Flaviano Zandoli, romagnolo di Gambettola, classe 1947, fu un buon attaccante, dotato di grande tecnica e anche di un apprezzabile fiuto per il gol. Era un centravanti atipico per quel periodo (anni 60 e 70 )dove il centravanti era lo boa dell’area di rigore, l’attaccante di sfondamento si diceva allora.
Zandoli era diverso, si è imposto per i suoi scatti e il suo dinamismo, creando non pochi grattacapi alle rigide marcature a uomo di quegli anni. Il suo marchio di fabbrica sono sempre stati i gol: ovunque andasse ne faceva a grappoli con la sola eccezione della vicina Cesena.
Arrivato a dodici anni nel settore giovanile del Cesena, a quattordici passa a quello della Juventus rimanendoci fino ai diciotto anni. Tornato a Cesena nell’anno del militare fa parte della Compagnia Atleti a Bologna.
Zandoli nell’Ascoli sulle figurine
Nel 1967 comincia a giocare in prima squadra ottenendo subito una promozione dalla Serie C alla Serie B con il Cesena. L’anno successivo passa alla Sambenedettese mentre nel 1969 approda al Padova. Due anni dopo gioca in Serie B per la Reggiana mentre dal 1974 al 1976 gioca in Serie A per l’Ascoli: nel 1975-‘76, con 5 reti all’attivo, è risultato il capocannoniere dei bianconeri a pari merito con Massimo Silva. Rimane poi nelle Marche anche per i due successivi campionati di Serie B, nel secondo dei quali contribuisce al ritorno in A col record di punti.
A fine stagione non segue l’Ascoli in massima serie, ma resta fra i cadetti dove disputa due stagioni col Cesena. Nel 1980 scende di un’altra categoria per indossare la maglia della Reggiana e con 11 gol all’attivo contribuisce al ritorno degli emiliani in Serie B dopo sei anni. Dopo un campionato cadetto con i granata, nel 1982 si ritira dall’attività agonistica.
Zandoli nella Reggiana
Ha allenato nel settore giovanile del Cesena.
Una curiosità sul suo stato di salute la racconterà egli stesso in una intervista: ogni sabato sera aveva la febbre .
“La chiamavano la febbre del gol. Il sabato la temperatura mi saliva a 39 gradi, la domenica sera se ne andava, dopo la partita. Mi mandarono ad Asiago per farmi curare. Non hanno mai compreso il perché di questo fenomeno. Il paradosso sono state tre doppiette messe a segno malgrado quella situazione”.