“Prima bisogna saper soffrire…”, scriveva il grande Roberto Goyeneche nella prosa di uno dei tanghi più iconici. Pare che Diego Armando Maradona abbia sentito quella frase mille, come per riprendersi da un terribile colpo mentale, l’ essere stato escluso dal Mondiale del 1978 e, l’anno successivo, essere incoronato campione del mondo giovanile, stella di quell’Argentina piena di enormi talenti e diretta anche quella volta da César Luis Menotti.
Osservando il recente Mundial Under 20 proprio in Argentina, è stato impossibile non ricordare quell’evento storico accaduto in Giappone, nel lontano 1979, che ha significato una svolta di 180 gradi nella storia del Pelusa con la sua amata Nazionale.
Tuttavia, tutto è iniziato con una grande tristezza. Il 19 maggio 1978 César Luis Menotti comunicò a Maradona una notizia che non avrebbe mai voluto sentire: la sua esclusione dalla rosa argentina in vista del Mondiale che si sarebbe giocato pochi mesi dopo in casa.
Quando ha sentito il duro annuncio, Diego è scoppiato in lacrime inconsolabili ed è stato subito calmato dai capi squadra guidati da Leopoldo Luque, che hanno saputo stringere un forte legame con l’allora giovane 17enne grazie alle loro ampie pratiche condivise nella Quinta de José C. Paz, un complesso nella Grande Buenos Aires utilizzato per la preparazione della squadra nazionale.
Insieme a Humberto Bravo e Víctor Bottaniz, altri giocatori che furono rimandati a casa, il Pibe de Oro dovette dire addio –momentaneamente – al suo sogno di giocare in una Coppa del Mondo, un desiderio confessato del nativo quartiere di Villa Fiorito da quando incominciò a giocare nelle squadre minori dell’Argentina Juniors.
In una delle pagine del suo libro, il 10 ricorderà la situazione desolante: “Non ci sono rimasto un secondo in più, non mi sentivo più parte di quel gruppo. Lì, quando sono stato escluso dalla lista dei 22 perché ero molto giovane, ho cominciato a capire che la rabbia era carburante per me”.
E il “carburante” è arrivato. L’Argentina è stata incoronata campione del mondo per la prima volta nella sua storia, la tristezza è passata, le lacrime si sono fermate e la magia del suo piede sinistro è riapparsa, provocando una chiamata nella Nazionale giovanile (chiamata Sub 20) per la Coppa del Mondo che si sarebbe disputata l’anno successivo in Giappone.
Dagli allenamenti serali svolti sul campo dell’antico Gasometro di Boedo, defunto stadio el dSan Lorenzo, e dalla vocazione didattica dello storico trainer Ernesto Duchini, ha cominciato a formarsi una squadra interessante, con talenti interessanti, come Ramón Díaz, Juan Simón e lo stesso Maradona.
Dopo alcuni mesi di faticosi allenamenti sotto il comando di Menotti e sotto la supervisione del suo collaboratore Duchini, la delegazione albiceleste si preparava a intraprendere un viaggio nel continente asiatico, con un obiettivo principale: ripetere l’impresa che la Maggiore aveva raggiunto.
In Giappone la fase a gironi fu davvero straordinaria: furono sconfitte le tre rivali (5-0 l’Indonesia; 1-0 la Jugoslavia; 4-1 la Polonia), la Selección rimase, segnò un totale di dieci gol (Maradona 3, Díaz 3, Osvaldo Calderón 2, poi Simon e Osvaldo Escudero) e si è qualificò come leader del gruppo 2 della competizione.
I quarti di finale confermarono la condizione dell’ eccellente prima fase. Diretti dal Flaco e guidati da Maradona, i giovani argentini esibirono un potere offensivo bestiale, battendo la nazionale algerina 5-0 e ottenendo il biglietto per la partita successiva.
In semifinale l’Albiceleste dovette affrontare l’Uruguay, protagonista della leggendaria classica del Rio de La Plata. Come previsto alla vigilia, fu un duello duro e serrato, con la squadra uruguaiana dedita a ridurre il gioco offensivo argentino. Tuttavia, la resistenza difensiva non causò complicazioni al Pelado e al Pibe de Oro, che segnarono un gol ciascuno e permisero alla squadra di raggiungere la finale della competizione.
Dopo tutto quello che aveva sofferto, il momento del riscatto di Maradona arrivò venerdì 7 settembre, quando la giovanile dell’Albiceleste divenne campione del mondo battendo l’Unione Sovietica per 3-1 al National Stadium di Tokyo, con gli indimenticabili gol di Hugo Alves (68′), Ramón Díaz (71′) e dello stesso Diego (76′), che ricevette il Pallone d’oro (premio per il miglior giocatore del torneo) e la Scarpa d’argento (secondo capocannoniere della competizione, con sei gol) al termine della gara.
Iniziò così il suo percorso da vincente in Nazionale, culminato nella storica impresa di Messico ‘86diventata il punto di riferimento di un popolo colpito da una dittatura militare e da una guerra sanguinosa, che portò via migliaia di giovani argentini.
Alludendo alle sue stesse parole, Diego era, è e sarà “un ragazzo normale che, per aver segnato un gran gol contro gli inglesi, che avevano ucciso noi ragazzini alle Malvinas, tutti mi riconoscono, perché suo nonno l’ha detto a suo padre e suo padre l’ ha detto a suo figli.” E la storia di questo amore incondizionato continuerà, nei secoli dei secoli…
Dopo la storica incoronazione in Giappone, la dittatura militare argentina guidata da Jorge Rafael Videla chiese alla squadra di rientrare rapidamente nel paese, con uno scopo chiaro: celebrare il titolo e oscurare l’arrivo della Commissione interamericana per i diritti umani (IACHR), giunta in Argentina per indagare sulla situazione degli scomparsi e sui continui abusi da parte del governo de facto.
L’urgenza era infatti tale che, pochi minuti dopo l’incontro, Videla parlò con Menotti e Maradona tramite una telefonata grazie all’aiuto dei giornalisti José María Muñoz e Julio Lagos, che in precedenza avevano promosso l’idea di sviluppare “una festa per le strade”.
Inoltre, poiché la finale del torneo era stata trasmessa dalla televisione pubblica ATC, furono invitati diversi membri del consiglio ad assistere alla partita. Poi, con Muñoz al comando della trasmissione post-partita, si incominciò a fare pressione sui mobileros inviati, Tito Junco e Juan Carlos Morales, perché inseguissero “l’obiettivo prefissato”.
Quando sono riusciti ad ottenere il contatto tanto atteso con Pelusa, Videla prese la parola: “Voglio trasmettervelo a nome del popolo argentino, perché quel popolo si sta riversando affettuosamente nelle strade gridando Argentina, Argentina, Vioglio trasmettere a te, dico, i miei più cordiali saluti per l’eccezionale prestazione che avete ottenuto non solo in questa partita ma in tutto il torneo. (…) Puoi anche essere sicuro che attraverso questo evento sei un chiaro esempio per tutti i giovani argentini, che, al di là del successo, vedono in te il trionfo di una gioventù ottimista che vuole guardare al futuro con amore, con speranza, con fede”.
Con sorprendente immediatezza, i militari organizzarono il ritorno dei campioni, non potendo lasciare che l’euforia del trionfo svanisse e riaffiorassero le voci delle minoranze, che quotidianamente chiedevano l’apparizione in vita dei propri cari.
“Il ritorno dal Giappone è stato molto strano. Stavamo festeggiato a Tokyo ed arrivò la richiesta di rientrare subito. Non avevamo idea di chi fosse la Commissione interamericana. Avevamo tutta l’innocenza del mondo. Siamo arrivati a Rio e per lo scalo e c’era ad aspettarci un aereo militare, non di linea. Non siamo nemmeno riusciti a ritirare i nostri bagagli. Siamo arrivati all’Aeroparque alle 18, collegando i puntini, ci si rende conto che volevano che arrivassimo all’ora in cui le persone lasciavano il lavoro per allestire la festa. Se fossimo arrivati alle 3 del mattino, non sarebbe stato lo stesso”, ha detto Jorge Piaggio, membro di quella squadra campione del mondo.
Mentre l’IACHR continuava le sue indagini, alcuni giornalisti affiliati all’esercito hanno annunciato il ritorno della squadra giovanile e hanno ordinato ai loro ascoltatori di uscire e festeggiare. “Andiamo tutti in Avenida de Mayo e mostriamo ai signori della Commissione per i diritti umani che l’Argentina non ha nulla da nascondere”, ha detto Muñoz durante il suo programma intitolato La Oral Deportiva, sintonizzato su Radio Rivadavia.
Non appena la squadra è arrivata in aeroporto, i calciatori sono stati portati al campo dell’ Atlanta con diversi elicotteri, dove hanno visto le loro famiglie e hanno scattato foto con i presenti. Poi, tutti sono saliti su un autobus che li ha portati alla Casa Rosada, dove Videla li ha accolti accompagnati da altri membri della Giunta militare.
Ricordando la scomoda situazione, il Pibe, che all’epoca stava facendo il servizio militare, ha confessato le parole del dittatore osservando il suo taglio di capelli: “Videla è un insetto vigile. Mi ha mandato a tagliarmi i capelli quando sono diventato campione del mondo. Avevo i capelli lunghi e ci mettevo il gel perché non se ne accorgesse, quando mi ha visto mi ha detto che la prima cosa che dovevo fare era andare dal parrucchiere perché un suo soldato non poteva avere i capelli lunghi. I militari non mi andavano bene, non mi andavano bene, né mi andranno mai bene. Hanno ucciso 30.000 di noi”.
La giustizia per tutti gli argentini scomparsi, torturati e assassinati è arrivata pochi mesi dopo, quando la stessa IACHR ha pubblicato un rapporto dettagliato su tutto ciò che la popolazione ha sofferto durante quel periodo: “La Commissione è giunta alla conclusione che, per azione delle autorità durante il periodo oggetto di questo rapporto – dal 1975 al 1979 – numerose e gravi violazioni dei diritti umani sono state commesse nella Repubblica Argentina”.