“Lo Bello ci chiese se suo fratello poteva stare in panchina con noi”
Feb 13, 2024

Nella Fiorentina

La storia comincia in una sera d’estate del famoso 1968, quando Andrea Arrica e il presidente della Fiorentina Nello Baglini si incontrano in ristorante. Di quella cena, della carta dei vini (che ebbe il suo ruolo) e del menu (che ne ebbe uno altrettanto importante, visto quello che ci scrissero sopra i commensali) si è racconta in dettaglio. D’altra parte Mario Brugnera quella sera non era presente. Entrò in scena qualche giorno dopo, quando prese un aereo per Cagliari insieme a un suo compagno di squadra della Fiorentina, un certo Albertosi. Ancora non lo sapeva, ma era un biglietto di sola andata. In rossoblù si trovò bene, tanto da restare in squadra per la bellezza di 12 anni con un record di 328 presenze.

A Cagliari si trovò anche meglio, tanto da aver conservato felicemente la residenza in “una gran bella città di mare”, ma soprattutto una città “dove a noi dello scudetto vogliono tutti un gran bene, anche troppo”. Il suo modo per ricambiare è stato dispensare lezioni di calcio, quello giocato (che ha insegnato nella sua scuola ai Mulini) e quello pensato.

Questo signore veneto tantissimi anni fa, quando ne aveva 22, comparve sul prato dell’Amsicora e cominciò a tirare fuori dal cilindro tanti e tali numeri di virtuosismo calcistico che i tifosi se ne innamorarono in quattro e quattr’otto. E lo ricompensarono con un nomignolo che riassumeva tutta l’ammirazione per i suoi palleggi da giocoliere e le sue prodezze funambolo: Zanfretta.

Insieme a Gigi Riva

Calcio d’altri tempi, soprannomi d’altri tempi. Oggi se l’ultimo dei terzini non lo chiami il Guerriero o il Gladiatore o il Cacciabombardiere è probabile che si offenda. Invece all’epoca – quando si poteva vincere uno scudetto senza bruciare nel calciomercato cifre apocalittiche e c’erano addirittura dei pazzi che sceglievano di restare nella stessa squadra per più di un anno di seguito – si poteva anche appioppare a un giocatore amato e ammirato un nomignolo che oggi forse suona irriverente, ma in realtà era solo affettuoso.

Non sarà una cosa originale da dire, ma le cose andavano diversamente. Era possibile, per dirne una, che l’arbitro si portasse in campo un parente per fargli vedere dal vivo una partita più importante delle altre. Dicono sia successo a Torino. Dicono che quel giorno giocasse il Cagliari. Dicono che fosse il 15 marzo del ’70. Dicono bene? “Sì. Quel giorno arrivò l’arbitro Lo Bello e prima dell’inizio della partita ci chiese se per cortesia suo fratello poteva stare in panchina con noi”. Non fu una cortesia da poco, perché il fratellino del fischietto più famoso e più protagonista d’Italia si godette a un passo dalla linea di bordocampo un’epica Juventus-Cagliari 2-2, anticamera del match che consegnò ai sardi la certezza aritmetica dello scudetto.

Brugnera, capitano dei rossoblù, saluta Franco Causio prima di Cagliari-Juventus (2-1) del 30 marzo 1980

“È vero, per festeggiare dovevano passare altri novanta minuti, ma fu quel giorno che capimmo di essere campioni d’Italia. Era tutta una questione di testa, di morale: se la Juve avesse vinto avrebbe ripreso lo slancio, con quel pareggio la affondammo psicologicamente”. Con quel pareggio e con quel rigore concesso sul finale, quando si perdeva 1-2: “Il rigore c’era tutto, fu una decisione impeccabile. Quanto al fratello dell’arbitro, non avevamo motivo di non ospitarlo sulla nostra panchina: avevamo un sacco di spazio, mica c’erano tutte le riserve che ci sono oggi. Se n’è stato lì con noi, tranquillo, a tifare Cagliari fino alla fine dell’incontro”.

È vero che il numero 10 è un numero in estinzione, schiacciato dallo strapotere muscolare degli attaccanti e dall’arroganza fallosa dei terzini?

“Macché, il 10 è un numero che resterà sempre associato al nome dei più grandi. È vero che oggi è più difficile, c’è molto più pressing, si gioca più veloci, ma è vero anche che chi ha quel numero sulle spalle di solito è uno dei migliori sulla piazza. Anche il 7 è un numero magico, fa pensare a Garrincha, oppure l’11, o l’1. Ma il 10 è speciale, non ne esiste un altro così fascinoso”.

Con Dino Zoff

Non si faccia sentire da Gigi Riva.

“Certo, Gigi. Quando si è infortunato ci siamo sentiti male. Allora non è che ci fossero chissà quali ricambi, non lo potevamo sostituire così, da un momento all’altro”.

Però prima dell’infortunio qualche soddisfazione ve la siete tolta, o no?

“Quando ripenso al giorno dello scudetto mi emoziono ancora. C’era un gruppo di noi giocatori che abitava in piazza Giovanni: ci è toccato fuggire dagli appartamenti”.

Sulla copertina dell’ “Intrepido”

Troppo baccano in strada?

“No, entravano proprio in casa”.

Brugnera Sulle figurine “Panini”

Al termine della carriera, capitano del Carbonia in Serie C2

Magari quella sera si è emozionato anche Scopigno.

“Un tipo unico, non ne ho mai incontrati altri così. Parlava pochissimo, ma con uno sguardo riusciva a dirti tutto. Un giorno non mi mette in squadra, io ci resto male e vado a protestare. Dico: ‘Mister, ma perché non gioco?’. E lui: ‘Secondo te’” e mi fissa negli occhi. E in quel momento capisco che lui sa benissimo che avevo fatto tardi il venerdì sera, e che voleva farmelo capire senza dirmelo”.

Brutto non giocare?

“Brutto”.

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