Toto Rondon è arrivato al Vicenza all’età di 27 anni dopo aver girato in lungo e in largo lo stivale, pur essendo nato a cresciuto a Malo. Come mai l’approdo in biancorosso è giunto così tardi?
“Si vede che doveva andare così – risponde il diretto interessato-. Quando avevo 18 anni il Vicenza era in serie A. Segnai 10 gol negli Juniores del Malo, vincendo il titolo regionale e realizzando 10 gol in prima squadra in Promozione, ma i dirigenti berici presero un mio compagno di squadra, Lino Vanzo, che peraltro rimase per poco tempo. Su di me c’erano Padova e Spal, andai a Bolzano e fu la mia fortuna, perché mi feci le ossa in serie C. Proseguii la carriera a Brescia, Barletta, Ancona e Taranto, per risalire poi a Treviso, dove feci 16 gol. Il Vicenza, che mi aveva adocchiato l’anno prima, preferendomi Cavagnetto, mi acquistò dopo che Galli mi aveva seguito per tutta la stagione. Segnai sia all’andata che al ritorno contro il Padova, dove c’era Bruno Giorgi, che andò al Vicenza e si ricordò del sottoscritto”.
Correva l’anno 1983 e iniziò un quinquennio condito da 151 presenze e 59 gol (60 con quello dello spareggio di Firenze non conteggiato nelle statistiche ufficiali).
“La prima stagione fu straordinaria. Vinsi il titolo di capocannoniere con 24 reti e non salimmo in B nonostante 47 punti in classifica per colpa della monetina che colpì Bianchi a pochi minuti dall’inizio della sfida con il Bologna e per lo scontro diretto perso tra le mura amiche con il Parma. Ci rifacemmo la stagione seguente, vincendo lo spareggio contro il Piacenza a Firenze. In serie B giocammo un calcio spettacolare, battendo Lazio, Bologna e tante altre avversarie, ma ce la fecero pagare per lo scandalo delle scommesse dell’anno prima. Un colpo basso che mi impedì di giocare in serie A con il Vicenza a 30 anni. Fummo gli unici non penalizzati ma retrocessi a tavolino”.
Da quel momento cominciò la discesa “Giorgi se ne andò a Brescia in serie A e noi perdemmo il nostro timoniere. Arrivò Burgnich, che non si integrò: la società avrebbe dovuto esonerarlo prima. Il suo sostituto, Magni, fece un buon lavoro, ma non bastò, perché ci giocammo la salvezza a Roma contro la Lazio davanti a 80 mila spettatori, condannati da un gol di Fiorini a otto minuti dal termine. Fu una stagione sfortunata, io mi ruppi la spalla e rimasi fuori a lungo, come Nicolini e Fortunato. L’anno successivo in serie C la storia si ripeté: la società tardò a fare il cambio tra Specchia e Galli, con il quale risalimmo dal settimo al terzo posto, mancando il ritorno in serie B per un gol di Tacchi a dieci minuti dalla fine con l’Ancona. A quel punto decisi di andare a Thiene, dove trovai Dalle Carbonare e Gasparin. Vincemmo il campionato di Promozione con il record di punti ed io segnai 29 reti”.
Il vizio del gol
A Vicenza accompagnava all’allenamento con la sua Alfasud un giovanissimo Roberto Baggio… “Partivo da Malo, passavo per Caldogno e lo aspettavo finché non si cambiava, perché lavorava nell’officina di suo padre Florindo. Io suonavo il clacson e lui usciva di corsa. Aveva un talento enorme e difatti Giorgi lo aggregò subito alla prima squadra”. I ricordi sono inevitabilmente tanti. Ma quali sono le persone che Rondon proprio non dimenticherà? “Oltre a Bruno Giorgi ed Ernesto Galli, Giancarlo Salvi, un grande intenditore di calcio, e Dario Maraschin, che per me era come un padre. Dopo aver segnato 40 gol in due stagioni rifiutai il Bologna per restare a Vicenza: ci guardammo in faccia e in due minuti siglammo il contratto”.
Antonio Rondon, detto Toto, uno che col mancino ha punito un sacco di portieri.
Rondon a Vicenza rimane un’icona
“Voglio ancora raccontare due episodi. Partita decisiva per la promozione. Col Barletta andiamo a giocare a Ponticelli contro il Campania. Appena scesi dal pullman venimmo aggrediti a calci da uno sciame di ragazzini spuntati all’improvviso, una volta raggiunto lo spogliatoio, due miei compagni, subito dopo aver varcato la porta, svennero. Avevano versato sul pavimento acido muriatico.
Alla fine perdemmo e salì in C1 il Campania. Due anni dopo sempre con il Barletta altra sfida decisiva sul campo della Turris. In quella stagione avevo già firmato 10 reti, lungo il tunnel che porta al campo mi si avvicina un personaggio, mi punta una pistola alla schiena e mi sussurra: ‘Rondò oggi è meglio che non segni’. Vinse la Turris 2 a 0. Meglio così!”.
Rondon è un uomo di profonda fede. “La mia conversione è avvenuta nel 1985 dopo un viaggio a Medjugorie, da lì è iniziato un cammino di revisione della vita, che mi ha trasferito maggiore responsabilità, ma pure la consapevolezza di quanto è straordinario ogni giorno, di quali solo le cose che contano sul serio e che ti fanno stare bene, di come sia possibile vivere in maniera meno superficiale e con più distacco dalla materialità. Da 38 anni frequento San Martino e l’opera Regina dell’Amore, non sono sempre stati momenti facili, ma a Poleo, incontrando tante belle persone e dando significato alla fede, ho preso coscienza di cosa voglia dire, sul serio, essere cristiano”.