Dimenticate la triste attualità, nel segno di realtà calcistiche ischitane relegate in campionati regionali e provinciali.
Sì, perché il pallone isolano ha avuto un passato glorioso, caratterizzato anche da personaggi illustri dello sport italiano. Tra questi anche Bruno Pizzul, maestro della telecronaca con esperienze (fugaci e sfortunate) anche da calciatore.
Quando era dall’altra parte della barricata, il classe ’38 friulano vestì anche la maglia dell’Ischia Calcio. Bisogna tornare indietro alla stagione 1960-‘61, quando i gialloblu – freschi di fusione con la Bagnolese – furono per la prima volta protagonisti del campionato di Serie D. L’annata non fu di quelle memorabili, con l’Ischia che conobbe una cocente retrocessione alla luce di un cammino a dir poco fallimentare, segnato da appena sei vittorie in 34 partite.
Tra i pochi successi spicca quello contro il Caltagirone del 4 dicembre 1960, allo stadio Vincenzo Rispoli, in cui esordì in gialloblu proprio Bruno Pizzul. Per il difensore, giunto in prestito dal Catania, solo 5 presenze totali: bastarono comunque per entrare nel cuore dei tifosi, che – come riporta Pietro Ferrandino nel suo Storia degli sport isolani – lo battezzarono “Canna di zucchero” per il suo fisico longilineo ed esile.
L’amore tra Bruno Pizzul e i colori gialloblu non si spezzò nemmeno a distanza di quasi tre decenni. Nella stagione 1986′-87 l’Ischia Isolaverde conquistò la prima storica promozione in Serie C1 e Pizzul, ormai noto per le telecronache delle partite della nazionale di calcio, scrisse di suo pugno una vera e propria lettera d’amore sulla scorta dell’impresa di Franco Impagliazzo e compagni. Di seguito la significativa testimonianza del giornalista friulano, che ripercorre la sua breve ma comunque indimenticabile esperienza a Ischia.
“Ed è arrivato anche il gran giorno dell’Ischia: il calcio isolano festeggia, con legittimo orgoglio, la promozione in serie C1. Io chiedo il permesso di associarmi, nel ricordo di un’ormai lontana e fugace milizia nelle file del calcio ischitano. Arrivai in prestito dal Catania, nell’autunno del 1960, avevo un ginocchio in disordine, poco più di vent’anni, la consapevolezza che non sarei diventato un campione: accettai dunque quel trasferimento con entusiasmo, se non altro perché mi avrebbe consentito di giocare ogni domenica. La squadra disputava il campionato di quarta serie, andava maluccio e il mio arrivo, contrariamente alle speranze di dirigenti e tifosi, non determinò alcuna inversione di tendenza. Rimasi nell’isola una breve stagione, prima di tornare a Catania, ma quel rapido soggiorno fu sufficiente a farmi conoscere ed apprezzare il fascino di Ischia, splendida di paesaggi e calore umano soprattutto quando non è soffocata dalle orde disordinate e distraenti dei turisti.
Rammento in particolare i continui e spesso avventurosi viaggi in traghetto per le trasferte e per la frequenza all’università di Napoli: quel braccio di mare allo scoperto, tra Procida e Capo Miseno, d’inverno diventa insidiosissima e più di una volta l’imbarcazione era costretta a tornare al coperto. Ma ricordo pure quel gran signore di Filippo Ferrandino, che era un po’ il riferimento obbligato del calcio ischitano, i compagni tra i quali figurava Ernesto Milano, il professore che adesso fa il fisioterapista alla scuola di calcio di Bruscolotti (dopo esser stato anche al Napoli), il campetto di Porto d’Ischia, lassù tra i pini con la gente a mezzo metro dal campo, a soffiarti addosso il suo entusiasmo, la sua disapprovazione.
Era un calcio ruspante, quasi paesano, fatto di umori genuini: non conosco l’attuale realtà, ma suppongo che qualcosa di quella spontaneità sia rimasta nel mondo del pallone ischitano che ora s’affaccia alla grande ribalta. Sì, perché la serie C1 comincia a essere un palcoscenico di tutto rispetto. Il presidente Fiore può esser fiero dei suoi ragazzi ai quali chiedo di accettare il mio sincero compiacimento”.
Cristian Messina