Sono passati 47 anni dal rapimento di Roberto Santoro. Un libro ricostruisce la sua storia e quella di altri dieci tifosi del Racing Avellaneda scomparsi.
“Gruppo sanguigno A, fattore Rh negativo, 34 anni, una figlia, 12 ore al giorno nella ricerca assurda, castrante, disumana di uno stipendio che non basta. Due lavori. Vivo in una stanza. Figlio di operai, ho coscienza di classe. Mi rifiuto di essere un travestito del sistema, quella macchina sociale marcia che fa sì che un uomo smetta di essere un uomo, costringendolo ad avere una sveglia nel culo, un infarto nel cuore e un lucchetto nella sua bocca”.
Così si descriveva Roberto Santoro, poeta e giornalista, in un testo pubblicato sulla Revista Rescate nell’ottobre del 1973. Fu rapito da una banda durante l’ultima dittatura militare argentina, mentre svolgeva il suo lavoro di tutor presso la Scuola nazionale di Educazione tecnica N°25, nel quartiere di San Cristóbal. La storia di Santoro, pioniere nel comprendere che il calcio era un fatto sociale in Argentina, è recuperata nel libro Los desaparecidos de Racing, pubblicato dal sociologo Julián Scher. La vita del poeta, insieme ad altri dieci tifosi dell’Academia vittime del genocidio, in una formazione che gioca per la memoria, tra cui figura anche Alejandro Almeida, figlio di Tati, emblema delle Madri di Plaza de Mayo. Questo libro cerca di dare umanità, volto ed emozioni a quel numero intoccabile che è 30mila.
“Il calcio, a differenza del cinema, del teatro, della musica e della letteratura, ha contribuito poco alla costruzione della memoria, della verità e della giustizia. Soprattutto, se si tiene conto che come identità emotiva, il pallone è la cosa più potente che ci sia in Argentina. Il Racing è una scusa. Ma non è un libro solo per gli appassionati del Racing: potrebbero essere del River, del Boca, del San Lorenzo, dell’Independiente o di qualsiasi club. Spero che compaiano anche le storie di quei club”, sostiene l’autore per spiegare perché si è immerso in quella ricerca, perché il calcio e perché il Racing. Santoro è stato proprio uno specialista nello spiegare che calcio e idee potevano giocare sullo stesso campo.
Così lo spiegò anche Osvaldo Soriano sul quotidiano La Opinión, quando dovette recensire nel 1971 il libro Literatura de la Pelota, pubblicato da Santoro quello stesso anno: “A fronte di tante chiacchiere pretenziose riversate da alcuni sociologi da poltrona, la fervida passione di Santoro appare come un contrasto rinfrescante.(…) In quei cori si vede come il calcio sia servito agli argentini per sfogare sul campo la loro aggressività, la loro ingenuità, le loro frustrazioni”. Prima che Soriano inventasse il rigore più lungo del mondo, prima di Roberto Fontarrosa (probabilmente la migliore storia di calcio mai scritta. Fontanarrosa romanza la storica semifinale Nazionale del 1971 tra Newell’s e Central, quella della palomita di Aldo Pedro Poy), prima che Eduardo Sacheri sognasse di camminare sul tappeto rosso degli Oscar per un film in cui sono protagonisti anche il calcio e la violenza, Roberto Santoro ha riunito in nel suo libro tutto quello che è stato scritto sullo sport più popolare in Argentina, con firme come Ernesto Sabato, Juan José Sebreli, Pichón Riviere, Horacio Quiroga o Roberto Arlt.
Una piazza di Chacarita, sull’Avenida Forest y Teodoro García, chiamata Roberto Santoro e qualche isolato tributo sono le scorciatoie per ricordare una delle tante vittime intellettuali dell’ultima dittatura militare. Le scomparse dei tifosi del Racing è un invito a ricostruire quelle vite di quegli anni di piombo, che trovarono un proprio spazio nel calcio. Alberto Krug, militante montonero scomparso nel dicembre 1976, li avvertì con un codice che solo suo padre Federico e suo fratello Carlos potevano capire, che domenica si sarebbero trovati nel popolare stadio Cilindro, al solito posto. E lì, sugli spalti, sembrava che quel periodo sinistro della storia argentina fosse uguale a qualsiasi altro momento.
Horacio Rodríguez Larreta assunse la presidenza del Racing il 3 gennaio 1977 (a sinistra) e una copia della rivista “Racing”, datata 1977
Per lunghi mesi Rosa, la madre di Alberto, ha continuato a pagare puntualmente la quota associativa all’esattore del club, mentre lei rincorreva false piste e si lasciava ingannare da preti, militari e civili che mentivano quando rispondevano alla domanda su dove fosse suo figlio. Krug fu torturato all’ESMA e gettato nel Río de la Plata su uno dei voli della morte. Compagno di partite, non ha mai ricevuto riconoscimenti. La storia si può ripetere mille volte in altri club: la maggior parte di quelli scomparsi erano giovani che dialogavano con ciò che era popolare, cioè con il calcio. “I club hanno fatto poco per ricostruirne la memoria: l’Argentinos ha una targa, il Defensores ha intitolato una tribuna a Marcos Zucker, l’All Boys ha realizzato un murale con i tifosi scomparsi. I club, dice Scher, sono associazioni civili senza scopo di lucro, gestite dai loro membri, e siamo certi che ci siano membri dei club che sono scomparsi. I club dovrebbero ritenersi come vittime del genocidio”.
Ma non è stato pubblicato solo il libro sui desaparecidos del Racing. Si è diffusa anche una storia rimasta nascosta per quasi quattro decenni: quella della sparatoria al campo del Racing.
La giornalista Micaela Polak ha cercato di far luce sulla notte del 22 febbraio 1977, quando le biglietterie dello stadio furono utilizzate per il plotone di esecuzione per uccidere sei persone. Oreste Osmar Corbatta, che viveva nella foresteria del club, è stato uno dei testimoni insieme a Rafael Barone, che ha testimoniato davanti al Primo Corpo d’Armata per un episodio simile.
Fino a quando Polak non pubblicò una nota su Página/12 e su Un Caño, Barone fu l’unico testimone di quella notte in cui la Dirección de Inteligencia della polizia di Buenos Aires inventò uno scontro con “un gruppo autodeterminato di montoneros che sui muri dello stadio del Racing dipingevano leggende sovversive”. Dopo la nota sono comparsi altri testimoni, anche se non ci sono ancora indizi sui nomi delle persone uccise. La visibilità porta cose nuove. Polak, insieme ad altri attivisti, cerca di far ricordare le vittime un murale nel luogo in cui sono stati assassinati.