La relazione tra César Luis Menotti e Diego Armando Maradona, emblemi del calcio argentino, è stata tra due persone che hanno sviluppato a lungo una reciproca ammirazione.
A tratti c’è stato uno scambio verbale violento, ma con un finale sensazionale: se è vero che Diego raggiunse i massimi livelli in Messico nel 1986 con Carlos Salvador Bilardo – rivale calcistico di Menotti -, non sarebbe sbagliato supporre che Maradona non sarebbe stato tale senza Menotti. “Se voglio continuare la mia carriera devo scegliere un solo allenatore, sarà Menotti” disse il Pibe.
Il primo allenatore campione del mondo con la Nazionale, è certo, provocò a Maradona il dolore più grande della sua carriera: non chiamarlo per il Mundial in Argentina nel 1978. Si può capire il contesto. Diego aveva 17 anni e, fino ai Mondiali, è stato un fenomeno nella Juniores argentina ma non aveva esperienza in Nazionale: ha giocato solo quattro partite, di cui solo una da titolare.
“Non voglio mai perdonare Menotti per il Mondiale del ’78. Casa mia era un disastro. Ho amato mia madre, mio padre. i miei primi amici… È stato un dramma, una cosa orribile”, ha detto più volte Maradona. L’ha ripetuto anche a Messico 1986 – in occasione del suo Mundial -, ma lo aveva detto anche ai Mondiali giovanili del 1979 in Giappone, quando divenne campione con lo stesso Flaco in panchina
Menotti ammirava e proteggeva il giovane prodigio ma, è vero, di tanto in tanto si teneva anche a distanza. “Maradona sarà Pelé quando segnerà mille gol”, disse l’allenatore nel 1981, quando Diego stava sfondando al Boca, e anche molti anni dopo insisterà sul preferire il brasiliano, di cui era stato compagno di squadra al Santos, nella sua carriera da giocatore. “È stato il miglior calciatore che abbia mai visto, anche sopra Maradona”.
Tuttavia, l’alchimia tra i due è stata reciproca per molto tempo ed è sopravvissuta prima al fallimento dell’Argentina a Spagna 1982 e poi all’esperienza meno felice del previsto di entrambi a Barcellona.
Ma qualcosa cambia alla vigilia di Messico 1986, quando la lotta tra Menotti e Bilardo – già alla guida della Nazionale – si fa verbalmente violenta. Maradona passò poi a difendere il suo allenatore del momento, che anche lui ne approfittò: può darsi che Diego sentisse più affinità con il calcio offensivo di Menotti, ma allo stesso tempo fu Bilardo a rafforzarlo e a circondarlo di coccole fino al titolo mondiale in Messico. Infatti, in mezzo a queste polemiche, Menotti disse che Maradona era un aquilone, frase che Víctor Hugo Morales avrebbe poi utilizzato per descrivere Maradona in occasione del secondo gol contro l’Inghilterra come un “aquilone cosmico”, un’ironia contro l’allenatore campione nel 1978.
Non solo: Menotti aveva addirittura affermato, prima di Messico 1986, che “Maradona ha perso la sua identità da tempo e la situazione sta peggiorando. Lo mostra adesso che vuole comprare una Rolls Royce. Il calcio è un gioco di persone e i professionisti di questo sport devono preoccuparsi degli interessi popolari, non fare quello che fa Maradona”. Poiché i rapporti tendono ad essere reciproci, negli anni successivi Diego sarà molto critico nei confronti di Menotti. Erano anche tempi in cui calciatori e allenatori lanciavano attraverso il giornalismo frasi acide che oggi sembrano impossibili.
Tuttavia, dopo Italia 1990 e la fine del ciclo di Bilardo in Nazionale – e la lotta che Diego e Narigón ebbero a Siviglia, nel 1993 -, Maradona a poco a poco si riconciliò con Menotti e si arrese ancora una volta alla sua saggezza.
Già nel 2017, Diego aveva ripetuto i più alti elogi possibili per Flaco. “Il miglior allenatore nella storia della Nazionale argentina è stato Menotti”, ha detto, e un paio d’anni dopo avrebbe celebrato il suo ritorno in Federazione come segretario delle Nazionali: “Mi fa un grande piacere. L’unica cosa che chiedo è che Menotti abbia ancora la forza di guidare il calcio argentino, perché sa come farlo”. Maradona morirà l’anno successivo, durante la pandemia, e Menotti, anche lui dialogando con i giornalisti, si dirà “distrutto”.
Mario Bocchio