Marco Rossinelli, classe 1949, spezzino, è stato protagonista e testimone di quel calcio romantico che fu e che oggi purtroppo non c’è più. Una vita – da terzino o da mediano – dedicata al calcio, passione ancora oggi coltivata facendo crescere una moltitudine di giovanissimi che confidano in un roseo futuro calcistico.
Marco, come nacque la passione per il calcio?
“All’epoca in cui ero un ragazzino non erano tanti i giochi a disposizione. Il calcio invece attirava tanti bambini. Prova a mettere dieci bambini in una stanza, attorno ad una palla, e vedrai come la palla attirerà la loro attenzione. Basti pensare ai tanti campi da gioco improvvisati, dove i giubbotti di noi ragazzi fungevano da pali della porta”.
Nella Sampdoria, in versione senza e con i baffi
Quale fu il tuo percorso iniziale?
“Cominciai dalle giovanili dello Spezia. Nacqui ala sinistra sennonché, durante una partita di calcio del campionato regionale juniores disputata a Genova contro la Sampdoria l’allenatore, mio zio, Mario Tommaseo – campione d’Italia nel 1944 con i Vigili del Fuoco Spezia –, essendosi fatto male il terzino sinistro, mi fece arretrare in quel ruolo; all’epoca era prevista una sola sostituzione. Disputai una bella partita e così diventai terzino sinistro”.
Nel 1970, poco più che ventenne, approdasti alla Samp. Come fu l’impatto con la A?
“L’impatto ebbe un certo peso perché, in quell’anno, gli acquisti della Sampdoria furono Suarez, Lodetti e Rossinelli. Trovandomi davanti a due celebrità del calcio – conosciute sulle figurine dei calciatori – mi rivolsi a loro dandogli del lei; mi invitarono a dargli del tu visto che eravamo diventati compagni di squadra”.
Soffermiamoci su un Samp–Inter dell’11 gennaio 1976, partita che stava per terminare 1-1. Negli ultimi minuti, l’arbitro fiorentino Ciacci assegnò un contestato rigore all’Inter realizzato da Boninsegna. Accadde l’incredibile.
“Devo partire dal ritiro di Rapallo pochi giorni prima della partita. Discutevamo, io e l’allenatore Bersellini, del gesto di Roberto Pruzzo, attaccante del Genoa che, contestato dai suoi tifosi, dopo aver segnato un goal in allenamento si era tolto la maglia andando via in segno di protesta. Dissi a Bersellini: ‘Mister, se segno un goal all’Inter butto via anch’io la maglia’. ‘Ti autorizzo a farlo’, replicò Bersellini. Segnai il goal del 2-2 all’Inter, ma venne annullato e di lì si scatenò la reazione dei tifosi sampdoriani”.
Goal annullato pare per fuori gioco di altro calciatore della Samp. Quando esultasti, lasciandoti scivolare per terra, a bordo campo, svenisti?
“No, non svenni. Andai semplicemente ad esultare verso la nostra panchina, ma il goal venne annullato ed a quel punto vi fu la reazione dei tifosi”.
Infatti, il tifoso sampdoriano Emilio Fierli invase il campo per raggiungere Ciacci.
“Sì. Lo raggiunse e diede a Ciacci – che aveva il fischietto in bocca – una borsellata in faccia. Mancavano pochi secondi al termine e Ciacci, contuso, sospese la gara”.
Intorno allo stadio montò una forte contestazione. È vero che il Fierli, fermato e condotto negli spogliatoi chiese scusa all’arbitro, ma questi le rifiutò annunciando denuncia contro l’aggressore?
“Di queste vicende non abbiamo mai saputo nulla. Perdemmo la partita a tavolino 2-0 ed il campo venne squalificato per tre giornate. Riuscimmo comunque a salvarci”.
Sempre in blucerchiato, sulle figurine “Panini”
Nel periodo in cui sei stato alla Samp hai avuto, fra gli altri, come presidente, Glauco Lolli Ghetti. Che ricordo hai?
“Di Lolli Ghetti ho dei ricordi particolari. Quando gli si proponeva di rivedere i contratti con noi calciatori era solito togliersi la scarpa e mostrare il calzino bucato. Fatto questo gesto diceva: ‘Non vedi come vado camminando io, che contratto vuoi rivedere…’. Certo è che, per i presidenti e dirigenti che ha avuto, la Sampdoria avrebbe potuto far concorrenza alla Juve di Agnelli. Ma quando si hanno ‘le vipere in tasca’, si è restii ad uscire i quattrini”.
Vista la rivalità Samp-Genoa, ti è capitato per strada di essere “beccato” dai tifosi genoani?
“Non mi è mai capitato di subire contestazioni, cose queste che possono capitare più oggi. Noi eravamo cittadini italiani dal lunedì al sabato, calciatori che giocavano per la propria squadra la domenica”.
Dopo la Samp, nel campionato 1976-‘77, ti attende Fiorentina.
“Venni dichiarato, con mio grande piacere, incedibile ma, nelle ultime battute del calcio mercato venni ceduto alla Fiorentina”.
Gli anni alla Fiorentina
La Samp ti rimase nel cuore tant’è, che al termine di ogni match, chiedevi il risultato della tua ex squadra. Ciò provocava qualche fastidio?
“Per me era normale chiedere cosa avesse fatto la Sampdoria, sei anni non si potevano dimenticare. Ma chiedere il risultato della Samp più che ai miei compagni di squadra, dava fastidio ad ambienti della dirigenza viola”.
Oggi chi segna un goal alla ex squadra non esulta “per rispetto”. Avresti fatto altrettanto all’epoca?
“Se avessi segnato un goal alla mia ex squadra certo che avrei esultato. Ero un professionista e venivo pagato per il mio lavoro. Quindi, perché non esultare? Il non esultare è anche una mancanza di rispetto nei confronti dei nuovi tifosi”.
Chi è stato l’avversario più cavalleresco?
“In campo le ho prese e lo ho date. Ho marcato gente come Hamrin, Jair, Domenghini, Causio, Claudio Sala. Se sbagliavo chiedevo scusa all’avversario”.
Dopo la Samp quale piazza ti è rimasta nel cuore?
“Ne ho girate diverse. Con il Pescara fummo promossi in A nel Campionato 1978-‘79. Ricordo San Benedetto del Tronto bella anche per il mare, città non capoluogo che per anni ha calcato la serie B. Vi giunsi nel 1980 e, con Nedo Sonetti allenatore, la Sambenedettese venne promossa in B”.
Un tuo motto recita “Le belle persone rimangono nel cuore”. Calcisticamente, chi occupa i primi tre posti?
“Eugenio Bersellini è stato l’allenatore che mi ha capito come giocatore e come uomo. Visto che la Samp andava in ritiro a Rapallo – città dove abitavo con la mia famiglia – ogni domenica mattina, dopo collazione mi diceva: ‘Vai a casa a salutare tua figlia e torna per l’ora di pranzo, alle 11,00’. Con Heriberto Herrera tecnico della Sampdoria ho avuto un rapporto difficile, non era facile andare d’accordo con lui. E non eri sicuro di partite titolare. Ho capito in seguito il valore della persona e la logica di certi suoi comportamenti. Nedo Sonetti lo ebbi come allenatore alla Sambenedettese. È stato un rapporto splendido. Lo conoscevo fin dai tempi dello Spezia quando lui giocava in prima squadra ed io nelle giovanili. A San Benedetto del Tronto quando eravamo da soli gli davo del tu, quando c’era tutta la squadra gli davo del lei”.