Quella maglia nera
Nov 18, 2024

Siamo come la Juve, mi dice un ragazzo, abbiamo girato a 26. Evviva, solo che la Juve è in serie A e il Casale in Interregionale. Il ragazzo, com’ è giusto, non ha ricordi e forse suo nonno non era nato nel 1914, quando il Casale vinceva lo scudetto. Forse il ragazzo o uno come lui ha scritto “Grigi tbc” sul muro di cinta, perchè qui l’ Alessandria è odiata quasi quanto la Pro, in questo pezzo del quadrilatero, maglie bianche maglie grigie maglie nere. A me piace girare per le strade e leggere le scritte sui muri.

Trovo un singolare mistione littorialbionica (“Dux lives”) all’ angolo di viale San Martino. Nei giorni della grande neve, sono arrivato a Casale in treno, partenza da Milano-Porta Genova, luogo cadente, ideale per addii strazianti, cambio a Mortara, “e l’ esultante di castella e vigna/suol d’ Aleramo” come un chiodo in testa. Di esultante, con questo tempaccio, c’ è davvero poco, ma è gradevole girare sotto i portici, entrare nei caffè (non bar, attenzione). Casa natale del ministro Lanza. Krumiri Rossi, unica specialità di Casale dal 1886. Sicchè è il centenario di questi frollini curvi e rigati, pare per ricordare i baffi di Vittorio Emanuele II. Perchè si chiamino come una tribù africana, è dettaglio che nemmeno Idro Grignolio, storico casalese, spiega con certezza.

Un giovane Umberto Caligaris con la maglia del Casale

Mi scaldo lo stomaco al caffè Rossignoli, un tempo covo dei tifosi nerostellati: qui arrivavano i telegrammi “abbiamo vinto”. Di fronte, la libreria Giovannacci: sorpresa, sul Casale calcio non c’ è nulla, neanche una riga. E in passato? Nulla. Meno male che in sede il segretario, Sandro Zaio, giovane e sveglio (avercene in A, di così), ha fatto ricerche per conto suo e m’ ha preparato un fascio di fotocopie. Ma prima andiamo al “Natal Palli”, lo stadio dedicato a un aviatore (come quello di Vercelli). Il nome di Palli, che col suo Sva rivaleggiava coi Fokker austriaci, è legato al volo su Vienna, era lui il pilota di D’ Annunzio. Una bufera lo schiantò nel ’19 sul ghiacciaio della Gurra. Di fianco allo stadio corre il canale Lanza. “Quanti vercellesi ci son finiti dentro, a calci nel sedere” m’aveva detto Piola. Il canale è la liquida e antica forca caudina per quelli degli altri campanili.

Giovanni Bertinotti

Teso nello stadio innevato, lo striscione Cinghiali club. Nel bestiario calcistico inventato da Carlìn (attorno al ‘ 27 se ricordo bene) i casalesi sono cinghiali, i vercellesi leoni, gli alessandrini orsi (e poi naturalmente zebre tori rondinelle grifoni canarini vespe). “Stella d’ antica gloria guida il Casale alla vittoria” c’ è scritto su un altro striscione, trascrivo perchè sembra un giochino della “Settimana enigmistica”, riconoscere il nome dell’ attrice. Questa faccenda della maglia nera con una stella bianca mi affascina per la sua unicità. Mi affascina al punto che credo alla versione corrente (chi può controllare se è quella giusta?).

Siamo nel 1909 e un professore dell’istituto tecnico Leardi, Raffaele Jaffe (morirà ad Auschwitz) arringa la scolaresca: “Nel 1215 (la prendeva di lontano, NdR) i vercellesi rasero al suolo Casale, ma i casalesi nel 1403 si ripresero le prede di guerra. Adesso i vercellesi dopo aver vinto un campionato d’Italia di football sono sulla strada per vincerne un altro. Non si può andare avanti così, bisogna fare qualcosa”. Opporsi, dunque, in tutto e per tutto. Immaginare la scena. “Di che colore è la maglia dei vercellesi?”. Tuona Jaffe. “Bianca, professore”. “E noi l’ avremo nera”. “Avremo bisogno di una stella che ci protegga, altrimenti ne prendiamo un sacco e una sporta” obietta uno studente, che oggi si sarebbe espresso in termini più crudi. “Mettiamo dunque una stella bianca sulla nostra maglia” concede il professore. Che una squadra fondata nell’ ottobre 1909 vinca lo scudetto cinque anni dopo è un mistero agonistico da considerare nell’ insieme: i casalesi sono gli ultimi “pionieri”, poi la guerra interrompe i festeggiamenti.

Per dare un’ idea della rivalità, dirò che i capitani di Pro e Casale, Milano e Barbesino, erano sotto le armi nello stesso reparto e non si rivolsero mai la parola. Alto e magro, una specie di Socrates senza barba, Luigi Barbesino era centromediano e allenatore dei nerostellati, solo cinque partite in nazionale, ma alla prima vittoria in trasferta (1-0 alla Svezia sul campo Rasunda di Stoccolma il 1 luglio 1912), all’ esordio con la maglia numero 10, lui c’ era. “Ah, poar Bigìn, che gran giocatore era” sospira il geometra Bertinotti. Povero Luigino, abbattuto nel ’42 sopra Malta. Giovanni Bertinotti è l’ala sinistra della formazione-scudetto, questa: Gallina I, Maggiani, Scrivano, Rosa, Barbesino, Parodi, Caire, Mattea, Gallina II, Varese, Bertinotti. Giocarono anche Siviardi, Ravetti, Ferraris e Ghena. In finale con la Lazio, 7-1 a Casale, 2-0 a Roma. Dopo 15 ore di viaggio in seconda classe, solo Barbesino e Ravetti sentirono il fascino dei monumenti romani, gli altri chiusi in albergo. Classe 1894, Bertinotti fa ancora a piedi due piani di scale (anche perchè non c’ è ascensore). Mi mostra la medaglia d’oro della Federcalcio, di forma curiosa e preziosa, la croce di cavaliere di Vittorio Veneto, quella per meriti di guerra, la foto di un nipote che gioca a basket. I ricordi gli arrivano con intermittenza.

Tifosi nerostellati al “Bar Everest”

Ricorda che erano tutti studenti, tranne Mattea, tutti casalesi tranne Mattea, di Torino, che tutti non beccavano una lira, tranne Mattea. Che Varese era un tiratore eccezionale e Barbesino un cervellone, un centerhalf come pochi. “Io ero portiere, poi mi son fatto male a un braccio parando un rigore e sono diventato ala sinistra. Dovevo solo andare sul fondo e mettere la palla in mezzo, che ci pensavano gli altri. Poi la guerra, ero figlio unico, dovevo fare solo tre mesi e invece sono finito al fronte, Trentino e poi Pasubio a scavare gallerie, ero tenente del Genio. Ho anche fondato una nostra squadra di calcio a Bressanone, 74 Battaglione, son tornato a casa e ho giocato fino al ‘ 21. Adesso lei mi chiede perchè c’ è così poca roba scritta, non lo so, so che sono morti tutti e son rimasto solo io“.

Il tifo casalese al “Natal Palli” negli anni Settanta, quando il Casale fu ad un passo dalla Serie B

Il Casale resiste a denti stretti in A fino al ’34, poi è stato un lento scivolare, con qualche impennata (secondi in C nel ‘ 78 dietro la grande Udinese di Giacomini, a Casale allenava Vincenzi). Allena anche adesso, Guidone, dopo esperienze a Fano e Cremona. Terzino dell’Inter, poi alla Sampdoria dove ha giocato fino a 37 anni. Una roccia, anche adesso a 54, solo qualche capello grigio e una grande carica umana. Fino all’ anno scorso aveva un ristorante sul Po. “Sono un uomo di fiume, della Bassa mantovana: mi piace pescare, andare a funghi, parlare con gli amici, avere una donna, la vita è tutta qui. Toccando ferro, saliremo in C2, ci mancherebbe altro, ci alleniamo tutti i giorni come i professionisti. Ho una buona squadra, di Casale c’ è solo Perotti, il regista è Scarrone, se lo ricorda, quello che chiamavano l’erede di Rivera?”. Ci rivedremo a cena per parlare d’ altro, di Rino Ferrario picchiato a Belfast, di Maradona, di tortelli di zucca e doping.

 Maurizio Schincaglia alla Juniorcasale nella stagione 1977-’78; alla sua destra, l’allenatore casalese Guido Vincenzi

Non c’ entra con Casale. Su Casale, m’ aggiorno alla redazione del bisettimanale “Il Monferrato” (fondato nel 1870), in via Roma che è poi la via delle “vasche” per cittadini e militari. I militari sono quasi tutti in borghese, ogni quaranta giorni giurano in duemila e Casale si riempie di parenti che assistono al giuramento. Andrebbe potenziato il turismo verde (le colline, i castelli) e culturale: c’ è o non c’ è una sinagoga e un museo ebraico considerato il terzo d’ Italia, dopo Roma e Venezia? E via Mameli gonfia di barocco, definita la Siena del Piemonte? E il castello dei Gonzaga? Nella storia di Casale s’ intrecciano Aleramo e Marazino, Facino Cane e i Paleologi. Ci sono molte opere di Leonardo Bistolfi, che meritò laudi dannunziane ma anche critiche feroci (come un epigramma lacerbiano che cominciava con: “È Bistolfi quella cosa/che ti scoccia pure i morti…”). I morti calcisticamente illustri ero già andato a trovarli: i casalesi Umberto Caligaris e Eraldo Monzeglio, due terzini. Il secondo due volte campione del mondo, discusso per un suo attaccamento al regime (giocava spesso a tennis coi figli di Mussolini), poi allenatore, me lo ricordo sul lago di Como, 5-6-1906/3-11-1981, un profilo in cotto. Di fianco, 1901-1940, il.

Annata 1979-’80, sulle figurine “Panini”

Chi non si ricorda l’ estrema difesa della Juve del quinquennio d’oro, quando il Trap doveva ancora nascere? Combirosettacaligaris, tutto d’ un fiato. Ci voleva Facchetti per battere il suo record di presenze in nazionale (59). Al mondiale del ’34 c’era, ma Pozzo gli preferì Allemandi. Chiuse la carriera al Brescia nel ’37 e non fece a tempo a diventare una vecchia gloria: a Torino, in un incontro fra vecchie glorie, se lo portò via un infarto, a 39 anni. Casale e calcio: ricordare Sergio Castelletti della Fiorentina, 7 partite in nazionale. Casale e sport: ricordare il motonauta Fabrizio Bocca e il cavaliere Caissotti. Casale ieri: chiamata la città bianca, la capitale del cemento, c’è ancora un notevole numero di morti per tumore alla pleura ma i cementifici spariscono, qui è nato l’Eternit, mettici anche due vincitori di “Lascia e raddoppia?”, il maestro Merlini sulla “Divina commedia” e Maria Luisa Garoppo, eletta a vistoso simbolo delle tabaccaie d’ Italia, per il teatro greco. Ma i simboli restano assai più degli scudetti. Nel volume “Le cento donne di Casale” cantate da Horatio Navazzotti nel 1591 e ristampato nel 1985, c’ è in appendice una serie di liriche di Jean Servato dedicate alle donne casalesi d’oggi. “Poi salisti sul palco/e col pettorale prodigioso/per poco non sedevi in Parlamento” non è roba da Nobel, ma dà l’idea. Da non dimenticare il prof. Guido Angelino, che ha tradotto “Arcipelago Gulag” in latino e ha spedito Tacito a commentare una partita di calcio. Nè Ludovico Ortona, adetto-stampa di Cossiga. Nè Giampaolo Pansa, per la verità. “Come sta il nostro Giampaolo? Eh, anche lui appena presa la laurea se n’ è andato, come tutti. Qui siamo un crocicchio, in un’ora di macchina sei a Milano, a Torino, a Genova…”. Da non dimenticare infine, per Casale e il Casale (dove, guarda guarda, hanno lavorato anche Cardillo e il figlio di Liedholm), i Cerutti intesi come famiglia e la Cerutti come industria di macchinari per l’ editoria e l’ imballaggio.

Un undici nerostellato nel campionato 1980-’81

Esporta il 90 per cento dei prodotti, cifra assai indicativa. Il cinquanta per cento dei rotocalchi del mondo è stampato da macchine Cerutti (l’ altra metà dalla Albert di Franckenthal: sono i due numeri uno, se mi si passa il termine). La Cerutti esporta dalla Russia all’ Australia ed è nata dall’ impegno del nonno operaio (e anche calciatore) dell’ attuale Cerutti, Giancarlo, che è anche vicepresidente di Lega semipro e buon amico di Boniperti (da anni, la Juve inaugura la sua stagione agonistica al “Natal Palli” e presta suoi giocatori giovani con un occhio di riguardo).

Giancarlo Cerutti, Camillo Venesio e Giampiero Boniperti sul terreno del “Natal Palli”

A Casale c’ è anche ogni anno il Torneo Caligaris per formazioni giovanili, secondo per importanza solo al “Viareggio”. Felice Falvo, attuale presidente dei Cinghiali (pochi li chiamano ormai così, io lo faccio per simpatia verso il cinghiale), è un alto dirigente della Cerutti. Insomma, dietro alla squadra, a garantire continuità da sedici anni, in un mondo di meteore, c’ è questa solida famiglia. Prospettive: se l’ Alessandria non è promossa in C1 e la Pro non retrocede e il Casale (come pare) sale in C2, considerato che il Novara è tranquillo, nel prossimo campionato si riforma il famoso quadrilatero e qualcuno in più andrà a fare il bagno nel canale Lanza. “Il nostro posto è in C2, di più sarebbe azzardato chiedere” dice Falvo. Ecco dove siamo finiti partendo dal 1914.

La Juventus era solita scegliere Casale Monferrrato per la prima uscita stagionale dopo il ritiro precampionato

Un passo indietro al 1913 per raccontare l’altra grande impresa del Casale: battere la “squadra più forte del mondo”, com’ era stato pomposamente definito il Reading. Gli inglesi erano venuti in tournèe in Italia accettando l’invito degli inglesi del Genoa. Vincono il 12 maggio a Genova, perdono a Casale il 14, vincono a Vercelli (ciapa ) il 15, il 17 a Torino battono la nazionale italiana e il 18 l’Inter a Milano. Cinque partite in sette giorni non sono uno scherzo e forse a Casale gli inglesi partirono le dimensioni del campo (90×46), ma al caffè Rossignoli si brindò per molti giorni. E quando il Casale battè 2-1 la nazionale italiana? Nessuno si ricorda come andò, però è vero, c’ è scritto, e in questa sicura vaghezza è il fascino delle storie di ieri.

Gianni Mura

Tratto da “Repubblica” dell’8 febbraio 1986

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