Il 29 maggio del 1983 fu il giorno dell’ultima partita disputata da un grande portiere. L’addio al calcio giocato di Dino Zoff avvenne a Göteborg, in Svezia, a difesa dei pali della nazionale italiana per la centododicesima volta in carriera. Uno dei protagonisti del Mondiale ‘82, conquistato in Spagna dall’Italia guidata da Enzo Bearzot, ebbe ancora un’occasione per dispensare prodezze come guardiapali. Dalla finale di Madrid erano trascorsi poco più di dieci mesi. In quel breve periodo, la straordinaria nazionale Mundial, capace di una magniloquente epopea calcistica contro Argentina, Brasile, Polonia e Germania Ovest, si era trasformata in un gruppo senza più birra nelle gambe, incapace di vincere persino contro i modesti ciprioti nel girone eliminatorio per gli Europei del 1984. Quello squadrone, guidato in panchina dal Vecio, capace di una splendida nemesi in terra iberica dopo gli stenti della prima fase, era a digiuno di vittorie dalla sera dell’11 luglio ’82 quando, al “Santiago Bernabeu”, i tedeschi occidentali di Jupp Derwall vennero nettamente sconfitti in finale.
La trasferta svedese giunse quattro giorni dopo l’atto conclusivo della Coppa dei Campioni tra Amburgo e Juventus che riservò a Zoff una delle amarezze più cocenti della sua splendida carriera. Ad Atene, una parabola diabolica di Felix Magath, dopo una manciata di minuti dal calcio d’inizio, sancì il trionfo della squadra anseatica, ampiamente sfavorita dai pronostici. Una rete che vanificò la cavalcata stagionale dei bianconeri, capaci di eliminare squadre quotate come Standard Liegi, Widzew Lodz e, soprattutto, i detentori inglesi dell’Aston Villa, sconfitti anche a domicilio. Uno squadrone guidato da Trapattoni, infarcito da sei campioni del mondo (Zoff, Gentile, Cabrini, Scirea, Tardelli e Rossi) ed impreziosito da due stranieri di valore assoluto come il francese Platini ed il polacco Boniek. Improvviso come il morso di un cobra, il tiro di Magath, figlio di un portoricano arruolato nell’esercito Usa e di una tedesca, fece riaffiorare nella mente del portiere friulano i fantasmi di Argentina ’78 e quei gol presi dalla distanza contro gli olandesi, con tiri dalle traiettorie quasi impossibili.
In Svezia, l’Italia si giocava le ultime possibilità di restare in lizza per la fase finale dei Campionati europei. L’esordio nel girone di qualificazione, il 13 novembre ’82 contro la Cecoslovacchia a “San Siro”, si era concluso con un deludente 2-2 e con gli azzurri incapaci di mantenere per ben due volte il vantaggio. In quel periodo ripartì anche lo scontro tra il presidente federale Sordillo e il commissario tecnico azzurro, sopito dal trionfo mondiale. A Firenze, nel secondo incontro di qualificazione, furono vani i tentativi di scardinare il muro difensivo eretto dalla Romania (0-0). Gli avversari scelsero il gioco duro, tollerato dall’arbitro, con entrate sulle gambe dei giocatori azzurri. Emblematica a fine partita fu l’uscita dal campo di Claudio Gentile, vistosamente claudicante. Il 12 febbraio ’83 arrivò il risultato che nessuno si aspettava. Sul campo di Limassol, la modesta nazionale di Cipro, guidata da Spasov, scrisse la pagina forse migliore della sua storia, bloccando i campioni del mondo sulla parità (1-1). Zoff incassò in avvio di ripresa il gol del momentaneo vantaggio cipriota, firmato da Mavris, unica rete in nazionale segnata in carriera dal centrocampista dell’Omonia Nicosia. Una rete che fece vacillare l’Italia fino al pareggio, ottenuto dieci minuti dopo su autorete di Patikkis. La difesa mondiale, composta da Gentile e Cabrini terzini, Collovati stopper e Scirea libero, venne perforata persino da una delle squadre più deboli d’Europa.
La qualificazione, sempre più lontana, si trasformò in un miraggio dopo il ko contro la Romania di Lucescu. A Bucarest, Zoff venne battuto al 23’ da un tiro di Bölöni, diventando il bersaglio principale delle critiche. La successiva partita, in casa della Svezia, per la nazionale italiana suonò come l’ultima spiaggia. Solo una vittoria avrebbe consentito agli azzurri di restare in corsa. Allo stadio “Ullevi” di Göteborg, Bearzot puntò sull’undici più collaudato, quella formazione che scivolava via come una filastrocca: Zoff, Gentile, Cabrini, Oriali, Collovati, Scirea, Conti, Tardelli, Rossi, Antognoni, Graziani. Lo stesso schieramento che al “Sarrià” di Barcellona, il 5 luglio dell’anno prima, aveva sconfitto 3-2 il Brasile di Santana. Per gli eroi del Mundial fu l’ultima esibizione tutti insieme. Il Commissario tecnico scelse di schierare tutti gli juventini, reduci dalla recentissima sconfitta nella finale di Coppa Campioni. Bearzot cercò di spronare gli “eroi di Spagna”, dandogli un’ulteriore opportunità di riscatto.
La partita fu senza storia e a dominarla furono gli svedesi. Dopo mezzora, Sandberg sbloccò le marcature, perforando in area la troppo molle difesa azzurra dove Scirea sembrò la brutta copia del grande giocatore ammirato per tanti anni in nazionale e con la maglia della Juventus. In avanti, Graziani girò a vuoto. Si persero le tracce anche di Pablito Rossi, autore soltanto di una conclusione nel secondo tempo, neutralizzata dalla difesa avversaria. Ad evitare un passivo più pesante provvide Zoff con interventi strepitosi: il primo su bordata di Sandberg, il secondo di pugno su staffilata di Holmgren e il terzo deviando in corner, con un volo in bello stile, un diagonale destinato nell’angolo alla sua sinistra. Il 2-0 lo firmò, in avvio di ripresa, il futuro atalantino Glenn Strömberg, vanamente contrastato da Oriali. Fu la rete che mise la parola fine sulle speranze italiane di qualificazione.
L’ultima nota di cronaca vide protagonista ancora l’estremo difensore azzurro, autore della quarta prodezza, bloccando in splendida presa aerea un tiro da ottima posizione di Eriksson. Un intervento da manuale che negò ai padroni di casa il terzo gol. Lo stadio di Göteborg concesse applausi a scena aperta al numero uno italiano. Fu l’ultima parata della straordinaria carriera di Dino Zoff, tra i più grandi interpreti del ruolo di portiere. “Sono contento per la prestazione di Zoff – dichiarò negli spogliatoi Enzo Bearzot – perché nessuno lo voleva più in squadra. Il fatto che sia stato il migliore attesta comunque che gli svedesi hanno meritato di vincere”.
Dalle pagine del Guerin Sportivo, Adalberto Bortolotti scrisse: “Raccogliamo i cocci di un amarissimo fine settimana. Da Atene a Göteborg, l’immagine del calcio italiano campione del mondo affonda sotto due micidiali siluri. Quanto lontana e irreale è Madrid”. La sconfitta in terra svedese persuase anche gli ottimisti ad oltranza: l’Italia era concretamente fuori dagli Europei dopo esserlo stato “di fatto” già dal trittico di pareggi contro Cecoslovacchia, Romania e Cipro. Bearzot aveva radunato sul ponte della nave tutta la sua ciurma scegliendo, da romantico condottiero, di affondare insieme dopo l’ultima carica affidata all’undici del “Sarrià”. Come la vecchia guardia di Napoleone che moriva ma senza arrendersi. A Göteborg, Golgota del calcio italiano post Spagna ’82, tramontò il ciclo dei campioni del mondo.
Quattro giorni dopo, l’estremo difensore, nato a Mariano del Friuli, convocò una conferenza stampa per annunciare il suo ritiro a 41 anni. “Appendo le scarpe al chiodo, sconfitto da un avversario imbattibile: la mia carta d’identità. Preferisco chiudere in bellezza, anche se sono fisicamente a posto”. Un addio al calcio arrivato dopo tanti successi, record e parate (alcune epocali come quella sul brasiliano Oscar) e con un grande rammarico: la Coppa dei Campioni, sfuggitagli in due occasioni. Con la convinzione che nel calcio, come nella vita, dura solo un attimo la gloria.
Sergio Taccone