“Se non vedo la cupola della cattedrale, sono perduto”
Ott 8, 2024

Quando arrivò al Matra Racing con Luis Fernández  ed Enzo Francescoli, Pierre Littbarski voleva rendere il club parigino un posto forte nel campionato prima di sognare in grande. Il finalista del Mundial messicano ha grandi ambizioni nella capitale e intende dimostrare il suo valore in Francia dove, dalla semifinale di Siviglia (1982), ogni giocatore tedesco è considerato un grosso bruto. Elegante e abile con la palla, l’attaccante della Mannschaft è una scelta saggia per il presidente Lagardère.

1987, Littbarski nel Colonia

Ma una stagione dopo, il berlinese di nascita (16 aprile 1960) tornò a casa dall’altra parte del Reno senza lasciare ricordi indelebili del periodo trascorso a Parigi. La colpa è di un record negativo (32 partite e 4 gol) e di prestazioni in campo poco brillanti. “Litti” si perde a Parigi, sbarrato dalla barriera linguistica, circondato da compagni di squadra individualisti e nostalgico del calore provinciale della sua vecchia Colonia. Dopo due brevi partite all’inizio dell’annata 1987-‘88, l’attaccante con le gambe arcuate riacquistò parte del suo cartellino (un milione di franchi o 153.000 euro) e tornò all’FC Köln su espressa richiesta dell’allenatore Udo Lattek . Pierre Littbarski riscopre la gioia di vivere e i punti di riferimento così importanti per il suo benessere.

Nel Matra Racing insieme a Luis Fernández (al centr0)  ed Enzo Francescoli

Al suo ritorno in Germania, “Litti” non ha mancato di scalfire il club parigino, secondo lui troppo stereotipato e privo di professionalità. Troppo felice di ritrovare il Colonia, l’elfo tedesco (altezza 1,68) ritrova il suo splendore e il suo dribbling devastante, quello che ha destabilizzato i difensori della Bundesliga sindalla sua presenza nell’ “Undici della Capra (Die Geißbock-Elf)” durante la stagione 1978-’79. Pierre Littbarski  aveva già giocato in club di quartiere (VfL Schöneberg, Hertha Zehlendorf) nella sua nativa Berlino, sfigurata dal Muro e da due dottrine opposte. Grazie alle sue qualità, “Litti” si affermò rapidamente a Colonia tra Harald Schumacher, Bernd Schuster, Dieter Müller e Heinz Flohe. Prestazioni tanto soddisfacenti da guadagnarsi il posto in Nazionale giovanile nel 1979, con la quale brilla per il suo efficace talento da gol (18 in 21 presenze).

1986 a Parigi, insieme alla stella uruguaiana Francescoli

Littbarski ha segnato una tripletta nella finale degli Europei (1982) a Brema contro l’Inghilterra, insufficiente però a superare l’handicap dell’andata (1-3, 3-2). Una disillusione preceduta da quella, ben più amara, della sconfitta della “A” nella finale dei Mondiali in Spagna contro l’Italia. Pierre Littbarski fu naturalmente convocato dalla Mannschaft il 14 ottobre 1981, nell’ambito di un’amichevole tra la Germania Federale e il vicino austriaco. Per quasi un decennio, “Litti” ha indossato la maglia della squadra tedesca 73 volte fino al titolo supremo in Italia del 1990, quando si ritirò dall’impegno con la nazionale il giorno dopo la vittoria della Germania sull’Argentina. La rivincita del 1986 che tagliò le gambe a Littbarski prima del suo arrivo a Parigi.

Ancora un’immagine di Littbarski durante la sua esperienza nel campionato francese

Questo è il titolo principale dell’attaccante del Colonia. Il più bello, quello che ogni calciatore sogna. Perché come club l’F.C Köln molto spesso si perde gli eventi più importanti. Secondo in campionato dietro Amburgo (1982) e Bayern (1989, ‘90) – è stato anche terzo nel 1985 e ‘88 – Il Colonia ha perso anche nella finale di Coppa UEFA del 1986 a spese del Real Madrid (1-5, 2-0).

“Gli undici della capra” puzzano di sfortuna, soprattutto perché il club non è certo migliore in coppa nazionale. Sconfitto dal Fortuna Düsseldorf nel 1980 (1-2) e dal Werder Brema nel 1991 ai rigori, l’F.C Köln vinse comunque la competizione davanti al rivale cittadino Fortuna Köln durante un derby molto combattuto. Pierre Littbarski ha segnato il gol della vittoria e ha vinto l’unico trofeo nazionale della sua carriera, che ha chiuso in Giappone nel 1997.

Mario Bocchio

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