Pier Paolo Pasolini diceva che le partite di calcio sono l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. Venti giorni prima della sua tragica morte, la serie A gli rende (involontariamente) omaggio. Seconda di campionato 1975-’76, Como-Juventus. In tribuna di vedetta Azeglio Vicini per visionare i tanti juventini che la coppia Bernardini – Bearzot intende convocare per la partita della Nazionale contro la Polonia. Potrebbero essere otto, nove o addirittura dieci. A sbirciare dall’alto anche Udo Lattek, tecnico del Borussia M’gladbach, prossimo avversario di Coppa dei Campioni.
Il tecnico della Juve, Carlo Parola dice di temere l’entusiasmo del Como neopromosso (5.000 abbonati) e si sbilancia: “La Juve giocherà per vincere o quantomeno per pareggiare. Non temiamo la battaglia perché sappiamo che il Como è squadra che gioca al calcio non a calci”. La Juve alloggia alla Pinetina di Appiano Gentile: ad Anastasi tocca il letto di Sandro Mazzola, a Dino Zoff quello di Boninsegna. Sergio Gori sceglie la stessa camera di otto anni fa, quand’era all’Inter. Sono proprio i mai troppo rimpianti anni Settanta.
Curve e tribune esaurite il sabato. Da Milano arrivano i bagarini. I tifosi lariani chiedono quello che sembra un miracolo. La sconfitta alla prima giornata contro il Napoli non è stata limpida, grida vendetta. E mister Beniamino Cancian, nel presentare le credenziali della sua matricola, vede già lontano : “Se riuscissimo a battere la Juventus, non avremmo fatto altro che compiere una grande impresa. Sono convinto che con il ritmo e la velocità, riusciremo a mettere in difficoltà i nostri avversari. Aggrediremo la Juventus: è la nostra unica possibilità di riuscita. E poiché i bianconeri sono un complesso cui piace giocare, confido che l’incontro possa tramutarsi anche in uno spettacolo di bel calcio. Il pubblico lo meriterebbe. Vincerà la partita chi avrà più energie da spendere”. Il capitano Claudio Correnti ci crede: “Ormai abbiamo superato l’emozione dell’esordio. Potremo apparire degli sbruffoni, ma siamo tutti convinti di fermare la Juve. Faremo in modo che siano loro a preoccuparsi di noi”.
Nel Como una mescola di giovani che faranno strada e attempati alle ultime cartucce. Addirittura l’attacco conta su due Rossi e non in senso politico: uno è Renzo, che prova l’ebbrezza della maglia da titolare fisso in serie A e l’altro è Paolo, un’ala destra che invece non gioca quasi mai. Troppo giovane. G.B. Fabbri al Vicenza gli cambierà ruolo e diventerà per tutti Pablito. La Juve è quella dei 51 punti, meno tre innesti : mister Trapattoni, Benetti e Boninsegna (rottamati Capello e Anastasi). Quest’anno sarà solo seconda.
Sotto una pioggia battente , il Como: Rigamonti, Melgrati, Boldini, Guidetti, Silvano Fontolan, Garbarini, Renzo Rossi, Correnti, Scanziani, Pozzato, Cappellini. La Juventus: Zoff, Claudio Gentile, Cuccureddu, Furino, Francesco Morini, Scirea, Causio, Sergio Gori, Anastasi, Capello, Bettega.
La Juve era andata in vantaggio con un assist di Causio, che l’inedita zuccata di Furino aveva trasformato in gol. Poi la neopromossa aveva guadagnato campo e messo sotto i Campioni d’Italia. Grandi duelli Furino-Correnti e Gori-Guidetti. Pozzato, imprendibile per un Capello fuori condizione, ha pareggiato ancora di testa. Bettega e Anastasi non pungono. Nella ripresa Juve ancora in difficoltà e, su un’uscita en plein air di Zoff, vantaggio comasco con Fontolan. Dietro regge solo Gentile e non è un buon segno. Zoff si riscatta evitando il crollo prima su Pozzato, poi sul falso nueve Scanziani. La Vecchia Signora prova a uscire gli artigli per il finale, ma Josè Altafini, che ha risolto più volte l’anno scorso, rimane in panca.
Il Como vuol dimostrare subito di non essere abusivo in A: sono i tre senatori Correnti, Garbarini e Cappellini quelli che allestiscono il possesso di palla per togliere pressione. Fino all’ 88’, quando il silenzio dello stadio viene squarciato dalle urla di Correnti, che rampognando Scanziani, se la prende direttamente con l’Altissimo. L’arbitro Gianfranco Menegali, che ha sentito, azzanna le pieghe del regolamento e decreta un calcio di punizione indiretto a favore della Juve. Anche se molti confondono il fischio con quello di chiusura.
Posizione defilata, da una ventina di metri. Capello tocca largo per la solita randellata di Cuccureddu, che incappa nella coscia di Fontolan e spiazza Rigamonti. Como-Juve 2-2. La pioggia romanticamente caccia via l’incantesimo della squadra neopromossa ed il pareggio è sacrosanto (stavolta è il caso di dirlo).
Beppe Viola interrompe “Tutto il calcio” per dare il finale dallo stadio Sinigaglia : “Como-Juventus 2-1”. Che sarebbe stato il risultato più giusto. Nello spogliatoio bianconero bocche cucite (è il caso di dirlo). Dall’altra parte, Cancian si sente candidamente defraudato , impacchettato e servito come il cappone di Renzo: “Tutti bestemmiano in campo, non è una bella cosa, ma succede sempre così. E noi dobbiamo perdere una vittoria ormai acquisita soltanto perché l’arbitro ci fischia una punizione contro perché uno tira un moccolo! E’ una cosa che non sta né in cielo né in terra. C’è da tirare qualche moccolo adesso, non prima”.
Menegali, che Dio l’abbia in gloria, non è vittima della solita, corrosa, sudditanza psicologica. Semmai può parlarsi del primo caso di legittima sudditanza religiosa. E’ comunque un arbitro con discreta esperienza, una quarantina di partite nella massima serie. Destinato alla finale di Coppa delle Coppe. In un curriculum non certo da khomeinista del regolamento, avrebbe già fischiato qualcosa di analogo per una trentina di volte. Ma chi lo conosce bene, garantisce che non è un bigotto, anche se va puntualmente in chiesa prima della partite, accompagnato dai due guardalinee. Tutto nei canoni, almeno fino all’ 88° minuto di questa benedetta (in tutti i sensi) partita.
Ecco Correnti, l’uomo del giorno, anzi l’Anticristo: “Tutti gli arbitri queste cose le lasciano correre . Il mio errore è stato quello di aver usato espressioni triviali in presenza della Vecchia Signora. Io non sono un mangia-arbitri, ma mi piacerebbe giocare ancora il tempo sufficiente per vedere un arbitro fischiare una cosa del genere a favore di squadre piccole tipo il Como, il Perugia, l’Ascoli e contro le grandi Juventus, Inter, Milan. Contro la Juventus sono stato ammonito per un fallo su Furino. Beh bisognava sentire cosa mi ha detto Furino, mentre l’arbitro era a pochi passi. Furino meritava l’espulsione”.
Il capitano lariano entra in trance. Ma la sua è confusione, altro che crisi mistica: prima negli spogliatoi ammette la bestemmia che ha rovinato il battesimo (laico) della matricola sul proprio campo. Poi l’indomani la trasforma : una semplice imprecazione in dialetto comasco scatenata da un rinviaccio di Scanziani, preoccupato da un’incursione di Gori. Viene comunque accertato che Correnti non ha mai fatto parte della setta degl’Illuminati. Anzi, non conosce nemmeno Tom Hanks. E diventa improvvisamente il miglior avvocato difensore di Menegali : “Noi giocatori dovremmo essere più educati e comprensivi quando siamo in campo, anche nei confronti dell’arbitro, tenendo ben presente che quando l’arbitro ferma il gioco per far battere una punizione , undici giocatori sono comunque con lui e undici contro di lui”.
Interpellato Aristide Guarneri , ex-armadio a tre ante della difesa herreriana, non ha dubbi : “Se l’arbitro dovesse applicare sempre il regolamento ogni qualvolta sente una parolaccia o una bestemmia, le partite non comincerebbero neppure”. Gli fa eco Giacomo Bulgarelli dell’ex-Bologna scudettato. Ed il compagno di squadra Ezio Pascutti: “Menegali ha esagerato”.
Sul Giornale di Indro Montanelli si scomoda un poeta del calibro di Alfonso Gatto, che si chiede candidamente: ”L’arbitro, in virtù stessa della sua personalità ch’egli fa di tutto per mostrare, fa parte dello spettacolo?”. Poi invoca un microfono per agghindare tutte le maglie dei giocatori in campo ed apprezzarne, ovviamente live, educazione e proprietà di linguaggio. In assenza delle perversioni biscardiane, il processo mediatico monta contro i giocatori del Como, che sconoscerebbero il regolamento. Mancano, ahimè, la moviola in campo e i balletti probatori sul labiale. Gira per l’Italia solo una foto, assai simbolica, con Correnti minaccioso che sembra voler schiacciare un Beppe Furino raggomitolato nel fango.
E sotto la lente finisce anche il tecnico Cancian che, invece che tenere la riunione tecnico-tattica in parrocchia, si ostina a tenerla nello spogliatoio. Da apprezzare l’ occasione propizia per un ripasso universale del regolamento dell’arte pedatoria che , infatti, all’articolo 12 (comma D) prevede, per espressioni triviali e bestemmie, l’espulsione e la punizione indiretta. Il presidente dell’AIA Carlo Campanati è costretto a intervenire e spiega che l’assegnazione del calcio di punizione indiretto da parte di Menegali non è “niente di insolito”. E che anche la mancata espulsione di Correnti è perfettamente spiegabile, perché rientra invece nella sfera dell’ interpretazione del direttore di gara. Un’altra voce libera (e autorevole), come Gianni De Felice sul Corriere della Sera parla di “inopportuna e pignolesca” decisione di Menegali , di “estemporanei e spesso irrazionali impulsi” arbitrali: insomma l’ uniformità di giudizio è perduta. Quasi come la fede.
Menegali non parla. Non può farlo. E non fa menzione dell’episodio nemmeno nel referto (non può fare nemmeno questo, non essendoci stata nè ammonizione , nè espulsione di Correnti). Siamo agli anni Settanta anche in questo. Ma nessun addetto ai lavori, tranne tra i comaschi, gli addebita espressamente colpe. Menegali incasserà la pubblica difesa di Concetto Lo Bello. D’altronde a fine torneo il Como finirà in serie B non per colpa degli arbitri. In fondo, in una giornata storta per tanti, pensiero unico vuole che la Juve sia stata salvata non dall’arbitro ma dalla Provvidenza, da sempre decisiva su quel ramo del lago di Como.
Dopo tanti anni, capitan Correnti ammetterà definitivamente la bestemmia e che in campo Menegali gli aveva ricordato la “grazia” sul cartellino rosso (tra l’altro era già ammonito, bastava un giallo). Bisognerà aspettare soltanto trentacinque anni per decisioni arbitrali analoghe contro calciatori della massima serie. La figura di Correnti dunque si staglia come vero (involontario) precursore. Voleva invece essere apprezzato per la dignitosa militanza nel calcio di provincia. Per aver vinto un paio di campionati. Per aver svezzato Marco Tardelli e altri del baby-boom comasco . Ma si dirà comunque sinceramente pentito. “E’ un po’ triste diventare famoso a 35 anni per questo. In campo, si sa, se ne dicono di tutti i colori: ma quella è stata una delle poche volte che non ho bestemmiato”. E quindi vivaddio, il regolamento.
E viva la Juve.
Questo articolo è dedicato a Beppe Viola, che amava il calcio e la vita
Ernesto Consolo