Prima che il pallone smettesse di ruzzolare, stoppato dal subdolo difensore invisibile e temibile numero col 19 sulla casacca virtuale, questo era il tempo dei grandi tornei pasquali giovanili in Valdinievole. Belle e curate manifestazione, intitolate a figure di immenso spessore umano, fra le quali Aquilino Bonfanti, maestro di football, signorilità, sportività e di vita. Esattamente il 12 aprile 2016, Lino, così lo chiamavano tutti, se ne andò, in punta di piedi, quasi per non disturbare, nella massima discrezione, come era suo costume.
Bonfanti nel Lecco
Nato nel 1943 fra la Madonnina e San Siro, milanese doc a dispetto di un cognome comune nel Granducato, alla Rizzoli, allora la terza squadra del capoluogo meneghino, capisce quale è il suo mestiere e la sua posizione in campo, la fascia sinistra. Lo prende il Milan. Quindi due belle annate al Lecco, e l’approdo all’Inter nel torneo 1967-‘68 .
Nell’Inter (a sinistra) e nel Verona
Poi lascia la Lombardia per un lungo e gratificante “tour” a giro per lo stivale vestendo le maglia di Verona, Catania, Catanzaro, Reggina, fino alla chiusura della carriera in Toscana al servizio di Pistoiese, Carrarese e Pontedera.
Ben oltre 400 partite fra serie A, B e C , un centinaio di gol segnati, ed almeno il triplo gli assist vincenti ai compagni. L’andatura molleggiata, stile Adriano Celentano, sfiorando appena l’erba con la punta degli scarpini e l’aria eternamente disincantata erano il suo biglietto da visita.
Per lui il calcio era puro e semplice divertimento. E lo ha insegnato con amore, dedizione e passione a tante generazioni di ragazzi.