Un paio di giorni di relax. Se ne sta dietro una finestra dell’Hotel Rouge di Milano Marittima. L’ha invitato Antonio Cabrini. L’albergo è di proprietà della famiglia della moglie. Da quella stanza Paolo Rossi attende la definizione del suo passaggio al Milan.
Se ne va. Chiude anche la casa ai piedi della collina torinese e trasloca a Milano. Cena con il presidente Farina che ha deciso di puntare ancora su di lui. Poi si concede le ultime ore di libertà in Versilia. “Il sole di Ischia, Forte dei Marmi e della Romagna mi hanno ritemprato . La pubalgia e il problema al ginocchio sono un ricordo. Gioco a tennis senza nessun problema”.
La camicia chiara hawaiana lo aiuta a sorridere di nuovo. “Non c’è un motivo preciso per cui ci siamo lasciati con la Juventus. Cambiare aria era diventata una necessità. Si era sopita la voglia. Cosa che d’altronde è naturale quando intorno a te senti che non c’è più fiducia. Trapattoni mi sostituiva troppo spesso perché pensava che perdessi colpi. In realtà credo di essere stato un po’ sacrificato. E i tifosi non mi hanno mai voluto bene”.
A un ragazzo di quasi ventinove anni il calcio può sembrare ancora gioco e offrire l’illusione di rimanere bambino. Quello che sognava Gianni Rivera: “Mi ricordo quando è arrivato primo tra i cannonieri con Pulici e Savoldi a diciassette reti”. Poi si appropria anche della sua maglia, la numero 10 e non vuole mollarla più. Al Milan come preparatore atletico ritrova il professore Sguazzero, che l’ha avuto sotto mano al Como: “Paolo era rapidissimo nonostante l’intervento alle ginocchia. Il più rapido al test di Cooper dopo Scanziani”.
“Il Milan è il mio punto d’arrivo . Vorrei concludervi la carriera, vincendo qualcosa d’importante . Fra me, Virdis e Hateley possiamo fare una trentina di gol. Una decina posso farli io”. E’ ufficialmente nato il trio Vi – Ro – Ha . Anche se sembra solo il nome di un ricostituente, ai tifosi dovrebbe far dimenticare il Gre – No – Li.
Nei primi dieci giorni del ritiro salta tre allenamenti per una sinovite. E’ quel ginocchio sinistro che forse non riesce a reggere i carichi di lavoro. Poi sorprende tutti e gioca un’amichevole contro la Sambenedettese: cross teso di Virdis e lui la mette dentro di testa. E’ il gol del pareggio. Esce a fine primo tempo. Liedholm approva: “Sta giocando molto bene ed è tornato l’attaccante pericolosissimo del Mundial”.
Una settimana dopo c’è il Genoa . Si va sotto, gol di Faccenda. Poi c’è una mischia in area e Pablito entra in collisione con Testoni. Esce in barella e gli viene riscontrata la lesione a due legamenti della caviglia sinistra. “Non ci voleva. E’ capitata nel momento peggiore, proprio quando avevo superato i problemi al ginocchio e stavo ambientandomi”. Si trasferisce a Forte dei Marmi con la moglie per venti giorni di riposo assoluto.
Alla prima in campionato del Milan lui non c’è . E’ a Monza a vedere il Gran Premio con un gambaletto gessato. Quando lo toglie, rimane per giorni a Milanello ad allenarsi da solo. Anche con dolori lancinanti. E aspetta: “Le partite della domenica, quando non sono impegnato, mi piace sempre vederle”. Il 3 ottobre viene provato in amichevole contro il Varzi, una squadra di Prima Categoria. Gioca con i panchinari come Bortolazzi e Macina. L’ingessatura e la fretta di rientrare gli provocano un’infiammazione al tendine e gli fanno perdere altre due settimane.
Freme, vuole giocare. Non solo nel Milan: “L’astinenza deve finire. E aspetto la Nazionale. Se non possiamo rivincere il titolo, almeno ripetere Baires ‘78”. Ma di sinistro quasi non calcia. Prova una partitella al piccolo trotto e avverte dolore. Il primo novembre insiste per esordire col Pisa, ma Sguazzero è perplesso. Alla fine Liedholm lo lascia giocare: “Sento un po’ di dolore , ma sono convinto di potercela fare. Ho fatto grossi progressi in settimana, anche grazie a tre iniezioni di cortisone. Mi sembra di essere all’esordio nel Como con Beniamino Cancian”. Esattamente dieci anni fa.
A San Siro sono in sessantamila anche perché c’è lui. Manca dai campi da settantaquattro giorni. Si muove bene, due palle – gol . Il primo dicembre è il giorno del derby. Al quinto Evani dentro per Virdis , piatto per Pablito che sull’uscita di Zenga tocca sporco quanto basta: palo interno e Milan in vantaggio.
Lo marca (quando lo incontra) Bergomi. Lui si sacrifica soprattutto per Hateley. Poi Zenga gli nega il raddoppio, uscendo fuori area con le mani. “E’ inesatto dire che giochiamo a tre punte. Non siamo attaccanti statici, bloccati in area. A turno, uno di noi arretra anche di venti metri”. Ma l’Inter si diverte con la tattica del fuorigioco milanista e va sul 2-1.
Passano solo quattro minuti e Pablito è ancora al posto suo, su quella palla vagante: 2-2. “L’importante è sbloccarsi. Nell’ambiente del Milan ho ritrovato la tranquillità. Spero che la sfortuna abbia smesso di accanirsi contro di me. Dedico i gol alla squadra, al Milan. Mi sembra passato un secolo dall’ultima doppietta, non la ricordo proprio. E chi mi dava per cotto, è servito”. Tutto s’incastra alla perfezione. Sono anche i giorni del sorteggio del Mundial.
A Natale se ne va in vacanza in Spagna e si parla addirittura di un suo passaggio al Real Madrid. Ma Farina sta per mollare. E il Milan rischia il fallimento. Tra le cause ci sarebbero i sei miliardi sborsati proprio per lui: “Devo tutto a Farina. E’ stato uno dei pochi a credere in me. Mi auguro che non se ne vada. Qualunque cosa succeda, lui resta il mio presidente, il migliore di tutti”.
Torna e il 28 dicembre segna un gol alla Massetana in amichevole. E’ in costante progresso. Ad Avellino recupera un pallone sulla destra e sterza come ai bei tempi. Lo rimette in mezzo, Garuti respinge corto e Wilkins incastona all’incrocio : 1 – 1. Migliore in campo contro l’ Empoli in Coppa Italia. Segna un gol dei suoi, quasi di carambola. Quando esce per uno stiramento, il Milan viene eliminato.
La convocazione per il Mundial non è in discussione: “Sono di nuovo nel giro azzurro. Io non mi sono mai visto fuori. Qualcuno sì e magari adesso ci sta male”. C’è Milan – Verona: al trentaseiesimo Tassotti scende e centra . Splendida protezione della palla e girata di sinistro all’incrocio che esalta Giuliani. Pablito Rossi viene eletto “l’ambasciatore del Milan nel mondo”, in quanto “nostro calciatore più popolare e bandiera del Milan”. Perché è iniziata l’era del marketing, quella di Sua Emittenza.
A Udine contro l’Austria si riappropria della maglia azzurra dopo un anno. Da quel rigore al Portogallo. Si fa male dopo venticinque minuti. Ha la caviglia gonfia e salta il derby di ritorno. Al rientro trova Juve – Milan. E’ la prima volta per lui al Comunale contro gli ex–compagni: “Rivedere le maglie bianconere e il terreno del Comunale non desterà nessun sentimento particolare. L’unica cosa che mi manca sono gli scudetti e le vittorie nelle coppe europee. Ma penso che dal prossimo anno anche il Milan potrà recitare una parte di primo piano in campo italiano e internazionale”.
La squadra crolla. Lui stavolta entra di diritto tra i colpevoli. All’ultima giornata contro l’Atalanta buca una palla a mezzo metro dalla porta. Poi ne sbaglia un’altra. E gli scatti non ci sono più. Si attorciglia. E’ una delle sue partite peggiori della stagione. E il Milan non entra nemmeno in zona Uefa : “Non ci vogliono gli altri per dirmi che non sono più quello di una volta . Lo capisco da me. Lo vedo. Mi manca quel po’ di velocità, di scatto in più. Arrivo sempre ad un passo da ….. a un pelo da …. Non ho mai avuto un fisico per durare molto. Ma soprattutto ho avuto troppi incidenti e li ho avuti troppo presto. Da ragazzo ho dovuto fare a meno di tre menischi. Le mie ginocchia sono deboli, quasi vuote. Non è facile in queste condizioni. Ma mi illudo che non sia così”.
Berlusconi rassicura: Rossi rimarrà. Poi in poche ore l’ambasciatore del Milan nel mondo viene (diplomaticamente) invitato ad accettare la panchina oppure a trovarsi un’altra squadra. In provincia possibilmente perché “non ha mercato” oppure all’estero.
Lui parla con la testa china come se confessasse qualcosa, ma il tono è diverso: “Sono disposto ad andare in Francia, ma in una città di mare. Prima della Spagna ero in una situazione terribile. Venivo da anni di non gioco, solo un paio di partite. Dovevo recuperare credibilità , senso agonistico, fiducia, fiuto del gol. Molto. Oggi la mia situazione è diversa, più tranquilla. Faccio parte dei ventidue. E’ il mio terzo Mundial in paesi di lingua spagnola. Sarò ancora una volta Pablito”. Si va a Villa Madama a far visita al presidente del Consiglio, Bettino Craxi : “Paolo Rossi, da lei mi aspetto miracoli”.
Nell’amichevole contro la Cina la stampa lo boccia. Anche se con circospezione. Arriva la notizia che il passaggio al Monaco è saltato. Pablito sembra sereno, disinvolto. Sfodera il sorriso acquiescente, ma è una furia: “Ho imparato subito una cosa: che ti spremono e poi ti buttano via, senza problemi. Del mio passato non rimpiango una sola mia decisione. Tranne l’aver scelto Perugia. Ma fui quasi costretto. Non credo che direi sì al Napoli. Non me ne voglia la gente. Ma ho un assoluto bisogno di stare per conto mio. A Torino e a Milano l’ho potuto fare. E non sono così disperato da dover scegliere di andare dove non voglio”.
Viene svenduto al Verona: “Adesso mi sono messo il cuore in pace”. E’ il preludio alla resa incondizionata. Pranza con Galderisi, proprio quello che gli ha appena tolto il posto al Milan .
Si sale su un jumbo e si arriva a Puebla, duemila e duecento metri sul livello del mare. In Messico la sua fama è intatta perchè i quattro anni intermedi non contano.
Conosce le nuove regole d’ingaggio e sa di non avere il posto assicurato. Firma gli autografi. Ci sono le giornaliste del Sol de Puebla, quelle che sembrano fotomodelle. E’ il 19 maggio, c’è la prima partitella al Centro Deportivo: segna proprio lui. E il giornale messicano lo descrive così : “El Bambino anotò un hermoso gol tirandose una palomita de fotografia”. ( “Il Bambino ha segnato un gol con una palombella da incorniciare” ) . In realtà è stato un colpo di testa ravvicinato.
“Per ritrovare il gusto di vincere bisogna perdere. A me è successo”. Bearzot dice che vale la pena aspettarlo anche se è in ritardo di preparazione. Il 25 maggio gli azzurri giocano un’amichevole contro il Guatemala. Lui in campo dall’inizio. Il numero 20 sulle spalle è solo una coincidenza alfabetica. Pochissimi palloni toccati e tutti innocui. Spreca subito un assist. Dopo dieci minuti viene fischiato. Improvvisamente non riesce a dialogare con compagni con i quali lo lega una lunga militanza comune. Esce a fine primo tempo per Galderisi. Ma Pablito continua a definirsi in progresso, in gran forma . E il professor Vecchiet conferma. Anzi secondo lui a Vigo stava peggio.
Prima dell’esordio con i bulgari, c’è un’altra partitella. Cinquanta minuti in cui Pablito sbaglia tre gol su quattro, ma si muove meglio. E proprio Galderisi s’inceppa. Tanto che Bearzot dice : “Ricordo sempre la partita col Perù in Spagna. L’ho sostituito e me ne sono subito pentito. Lo vedo in netto progresso”. Sembra favorito per la maglia di titolare.
“Della partita non si parla mai, fingiamo di ignorarla. Si fanno le solite cose. Scopri la tensione nelle piccole manie che si moltiplicano. Per me, che ho fatto tre mondiali, la vigilia è sempre segnata dalle storie che ti porti dietro. Io sono più tranquillo che in Spagna, meno entusiasta che in Argentina”.
All’Azteca l’attesa sta per finire. Sono le undici e venti del mattino, in Italia quasi sera. Enzo Bearzot viene fuori dal sottopassaggio. Poi accende la pipa e annuncia la formazione: Paolo Rossi non c’è. Neanche in panchina. “Giocano i più in forma”.
Silenziosamente è accaduto un fatto deflagrante. In meno di un mese è stato depredato della maglia del Milan, del posto fisso in Nazionale e di qualcos’altro che non si vede. Sembra caduto in una strana indolenza: ”Io mi voglio molto bene. Da giovane me ne volevo meno. Significa che non ho nevrosi. Ho imparato a fare il contrario dei miei genitori che sono molto apprensivi. Noahsi voleva suicidare perché aveva paura di non ripetere un grande exploit. Io non vivo nella paura di non saper ripetere la Spagna e di notte dormo bene”.
Tutti i giorni Bearzot gli spiega che conta sul suo recupero e le ragioni che lo inducono a una soluzione alternativa. Lui soffre l’altura , i cambi di fuso e di clima. Il drappello dei giornalisti non fiata. Nessuno se la sente di profanare Pablito. Che a un certo punto non ce la fa più: “E’ stato come prendere un pugno. Io non sono così ingenuo da credere che giocherò ancora per molto. Quando dicono che in Italia uno può durare di più, sbagliano. Almeno non credo sia il mio caso. Troppo stress, troppe partite. Soprattutto con avversari che non sono mai scadenti. Troppe seccature anche. Non sopporto di non dover essere libero, di non avere tempo per me. Di essere rincorso dalla gente. Queste cose non rientrano nel prezzo della celebrità. Bisogna dire no, essere scorbutici , forse maleducati, ma il diritto a scegliere come e con chi vivere è sacrosanto. E non sorrido meno. Ma sorrido a chi pare a me. Essere ricchi non deve significare vivere inciampando sempre negli altri. Sono stanco dei giornali sportivi che ogni giorno chiedono anche quando non c’è niente da chiedere. Dei rapporti di fiducia che non ci sono più. Di non dover dichiarare nulla, altrimenti l’indomani ti ritrovi sbattuto in prima pagina in faccende in cui non c’eri. Nessuno di noi dice più cose serie, perché alle cose serie nessuno presta più attenzione”.
Lo chiamano “Paolo” adesso come un esordiente, come uno di cui non ci si può fidare. Nelle partitelle Bearzot lo sposta: prima con la “squadra dei blu”, poi coi “gialli”. Lui non segna. E quel temporale tutte le sere: “Il calcio consuma. Io stesso pensavo di essere a posto . Arrivato in Messico, ho scoperto di no. Dei compagni forse rimpiango Bellugi . Ma il fascino del Mundial è anche questo: lo aspetti per quattro anni e poi non giochi”.
Con la Corea serve la terza punta: e’ diventata Aldo Serena. “Sapevo che avrei dovuto fare la riserva . Bearzot mi aveva avvertito che c’era qualcuno in migliori condizioni fisiche. Non ero e non sono d’accordo, ma tale è il mio affetto, la stima e il debito di riconoscenza per Bearzot che ho accettato in silenzio”.
Nell’ottavo di finale contro la Francia qualcuno è costretto a ricordarlo. Almeno per un attimo non è più un ex. Esce dal perimetro di quell’albergo e dal ruolo di mite impiegato di concetto al quale sembra relegato. Accade pochi minuti dopo il gol di Platini: sulla respinta corta della difesa francese, tiro dal limite di Vierchovod e palla gol per Galderisi a due metri dalla porta. E’ la medesima azione del terzo gol di Pablito al Sarrià. Per la cronaca, Galderisi sbaglia.
Finisce un mondiale che non è nemmeno cominciato. E non solo per lui. Poche partite e ancor meno polemiche. “Ho sofferto tantissimo: il raduno a Roccaraso, poi i lunghi pomeriggi del ritiro. Nulla da fare, gli improvvisi vuoti di una partita che non giocavo più. Bearzot mi ha preferito Galderisi: ha fatto benissimo. Anche se questa decisione mi ha portato molti dispiaceri. Non credevo mi pesasse così tanto. Sarei uno stupido se dicessi che gli assenti hanno sempre ragione. Io mi sento uno sconfitto insieme a tutti gli altri. E’ stata un’esperienza sfortunata . E poi la Spagna era irripetibile. Forse è tempo che qualcuno si autoescluda dalla nazionale come fanno all’estero . Ora si ricomincia. Ma a mezzo servizio non m’interessa”.
Se sai che può essere l’ultima, te la vuoi giocare fino in fondo. Lo chiamano per la partita di Pasadena tra Resto del Mondo e Americhe. “Ci saranno state parecchie defezioni”. In attacco con Belanov e Rochetau. C’è un bell’assist di Magath e Pablito incrocia col destro al volo. Ne parla mezzo mondo.
Al Verona dovrebbe far coppia con Elkjaer, che ha alle spalle un mondiale splendido. Gli estremi che si toccano . Il giorno della presentazione gli affiancano l’altro nuovo acquisto Pacione, ancora il rivale per una maglia: “Non mi reputo ancora superato come centravanti. Mai come quest’anno mi sono sentito così caricato. Ho quindi intenzione di affondare i colpi e non mi considero out per la maglia della Nazionale. Ho lasciato la Juve perché ero costretto a giocare sempre più largo. E ho trovato un Milan costruito su Hateley e Virdis. Ora sento dire che al Verona dovrei rifinire per Elkjaer e va bene”.
E l’inizio è promettente. Non ci sono contrattempi. Prende casa nel centro storico di Vicenza. D’altronde lì è nato Pablito. In Coppa Italia trascina la squadra. A Bari prima gol di rapina. Quindi affondo e cross sul quale segna Verza : “Ho riscoperto il gusto di lottare. E sto rinascendo anche come uomo. Il Veneto mi porta bene. E poi il Verona dodici mesi fa era campione d’Italia. Gli stessi miei genitori vedono una luce diversa nei miei occhi. Torneranno a vedere le mie partite come ai tempi del Vicenza. Nelle grandi città come Torino e Milano non si trovavano bene”.
Alla prima di campionato c’è il Torino. Viene circoscritto dall’esuberante Francini. Sono intanto ripresi i malanni. Deve giocare calzando una scarpa speciale. E sui campi pesanti il ginocchio dà noie. “Una sera sono uscito con Michel Platini. A un certo punto lui ha detto: ‘Sai Paolo, io non ho più voglia di soffrire’. E io ne ho ancora voglia”.
Torna al gol con l’Avellino: è un rigore. Resta fermo e alza il pugno al cielo, aspettando l’abbraccio dei compagni.
Poi inizia a zoppicare per un’entrata di Ferroni e chiede il cambio. Ne segna un altro su azione a Udine, ma non glielo danno. Provoca un rigore, costringendo al fallo Edinho: non gli danno neanche quello.
Fino alla partita di ritorno in casa col Torino. Lo prende ancora Francini. Siamo sull’1-1. C’è una combinazione tra De Agostini e Galia da calcio d’angolo. Poi cross nell’area piccola. Pablito si trova lì , nella mischia e anticipa tutti : un gol da centravanti. Quello della vittoria.
Solo che su azione per lui sarà l’ultimo.
Lo chiama un giornale e gli fa una proposta: andare al Sarrià per presentare la partita Espanyol – Milan. Proprio nello stadio dei tre gol al Brasile. Lui accetta.
Poi c’è uno sciopero e rimane per cinque ore chiuso in aeroporto.
“Forse la miglior partita della mia vita è stata in quell’Under. Con Giordano numero 9 e Garritano con l’ 11 . Io avevo il numero 7”.
Ernesto Consolo
Da Soccernews24.it