Una Pasqua di guerra e di liberazione. Domenica 25 aprile 1943, si gioca l’ultima giornata di Serie A. Manca un mese allo sbarco degli americani in Sicilia, al bombardamento su Palermo e al ritiro forzato dei rosanero dal campionato di Serie B. È l’ultimo atto di un duello che ha appassionato l’Italia per tutta la stagione, che ha distratto dal conflitto e dalla fine del regime fascista. A 90′ dalla fine, per il titolo è corsa a due. Il Torino che si avvia a diventare Grande e guida la classifica, gioca a Bari. Appena un punto sotto resiste il Livorno, la grande sorpresa del campionato, che all’Ardenza ospita il Milano (la versione autarchica del Milan): è la partita più importante nella storia dei toscani.
Il Livorno è tornato in Serie A da due stagioni. Nel 1940-‘41 si salva all’ultima giornata ma arriva in semifinale di Coppa Italia battendo tra le altre il Savona. L’allenatore Viola nota l’ala destra Piana e organizza due amichevoli contro i liguri. Il Livorno perde la prima, ma torna a casa col contratto di Piana. E dopo tessera il centromediano Traversa, che sarà una delle colonne del campionato 1942-‘43. Sarà proprio Piana a segnare il gol della salvezza nell’estate del 1942, ancora contro il Milan, allenato dal livornese Magnozzi. È lui che apre il 2-0 completato da Viani. Fu cambiato l’allenatore, al posto di Viola arrivò Fiorentini che aveva allenato Atlanta e Inter. Il presidente Bruno Baiocchi cambia allenatore, punta sulla voglia di riscatto di Ivo Fiorentini dopo un pessimo campionato con l’Ambrosiana Inter. La campagna acquisti è mirata. I portieri ci sono (Silingardi e Assirelli), serve un paio di terzini: arrivano Ermelindo Lovagnini, militare in Marina a Spezia, e il possente Eto Soldani dal Pisa come rincalzo. Il centrocampo rimane con il veterano Capaccioli, amaranto fin dal 1936, Stua, Zidarich e Tori. In attacco si aggiungono al confermato Piana, Renato Raccis, scoperto a Prato e Pietro Degano, dotato di classe purissima e facilità di tiro, in gol l’anno prima all’Ardenza con la Fiorentina. Più che una grande squadra, una grande incognita.
Si parte il 4 ottobre 1942, festa di San Francesco patrono d’Italia. I presagi per il Livorno son tutt’altro che incoraggianti. Alla prima giornata gli amaranto vincono sì 2-1 col Venezia in rimonta, ma giocano praticamente in dieci quasi tutta la partita perché si fa male Traversa. Fiorentini è costretto a cambiare formazione. Capaccioli, che parte laterale, si sposta nel ruolo di Traversa, da centrale: sarà una rivelazione. La mezzala Mario Zidarich, preso per 67 mila lire su indicazione di Magnozzi cinque anni prima dal Milan, passato attraverso un infortunio al menisco, arretra in mediana. Al suo posto andrà a giocare Athos Miniati, unico livornese in squadra. Cambi che faranno la fortuna del Livorno.
Lo stravolgimento obbligato arriva prima della trasferta al Filadelfia, contro il Torino di Kuttik che in casa non perde in casa da un anno e mezzo: eppure, gli amaranto vincono in rimonta 2-1 (gol di Zidarich e Degano). Mentre a Torino, il presidente Novo interviene, e il netto successo nel derby la settimana successiva apre nuovi orizzonti a una stagione nata col piede sbagliato, il Livorno comincia a volare. Tuttavia, scrivono Ossola e Tavella nel Romanzo del Grande Torino, “pochi pensavano che i toscani fossero qualcosa di più di un fuoco di paglia. Si pensava avessero deciso di assumere questo adagio come principio di esorcismo preventivo”. La convinzione comune, infatti, vede la Roma, campione in carica, come la vera rivale del Torino, e il Livorno come la classica sorpresa di inizio stagione destinata a sgonfiarsi. Ma la Roma non si è rinforzata in estate, il campionato dei giallorossi resterà fin troppo anonimo.
Roma e Torino, di fatto, saranno vicine solo nella semifinale di Coppa Italia del 23 maggio, in un’Italia ormai ridotta a un ammasso di macerie per i bombardamenti alleati. I giallorossi riescono a raggiungere Torino solo dopo due giorni di viaggio avventuroso. È ormai l’unico obiettivo per riscattare il campionato, la Roma dà battaglia con l’ardore quasi mai visto in stagione: all’85’ è ancora 1-1. Poi il Torino passa in vantaggio, con una rete dubbia. I giocatori della Roma circondano l’arbitro Pizziolo convinti del fuorigioco. Uno di loro tira un calcio all’arbitro che non vede il colpevole ma espelle il capitano Amadei, che non c’entra nulla e ha anche perso il forno di famiglia a Frascati. Fornaretto sarà radiato e solo alla ripresa della normale attività dopo la guerra, in una cena cui partecipa anche Pizziolo, si ritrova ad ascoltare la confessione di Dagianti.
Col passare delle settimane, le rivali cominciano a guardare il Livorno con altri occhi. Il 2-0 di Bergamo vale doppio: la squadra è partita il giorno prima, in terza classe, è stata fermata due ore in galleria a Genova per un allarme bomba, poi di nuovo a Pavia, ed è arrivata a Milano solo alle sei di mattina, con la stazione in fiamme ad accoglierli. Raggiungeranno Milano su un carro bestiame. Il Livorno infila sei vittorie consecutive prima del pareggio in casa contro il Bari. Poi, però, maturano tre sconfitte in quattro partite che convincono Fiorentini a passare dal metodo al sistema, il WM che arriva dall’Inghilterra, la rivoluzione di Herbert Chapman alla base anche delle fortune del Grande Torino. Novo, intanto, esonera Kuttik e richiama Janni, il Leone di Duisburg, che da giocatore aveva contribuito al primo scudetto granata. Alla fine del girone d’andata, Livorno e Torino guidano la classifica a 21 punti.
Il 24 gennaio del 1943, più di 30mila spettatori riempiono gli spalti dell’Ardenza per lo scontro diretto con il Torino. Il Livorno, si legge il giorno dopo sulla Stampa, “scende sul terreno ben deciso a vincere per mostrare a chi non lo crede ancora che è una squadra irresistibile, che il primo posto in classifica è sua di buon diritto, che non c’è avversario — anche se si chiama Torino — che gli metta soggezione; il Livorno che è e si sente forte, che ha polmoni doppi e garretti d’acciaio. Un Livorno che, raffigurato come una giovane triglia guizzante, è, invece, un mastino dai denti aguzzi, pronto a mordere e a lasciare il segno”. Dopo un minuto, l’arbitro Scorzoni annulla il gol di Piana per fuorigioco e nega un rigore ai toscani per mani di Ferrini: la percezione di ingiustizia aumenta. Nel secondo tempo, i toscani non hanno più lo stesso impeto, “i calci d’angolo che il Livorno accumula non fruttano nulla. Il Torino resiste. Sa cosa vuol dire non perdere questo incontro e tiene duro. Per la prima volta nell’annata (l’altra volta vedemmo la Juventus vincere con troppa facilità all’Ardenza) abbiamo ammirato il vero Livorno, rivelazione del torneo. Neppure adesso diremo che si tratta di una autentica grande squadra, ma piuttosto di una unita che può essere di esempio per tutte le compagini metropolitane ricche, almeno sulla carta, di assi patentati. Il Livorno ha tutto occorre per fare molta strada in campionato”.
A tre giornate dalla fine, però, il Torino è davanti al Livorno di un punto. E le successive due domeniche non cambiano lo scenario, fino alla Pasqua di passione e di resurrezione. Il Torino, con una felice commistione di veterani della vecchia guardia e giovani in attacco, gioca a Bari, che non ha ancora dimenticato del tutto gli insegnamenti di Erbstein, l’allenatore ungherese che ha forgiato il Grande Torino ma ha dovuto lasciare l’Italia per le leggi razziali. I pugliesi si stanno giocando la salvezza, e in avvio Ferraris II fa tremare i tifosi e la traversa. “Su qualsiasi altro campo avremmo risolto la questione assai prima: qui a Bari le traverse hanno la pancia” dirà. Il portiere Costagliola si supera, mentre all’Ardenza il Livorno rimonta contro il Milan. Dopo il vantaggio di Morselli, le reti di Traversa e Capaccioli, per l’occasione schierato all’ala, portano il punteggio sul 2-1. A Livorno non c’è partita, e il tris di Raccis al 57′ chiude il discorso. A fine partita i giocatori fanno il giro di campo, ma a Bari la gara è iniziata più tardi, si sta ancora giocando. Quando mancano tre minuti alla fine, Ossola va a battere l’ennesimo calcio d’angolo. Mazzola va di testa, la difesa respinge, Ferraris II tenta il contro-cross, ancora ribattuto. La palla arriva a Loik che sente i tifosi battere le mani e la passa un po’ alla cieca, ma in mezzo ai rimpalli e ai tocchi disordinati si materializza Meazza: 1-0. È la prima vittoria del Torino a Bari da quando la Serie A è diventata a girone unico. A Livorno la notizia per un po’ arriva distorta, il pubblico esulta, crede al gol dei pugliesi. Restano le lacrime per un sogno svanito. Resta il più bel campionato nella storia del Livorno.