“Questo non è un libro su Sebino Nela il calciatore, è un libro su Sebastiano Nela. Cioè io. Chi cerca aneddoti sul calcio, oppure pettegolezzi su quello che succedeva nello spogliatoio della Roma fa meglio a cercare un’altra biografia. In libreria ce ne sono tante”.
A gamba tesa. Anzi, con il vento in faccia, come si intitola il libro scritto nel 2021 insieme a Giancarlo Dotto. Perché un orso, come si descrive lei stesso, a più di 60 anni si mette a nudo?
“Ci ho pensato per anni. Ho sempre tenuto dentro tutto. È il mio carattere mezzo sardo e mezzo ligure. Giancarlo me lo chiedeva da tempo: da qui, diceva, nasce di sicuro qualcosa di buono. Alla fine ho accettato. Ma lo dovrebbero fare tutti, perché tutti hanno qualcosa da raccontare. Ogni vita è importante, nessuna insignificante. Viviamo in un mondo che insegue i suoi idoli, un mondo di follower. Ma non conosciamo l’uomo che c’è dietro l’idolo. Così io ho raccontato Sebastiano. Tutto compreso, non solo quello che mi faceva comodo raccontare”.
Il calcio è omertoso, i panni sporchi si lavano in casa. Se un calciatore esce dagli schemi sputa nel piatto dove mangia. Se dice le solite banalità è un decerebrato a cui Dio ha messo nei piedi quello che non ha nella testa…
“Quando giocavo i rapporti erano diversi. Con i giornalisti, per esempio: entravano negli spogliatoi, si viaggiava insieme sui charter della squadra. La quotidianità impone rispetto, da dare e da avere. Si capiva presto di chi ti potevi fidare e di chi no. Certo, gli addetti ai lavori erano pochi, non come adesso. Quando sento per radio fare certe analisi… Essere professionisti vuole dire gestire le situazioni. C’è gente che non arriva a fine mese, non è ammissibile sprecare soldi e talento. Ci sono stati compagni di squadra con cui non ho parlato per un anno, ma in campo diventavano fratelli e guai a chi li toccava. La Lazio di Chinaglia ha vinto uno scudetto e si odiavano”.
Per avere dialogo bisogna cercare dialogo.
“Questo è un punto dolente. Quando vedo i giocatori di oggi con quelle cuffie enormi in testa, impazzisco. Così ci concentriamo, dicono. Così vi perdete il mondo, dico io. L’ho scritto nel libro: noi giocatori sul pullman cantavamo gli inni della Roma a squarciagola. C’era il proprietario di un ristorante a piazzale degli Eroi, laziale sfegatato, che ci aspettava e ci urlava: ‘Bastardi!’. E noi gli rispondevamo: ‘Pezzo di merda’. Cose meravigliose. È questo che ti carica. E voi vi isolate?”.
“Da romanista ho vinto meno di quello che volevo e potevo vincere, ma ero orgoglioso quando a Torino portavamo diecimila persone e gli juventini, che poi incontravo in nazionale, mi dicevano: che tifoseria che avete!”.
Sebino Nela è un romanista che non odia il Liverpool.
“È come la mia Genova. Pioggia, vento, porto, una squadra amata alla follia dalla sua gente, ‘You’ll never walk alone’. Non li ho odiati nemmeno la notte della finale di Coppa Campioni. Erano una grande squadra, ci poteva stare anche la sconfitta. Molto peggio aver perso contro il Lecce in quel modo”.
I grandi tormentoni romanisti: il gol di Turone e il rigore di Falcão.
“Paulo lo doveva tirare perché nel momento del bisogno sono i più bravi che ti devono tirare fuori dai guai. Lo pensavano in tanti, l’ho detto solo io. Giancarlo Dotto mi ha confessato che Falcão gli ha detto che se tornasse indietro tirerebbe il rigore. Ci siamo rivisti un paio di anni fa all’Olimpico. Alla fine gli voglio bene, ha fatto tanto per la Roma. Ma non è vero che ci ha cambiato la mentalità. Quella era una squadra di campioni ma prima di tutto di uomini veri. E con gli uomini veri non sbagli”.
I migliori allenatori?
“Liedholm e Eriksson. Ottavio Bianchi è stato giudicato da tanti in modo sbagliato. Klopp mi piace perché con lui il calcio sembra gioia e non la sofferenza spesso incomprensibile del milionario”.
Nel libro racconta di aver sparato a una persona, il pusher che riforniva di droga la sua prima moglie.
“Non era uno stinco di santo. In quegli anni non ero il solo ad avere una pistola. L’aveva anche Agostino”.
Nessuno può dirlo, ma se Agostino non l’avesse avuta… “Mi chiedete se sono favorevole alle armi? No, non lo sono, la mia l’ho chiusa in un cassetto. Se esci e incontri un altro che ha un’arma, alla fine sei costretto a usarla. Sono contrario alla liberalizzazione delle armi. Però se guardo all’economia mondiale vedo che i grandi profitti si fanno con le armi e la farmaceutica. E qualche domanda me la faccio”.
Nela ha subìto quattro operazioni per un cancro al colon. La malattia l’ha allontanato da sua madre e sua sorella, con le quali non parla da anni. Ha perdonato Falcão ma non sua madre.
“È stata una brutta storia che mi ha segnato per sempre. Non saper esprimere sempre i propri sentimenti non significa che tu non li abbia. Sembro diffidente, ma ho sempre avuto e voglio ancora avere fiducia nelle persone. Per questo il tradimento mi trova senza difesa. Così, quando chiudo è per sempre. Più hai amato una persona e più può farti soffrire. Sta a te venirne fuori. Il libro finisce così: ‘Ringrazio tutti quelli che mi hanno fatto del male, grazie a loro sono diventato un uomo migliore’”.