Un attimo prima di sbandare e uscire di strada, un attimo dopo una frenata senza fine, gli venne in mente una cosa buffa. Un’immagine piccola che galleggiò sull’onda di una memoria che da quel momento in poi avrebbe resettato tutti i suoi ricordi, per consegnarsi bianca come la neve all’eternità.
Il brasiliano triste Enéas de Camargo arrivò a Bologna nell’estate del 1980, dopo la riapertura delle frontiere.
Era un trequartista, uno di quelli che aveva il 10 sulla pelle prima che sulla maglia. Giocava per conto suo, di passare la palla ai compagni non ne voleva sapere. Era stato nel giro della nazionale con Claudio Coutinho nel 1976, quello era il suo biglietto da visita.
Una volta segnò di stinco. Fu contro il Perugia, era il gol del 4-0: “Ininfluente ai fini del risultato”, dissero alla radio.
Enéas (foto a fianco, con il brasiliano della Roma Falcao) esultò per dieci minuti di fila, aggrappandosi alla rete di recinzione dello stadio. Bologna lo amava. Un attimo prima dello scontro, otto anni dopo, non fece in tempo ad accorgersi di un camion che gli veniva addosso ma fece in tempo a ricordarsi di quella mattina di dicembre quando scoprì la neve.
Enéas de Camargo soffriva il freddo. Lo soffriva talmente tanto che andava in campo con la calzamaglia. Talmente tanto che prima di entrare infilava i piedi sotto il termosifone dello spogliatoio. Talmente tanto che quell’inverno appassì come un fiore senza luce.
Quando l’allenatore del Bologna, Gigi Radice, tornò dal Sud America disse: “Abbiamo anche noi il brasiliano: si chiama Enea”. Dimenticò una “s”, ma l’effetto samba fu lo stesso.
Il Bologna pagò al Portoguesa un miliardo, a lui andarono centocinquanta milioni. Si presentò all’aeroporto con madre, moglie e figlio: indossava un gessato grigio, sembrava un boss mafioso uscito da un film di Scorsese.
Durò un anno, poi tornò in Brasile, al Palmeiras. Finì male, raccattò ingaggi per un paio di stagioni, sbagliò un dribbling e scivolò nell’alcol. Ubriaco, sempre in bolletta, Enéas trovò un ingaggio in una squadra aziendale dalle parti sue, nel Brasile paulista.
“Ma si mangia la neve?” pensò quel giorno che alzò le persiane di casa e gli apparve un mondo che non conosceva. Non tenne l’emozione, pianse da solo, in cucina, mentre Bologna imbiancava.
Passarono otto anni, e l’ultima cosa che Enéas vide dopo la curva fu un camion.
Morì il 27 dicembre del 1988, a trentaquattro anni, per una broncopolmonite presa in ospedale dopo il ricovero per l’incidente.
Furio Zara