“Sei abbastanza scemo per poter giocare in porta”. Dopo questa frase la vita di Michelangelo Sulfaro, ex portiere messinese, è cambiata. A pronunciarla il maestro di calcio Giuseppe Bavastrelli dopo averlo visto impegnato in una partita tra amici in riva al mare. “Il mio primo campo di calcio è stata la spiaggia di Contemplazione – racconta Sulfaro – per me era solo un passatempo e da ragazzino praticavo altri sport come canottaggio e rugby. Non ero neanche portiere, un ruolo che come tutti i miei coetanei snobbavo. Poi quelle parole di Bavastrelli, pensavo fosse uno scherzo, ma l’istinto mi suggerì di accettare”.
Sulfaro nella Lazio
E così la sabbia ha lasciato il posto alla terra battuta dell’Arsenale. “Partecipai ad un torneo con l’Intergazzi, fu la mia prima esperienza in una competizione agonistica. Mi vide il Messina e decise di tesserarmi. E dire che mio padre non sapeva neanche che giocavo a pallone, per raggiungere lo stadio ‘Celeste’ dovevo prendere due autobus. Con l’Acr fui protagonista nel campionato Primavera nell’anno della promozione in Serie A. Non avevo neanche 16 anni e proprio per questo fui costretto a saltare la finale di Udine. Proprio all’ultimo mi comunicarono che vista l’età non avrei potuto neanche prendere parte alla competizione”.
Ma il giovane Michelangelo non molla e con lo sguardo sempre rivolto al beniamino Giuliano Sarti, inizia un’ascesa che lo porterà a vivere un sogno nel calcio che conta. “Restai al Messina – racconta – e l’anno dopo partecipai al campionato De Martino fino alla convocazione con la prima squadra neopromossa in A. Presi parte alle trasferte di Vicenza e Ferrara, era l’anno di Benitez e io avevo da poco festeggiato il sedicesimo compleanno”.
Nel calcio, come in altri contesti, vige la regola del nemo propheta in patria. Sulfaro non fa eccezione e così si allontana definitivamente da Messina. “L’Acr non credette in me – spiega – e per la prima volta mi trovai a dover andare via di casa. Mister Vellutini mi propose al Crotone dove lui avrebbe dovuto allenare. Ma alla fine in Calabria ci andai solo io e lì rimasi tre anni. Mi trovai in un contesto difficile e attraversai un momento cupo, ricordo ancora una invasione di campo durante il match Crotone-Massiminiana con l’arbitro portato via a braccia e una severa punizione di nove mesi di squalifica dello stadio”.
Sulfaro stringe i denti e trasforma Crotone in un trampolino di lancio. “Passai alla Sambenedettese in serie C, fu un anno magico terminato il quale fui eletto miglior giocatore del campionato. Mi notò Lovati che mi portò alla Lazio insieme a calciatori del calibro di Chinaglia, D’Amico e Wilson. Nel 1969 arrivò l’esordio in A contro il Torino, entrai a venti minuti dalla fine al posto di Di Vincenzo, ricordo l’emozione di vedere lo stadio Olimpico pieno. La settimana dopo fui confermato e iniziai da titolare la gara in trasferta con il Bologna. Dopo quindici minuti presi una ginocchiata in faccia, il medico mi disse di rialzarmi e continuare anche se sputavo sangue. Non c’era altra scelta, avevo il volto gonfio come un cocomero ma restai in campo. Mi ero fratturato la mandibola e dopo in ospedale mi chiusero la bocca con il fil di ferro, per venti giorni non toccai cibo e persi dodici chili”.
Nella Fiorentina (a destra) e nella Roma, sulle figurine “Panini”
Al rientro per Sulfaro si aprono anche le porte della Nazionale. “Finita la riabilitazione mister Lorenzo mi fece iniziare subito gli allenamenti al Flaminio, volavo da un palo all’altro. Nel frattempo il ct Azeglio Vicini mi convocò nell’Italia Under 23 e durante l’impegno con la Nazionale mi lussai una spalla. Ma la settimana dopo ero regolarmente in campo con la Lazio a difendere la porta nel derby con la Roma. La gara terminò in parità 1-1, presi gol da Capello su calcio di rigore”.
Sulfaro ai tempi del L.R. Vicenza
Da un rigore subito ad un altro parato. Il destino di Sulfaro poco tempo dopo è passato nuovamente dal dischetto. Al “Meazza” dagli undici metri si oppone a Gianni Rivera e blinda il clamoroso successo del suo Vicenza con il Milan. In mezzo le meno fortunate esperienze con Fiorentina e Roma e la vittoria sfumata per un soffio ai Mondiali militari in Iraq.
“Nel 1973 fui acquistato dal Vicenza – racconta Sulfaro – inizialmente feci la riserva a Bardin, ma a dieci partite dalla fine diventai titolare. Eravamo ad un passo dalla retrocessione, ma fu l’inizio di una clamorosa rimonta. L’apice proprio con il Milan che battemmo 2-1 a San Siro e io parai il rigore a Rivera. Riuscimmo a salvarci e io superai il mio record di imbattibilità. Quello è un periodo che ricordo ancora con tanto piacere. Lasciai Vicenza nel 1978, quando un certo Paolo Rossi iniziava già a far parlare di sé”.
A 35 anni il ritiro dai campi e la decisione di abbandonare completamente il mondo del calcio. “Se tornassi indietro rifarei questa scelta – ammette Sulfaro – per rimanere nell’ambiente calcistico avrei dovuto accettare compromessi e non mi andava. Così dedicai il mio tempo a portare avanti un’impresa commerciale di famiglia. Mi porto il ricordo di un calcio completamente diverso, i giocatori di allora oggi potrebbero giocare in ciabatte se avessero questo tipo di preparazione. Tutto è cambiato, i portieri stessi giocano molto più con i piedi e a me questa cosa non è mai piaciuta. Ma il vero problema sono i procuratori, girano troppi soldi ed il caso Donnarumma dovrebbe far riflettere”.
Sulfaro vive a Roma, ma quando può torna nella sua casa di Contemplazione, a pochi passi da quella spiaggia che l’ha lanciato nel calcio professionistico. “Il legame con Messina resta anche se mi sarei aspettato più considerazione”.