Parafrasando il titolo di una nota rubrica della Settimana Enigmistica “non tutti sanno” dello stretto legame che univa Mino Raiola alla città di Foggia. Sì signori, proprio quel tipo dall’aria un po’ bizzarra, bassino, panciuto e l’accento che tradisce le origini italiane nonostante il trasferimento ad Harleem, in Olanda, quando aveva soltanto un anno; colui il quale per anni è stato il re incontrastato del calciomercato a livello mondiale.
La storia che vi raccontiamo parte da lì, da quando il giovanissimo Carmine, aspirante calciatore (con grande talento, secondo il diretto interessato) dava una mano come cameriere nel ristorante di suo papà. La sua fulgida e piuttosto redditizia carriera di procuratore ebbe inizio tra una portata e una tovaglia sparecchiata: perché uno dei clienti abituali era il presidente dell’Haarlem. Mino spesso gli rinfacciava le scarse competenze calciofile, tanto da indurre il presidente ad affidargli la gestione della squadra. Da direttore sportivo a procuratore dei calciatori olandesi, grazie a un accordo con il sindacato dei calciatori, il passo fu breve. E qui entrano in gioco Foggia e il Foggia.
Siamo a novembre del 1992. Il Foggia è alla seconda stagione consecutiva nella massima serie. La più difficile, almeno guardando i risultati di inizio stagione. Della squadra che stravinse il campionato di B nel ’91, e che incantò l’anno dopo in serie A è rimasto poco o niente. Lo smantellamento operato da Casillo ha gonfiato le casse della società, ma depauperato tecnicamente l’organico. La strategia operata dalla società è quella di scovare nuovi talenti dalle serie minori.
Bryan nel Foggia
Gente semisconosciuta, ma affamata e vogliosa di imporsi nel calcio che conta. Zeman non si scompone più di tanto, fiducioso nel suo calcio, e convinto che anche i vari Seno, Di Biagio, Caini, Mandelli, Biagioni e compagni sapranno ripetere le imprese degli illustri predecessori. Gli serve solo tempo. Ma l’inizio non è un granché. Nelle prime nove giornate il Foggia naviga in cattive acque, con sole due vittorie (Udinese e Parma) un pari e sei sconfitte. Da qui la decisione di correre ai ripari nel mercato di novembre.
Così si attinge all’infinito laboratorio di talenti olandese. Si bussa alla porta dell’Ajax, dove c’è un giovane ragazzo di 22 anni. Ha un gran talento, piedi notevoli, velocità e capacità di saltare l’uomo. Le sue doti non sono passate inosservate, tanto che un certo Johan Cruijff se n’è invaghito a tal punto da farlo esordire in prima squadra a soli 18 anni. Le cose cambiano quando il fu Profeta del gol torna in Catalogna a rendere (di nuovo) grande il Barcellona, stavolta da allenatore.
Roy resta in Olanda, e per lui la prospettiva di spiccare il volo subisce uno stop. Sulla panchina dei lancieri siede Louis Van Gaal, sergente di ferro, teorizzatore di un calcio offensivo che apprezza sì i talenti, ma non ne contempla l’anarchia tattica. Il giovane Bryan vince una Eredivisie e la finale Uefa con il Toro di Mondonico, ma viene gradualmente messo ai margini. Anche perché dal Willem II arriverà un certo Marc Overmars a soffiargli il posto.
Roy nell’Olanda
A quel punto entra in gioco Mino Raiola, ufficialmente come interprete, in realtà sarà il suo agente. E lo porterà a Foggia, per 2,2 miliardi di lire. Una cifra irrisoria per il talento del giocatore. È l’investimento più oneroso che Casillo si concede nella stagione delle grandi cessioni.
È proprio Raiola che racconta l’iniziale spaesamento del suo assistito, e dargli torto era difficile. Perché il passaggio da una realtà come quella di Amsterdam, alla Capitanata può essere quanto meno destabilizzante. Mino, invece, da buon figlio di emigranti campani, non avvertirà la pesantezza del trasferimento. A Foggia resterà per un anno, giusto il tempo per conoscere la donna che diventerà la sua compagna di vita. Da lì in poi la sua carriera sarà un susseguirsi di affari sempre più remunerativi, per le squadre coinvolte, ma soprattutto per i suoi assistiti e per lui.
E tra i primi a beneficiarne ci fu proprio Bryan Roy. Nonostante le iniziali difficoltà. Perché tra infortuni e la già nota anarchia tattica il calciatore farà fatica a rendersi subito protagonista nello scacchiere di Zeman. Come racconta Giovanni Cataleta nel suo libro “Il distintivo dalla parte del cuore”, il boemo palesò in più di un’occasione il dubbio che quel buffo interprete non riferisse correttamente le indicazioni tattiche al suo assistito. Eppure l’esordio di Roy è di quelli che difficilmente si possono dimenticare.
È il 22 novembre, decima di campionato. Allo Zaccheria arriva la Lazio, ed è un giorno speciale, perché fa ritorno nel suo ex stadio Beppe Signori. La folla lo acclama, gli avvolge una sciarpa rossonera al collo, lui si commuove. E forse questo un po’ incide sulla sua prestazione. Il Foggia invece c’è, e gioca bene. Biagioni la sblocca su rigore, senza rincorsa, alla Signori. Al 34’ scende in campo Zemanlandia: Seno appoggia a Biagioni che palleggia e sventaglia al volo sulla destra dove arriva un treno dalla Romania di nome Petrescu. Il traversone è perfetto, tanto quanto l’inserimento centrale del numero 7, Bryan Roy. Colpo di testa e Orsi è battuto. Beppe gol si desta solo nella ripresa, il tempo per segnare il gol dell’illusione. Da quella vittoria ripartì la corsa del Foggia, che conquisterà una salvezza per molti insperata a inizio stagione. Meno esaltante sarà la stagione di Roy, che dovrà aspettare quasi cinque mesi prima di gonfiare di nuovo la rete (nel 4-2 di Pescara), cui fece seguito il gol del pari nella trasferta di Milano contro l’Inter.
La seconda stagione è la più emozionante e al tempo stesso malinconica. I sogni europei dei satanelli si infrangono nella topica di Bacchin, nella gara finale con il Napoli. Di Canio ringrazia, mentre Zeman saluta Foggia, lo aspetta la Lazio. Anche per Roy non mancheranno le soddisfazioni. La prima rete la realizzerà nel derby con i cugini leccesi, al Via del Mare.
La settimana dopo sarà lo juventino Peruzzi a capitolare allo Zaccheria. Alla fine saranno 12 le marcature dell’olandese, ormai perfettamente integratosi nel gioco di Zeman. La sua super stagione gli vale il pass per i mondiali di Usa ’94 dove la sua nazionale viene eliminata ai quarti dal Brasile, poi campione del mondo a nostre spese. Roy gioca tutte le 5 gare (tre da titolare) realizzando il gol vittoria nel 2-1 al Marocco.
Ma l’aereo che riparte dagli States non tornerà in Puglia. Il Foggia lo cede al Nottingham Forrest, alla prima stagione senza il grande Bryan Clough in panchina. In Premier va a bersaglio 13 volte in 37 gare, contribuendo al terzo posto finale della sua squadra. Ne segnerà 11 le due stagioni successive, quando gli infortuni ricominceranno a tormentarlo. Poi arriverà l’esperienza in Bundesliga, con l’Hertha Berlino. Tre anni e mezzo prima di tornare in patria, al Nac Breda, dove si ritirerà a soli 31 anni, per ritornare a lavorare nell’Ajax.
Un talento cristallino, che verosimilmente ha raccolto meno di quanto le iniziali aspettative suggerissero. Non è sbagliato dire che il miglior Roy si sia visto proprio con la maglia dei satanelli, soprattutto nella seconda stagione. Pedina fondamentale dell’esplosivo tridente completato da Kolyvanov e Bresciani o Cappellini. Magari senza la stessa poesia del più osannato e celebre Rambaudi-Baiano-Signori, ma non per questo meno degno di riservarsi un posto nella storia rossonera.