Il suo urlo è diventato un’immagine iconica, l’Italia che non vince solo un Mundial, ma un’intera nazione che respira a pieni polmoni quegli anni Ottanta che hanno voluto dire positività, benessere e sogni. E che oggi invece significano nostalgia.
Nato a Careggine, il comune meno popolato della provincia di Lucca, nel 1954, Marco Tardelli è diventato nel tempo simbolo del calcio italiano. Tardelli ha raggiunto la soglia dei settanta anni. La sua carriera cominciò nella non lontana Pisa. Poi il Como, prima che spiccasse il volo con Juventus prima e Inter poi. E pensare che, se non avesse sfondato con il pallone tra i piedi, Tardelli nella vita avrebbe potuto fare il cameriere. Non solo avrebbe potuto, ma lo fece: “Presi il diploma da geometra – ha sempre voluto raccontare -, ma d’estate arrotondavo facendo il cameriere al Ciocco, dove all’epoca andava in ritiro il Napoli. Una volta portai il caffè a Juliano, Cané, Altafini e Zoff”. Da “cliente”, Dino Zoff diventò suo compagno di Nazionale. Fino alla notte magica del “Bernabeu” nella dolce ed euforica estate del 1982.
Domenico Tardelli, papà di Marco, aveva origini umili, contadine. Faceva l’operaio all’Anas, la madre invece era una casalinga.
Poi l’esplosione del Marco-calciatore aiutò tutta la famiglia, ma le sue origini, Tardelli, l’uomo dell’urlo, le rivendica con orgoglio ancora oggi: “Io ero di sinistra, sono sempre stato di sinistra, non ho mai cambiato idea in merito. Mio padre era un operaio che poi però si era staccato dal partito a seguito di alcune riunioni con i vertici perché non ci credeva più. Lui era un comunista cattolico, io sono solo comunista. Sempre e solo comunista”.