Nel calcio ci sono dei personaggi che spiccano non solo per le loro qualità balistiche o fisiche ma anche per quelle umane e carismatiche. Uno di questi è stato Mauro Bellugi. Nato a Buonconvento, in provincia di Siena, il sette febbraio del 1950, ha giocato nel ruolo di difensore fino al 1981, quando è terminata la sua carriera. Uno stopper dotato di grande elevazione e scatto, pur avendo avuto un’ottima carriera agonistica è opinione condivisa che abbia raccolto meno di quanto lasciavano presagire le sue qualità fisiche e tecniche.
Bellugi ha militato nell’Inter, nel Bologna, nel Napoli e nella Pistoiese ed ha vinto un unico Scudetto, con l’Inter nell’anno 1970-‘71. Negli ultimi anni si era dedicato a fare il commentatore ed opinionista per varie testate risultando molto televisivo e piacevole per la sua obiettività e conoscenza del calcio in generale.
Bellugi aveva una sola figlia, Giada, che svolge la professione di insegnante di danza e fitness. Abbiamo incontrato Giada e con lei fatto una chiacchierata molto piacevole ricordando il papà Mauro .
Un ricordo di Mauro Bellugi come giocatore e papà: cosa lo faceva arrabbiare e cosa essere felice?
“Io ricordo poco del campo in quanto papà ha smesso quando avevo sei anni. Ricordo che come giocatore tutti dicevano che era una persona molto decisa, aveva un carattere forte che per il clima dello spogliatoio era molto importante. Inoltre era una persona carismatica, sempre protettiva e a disposizione di chi aveva maggior bisogno. Come padre ricordo sempre che si rapportava con me da piccola come se fossi già grande. Non lo ricordo arrabbiato ma felice, soprattutto quando si era in compagnia. Lui era uno semplice che stava bene in mezzo alla gente”.
Cosa lo faceva rendere maggiormente in una squadra?
“Sicuramente il rapporto coi propri referenti diretti, ossia gli allenatori. Non a caso le sue migliori stagioni son state a Bologna con Bruno Pesaola e anche in nazionale con Enzo Bearzot, che lui considerava un secondo padre. Papà era un vero guerriero. Uno di quei giocatori che più si faceva difficile l’ impresa e più si esaltava. Voleva sempre dimostrare di essere all’altezza senza paura alcuna”.
Inter, Bologna, Napoli, Pistoiese: un ricordo delle sue esperienze viste da Giada?
“L’Inter è sempre stata predominante nel suo cuore c’è poco da aggiungere, lo sanno tutti. Lo Scudetto del 1971, con la maglia nerazzurra rimane un momento indelebile soprattutto per un ragazzo delle giovanili che arriva in prima squadra in una città come Milano ed in una società come quella interista. Per lui è stato poco piacevole lasciare quella maglia nerazzurra nel 1974. L’approdo in seguito al Bologna è stato ottimo, soprattutto per il suo rapporto con l’allenatore Bruno Pesaola. Papà con il petisso ha avuto un rapporto splendido, per lui avrebbe giocato anche infortunato. Napoli è stata una esperienza unica per la piazza, ma meno per il rapporto con l’ allenatore Vinicio.
Questo non per colpa di Vinicio, ma si susseguivano voci di un arrivo a Napoli di Corso come allenatore e Mauro ha sempre avuto un ottimo rapporto con Mariolino per cui… Napoli però è unica e papà l’ha sempre ricordata bene. Una volta era al cinema con mamma e i titolari del locale s’accorsero che loro due erano presenti in sala, così fermarono la proiezione del film e accesero le luci per portare a loro il caffè e regalargli un applauso. Finito il caffè si ripartì col film.
Ultimo anno a Pistoia. Anche lì una bella esperienza, seppur ad un livello inferiore alle precedenti. Papà a Pistoia aveva ritrovato persone a cui era molto legato come Andrea Agostinelli e Lido Vieri, ma la stagione non andò benissimo”.
Due caratteristiche di Mauro predominanti?
“Papà era una persona che univa oltre i colori e, se lo prendevi dalla parte giusta, ti dava l’ anima. Un professionista serio ma anche una persona umana alla quale piaceva godersi la vita. Altra dote di papà era l’amicizia. Mauro era molto socievole, simpatico, buffo e passava le serate a raccontare barzellette tra amici. Un valore questo dell’amicizia che ha trasmesso decisamente anche a me”.
Amici nel mondo del calcio?
“Sicuramente Ivano Bordon, col quale è cresciuto umanamente e calcisticamente dalle giovanili dell’Inter fino all’esordio nella prima squadra. I due hanno anche convissuto a Trezzano. Due persone molto diverse ma perfette per condividere e bilanciare esperienze di vita e di campo. Ivano serio, taciturno veneto di Marghera mentre papà guascone, toscano e chiacchierone. Hanno vissuto insieme momenti importanti della loro vita. Ivano è una persona molto cara”.
Parliamo d’Argentina, Mondiali 1978 con Bearzot e Mauro in campo.
“È stato particolare perchè papà giocava nel Bologna mentre quasi tutti gli altri giocatori convocati facevano riferimento a grandi squadre. La differenza la faceva Enzo Bearzot che per papà era un secondo padre. Bearzot lo chiamava contro il volere della stampa, ma Mauro nello spogliatoio era molto utile.
Al mister friulano serviva il carisma di mio padre. Papà era un collante, molto presente per i compagni di squadra, oltre alle sue doti balistiche ovviamente. Quando papà fece un intervento all’anca, Bearzot seppe che era ad operarsi vicino casa sua, così un giorno arrivai all’ospedale e trovai papà e Bearzot intenti a parlare. Sembrava di vedere un diciassettenne con un padre. Mi è rimasta cara quest’ immagine molto bella che rende idea del rapporto tra i due. Il Mondiale argentino fu molto importante per la carriera di papà. In seguito l’Argentina è stata anche una meta della sua vita, visto che ci ha vissuto per un periodo della sua vita”.
Una cosa di cui va particolarmente fiera Giada di suo papà?
“Non l’ho mai sentito parlare male di un suo compagno o di una persona della società, anche quando avrebbe dovuto e potuto farlo per vari motivi”.
Bellugi in allenamento in nazionale con Bearzot (a sinistra) e contro Pelé
Il rapporto di Bellugi con le sue radici?
“Per Mauro era un valore inossidabile. Lui ha girato il mondo ma solo a casa sua si sentiva bene. Ha sempre sostenuto che l’unico posto dove si sta bene è dove si ha le proprie radici e per lui era Buonconvento, dove recentemente, e con mia emozione, gli è stato intitolato lo stadio”.
Parliamo di come ha affrontato la malattia…
“È stato un guerriero unico. Papà non si piangeva mai addosso. Pensate che dopo l’ultimo intervento stava organizzandosi per scrivere un libro e, per continuare a fare il commentatore, aveva già diversi progetti in mente. Papà dava sempre morale a chi gli stava intorno e trovava sempre una soluzione anche nei momenti più dolorosi”.
Un momento emozionante per Mauro che ricordi?
“Quando era malato e gli feci vedere lo striscione della curva nord dell’Inter dedicato a lui. Era commosso e anche stupito. Si chiedeva cosa avesse mai fatto per essere così amato”.
Flavio Ciasca