Con Carletto Mazzone se ne va praticamente buona parte di quel calcio, genuino e romantico, che ci ha fatto innamorare e sognare. Attraverso i collegamenti televisivi di Tonino Carino oppure grazie alle pagine patinate del Guerin Sportivo.
Una scatola di ricordi preziosi che contribuiscono a creare il mito della sana cultura della provincia.
Figlio della Roma popolare di Tastevere, con quel suo accento inconfondibile Sor Magàra non ha mai voluto mimetizzare quelle radici di cui andava profondamente fiero.
Siamo subito dopo la guerra, nel 1946, dopo la scuola aiuta i genitori Edmondo e Iole nell’officina. Compie tutta la trafila di rito nelle giovanili giallorosse, dice a tutti che la mamma è “la cosa più bella della mia vita”, nel 1961 debutta in Serie A ad insaputa del padre, che a dire il vero è sempre stato scettico sulla possibilità che il figlio potesse diventare un calciatore.
Poi Carletto incontra Ascoli Piceno e lì nasce quel legame indissolubile spezzato solo dalla morte. Nella città marchigiana non solo gioca a calcio e scrive tra le più belle pagine del suo romanzo di allenatore, ma soprattutto conosce l’amore della sua vita, Maria Pia, la moglie che ha sempre saputo stare nel posto giusto.
Giocatore e allenatore dell’Ascoli
Nel 1968, durante uno degli accesissimi derby contro la Sanbenedettese, Mazzone si procura la rottura della tibia, un infortunio che allora voleva dire fine della carriera, senza appello. “Uno che ha giocato Ascoli-Sambenedettese credo che, sul piano dell’intensità emozionale, abbia provato tutto…”. La metteva sempre su questo piano.
Proprio da Ascoli inizia la sua lunga e romantica avventura come allenatore, destinata ad entrare nell’antologia del calcio italiano. Con la prima promozione dei bianconeri in A si crea un rapporto speciale con un altro uomo altrettanto speciale, il presidentissimo Costantino Rozzi.
“Rozzi fu molto sensibile nei miei confronti: io dovevo lavorare perché avevo moglie e due figli. Subito dopo essermi ripreso dall’incidente il presidente mi affidò le giovanili. L’arrivo in prima squadra, invece, avvenne all’improvviso, poco dopo. Rozzi sostituiva gli allenatori e mi faceva fare da traghettatore. Al terzo cambio andato male, mi chiamò e mi disse che mi avrebbe affidato la prima squadra….Ricordo che mi disse: ‘Carlé, pe’ vince le partite devo chiamà a te‘”.
Al di là di tutte le altre squadre, crediamo che sia proprio l’Ascoli la squadra che identifica Mazzone. Senza dimenticare gli altrettanti miracoli con il Catanzaro e il Cagliari, in mezzo le panchine di Fiorentina, Lecce e Perugia, con il regalo, lui romanista, dello scudetto alla Lazio. Nella carriera di Mazzone ci sono anche stati il sogno realizzato di allenare proprio la Roma, e la scommessa vinta di restituire a nuova vita Roberto Baggio nel Brescia di Gino Corioni. A A Napoli un periodo breve, diede le dimissioni, l’ultima squadra della lunga serie è stato il Livorno.
Ha detto di lui Francesco Totti: “Mi ha insegnato a stare dentro e fuori dal campo, è stato tutto per me”. “Per lui mi sarei buttato nel fuoco” si è detto più volte convinto Roberto Baggio, mentre per Pep Guardiola“La sua ironia ti metteva i brividi”.
Ma è Andrea Pirlo che ci offre l’incipit più vero: “Il primo incontro con Mazzone è stato amore a prima vista”. Già. Perché con quella sua originalissima parlata era capace di tenere alta la tensione,ma anche di sdrammatizzare nei momenti più difficili.
Mazzone era un uomo che andava al sodo senza troppi fronzoli, ha sempre detto di voler insegnare ai suoi giocatori tattiche giuste per emergere. Null’altro. È stato ingiustamente accusato di essere un difensivista esasperato ed esagerato, invece lui è solamente sempre stato bravo ad adattarsi ogni volta agli avversari che ha dovuto affrontare.
Carlo Mazzone dunque, quell’omone alto 1 e 90, fiera icona di un calcio che non esiste più. Dove le mirabolanti salvezze avevano lo stesso valore degli scudetti.
Mario Bocchio