottati. Anche se nel 1970 l’Estudiantes divenne campione d’America per la terza volta, contro il Peñarol e il Feyenoord, campione d’Europa, accettò di giocare, mentre nel 1971, i campioni sudamericani del Nacional Montevideo dovettero accontentarsi di affrontare i secondi classificati d’Europa, i greci del Panathinaikos, o non disputare affatto la Coppa (stessa situazione per l’Independiente che nel 1973 affrontò a Roma la Juventus), come accadde alla stessa Independiente nel 1975 e al Boca nel 1978. Unica eccezione fu l’Ajax nel 1972, che non rifiutò di giocare contro l’Independiente. Solo nel 1980, con il cambio di formato in una partita singola in Giappone, i campioni europei accettarono di buon grado di tornare e il Nottingham Forest inglese affrontò il Nacional di Montevideo.

Combin era nato in Argentina, a Las Rosas, nella provincia di Santa Fé, ma aveva origini francesi attraverso la nonna materna. Ha collezionato otto presenze con la nazionale transalpina tra il 1964 e il 1968, segnando quattro gol. Ha disputato i Mondiali di calcio del 1966, sempre con la Francia. Parlando di squadre di club, deve tutto all’Olympique Lyonnais che lo ha lanciato.
Per i francesi era La Foudre (il Fulmine), per la sua velocità, in Italia Il Selvaggio, per il suo spirito combattivo. In Italia ha vestito le maglie di Juventus, Varese, Torino e Milan, per poi concludere la sua carriera ancora in Francia, prima a Metz e poi con la Stella Rossa.
È stato uno dei primi calciatori internazionali francesi a giocare all’estero e nella Serie A italiana, dove vinse tre titoli, tra cui una Coppa Italia con la Juventus, un’altra con il Torino e infine una Coppa Intercontinentale con il Milan.
Mario Bocchio