Roger Grava è stato uno dei diciotto giocatori del Grande Torin vittime del disastro aereo di Superga nel 1949. Sei anni prima, giocava nell’Amiens.
Il 4 maggio 1949, come noto, la squadra del Torino si imbarcava a Lisbona, dopo aver disputato un’amichevole contro il Benfica. Era allora la migliore squadra italiana. Aveva appena vinto il quarto scudetto consecutivo. Il giorno prima aveva giocato una partita di gala contro il Benfica. Avvicinandosi all’aeroporto di Torino la visibilità era scarsa, l’aereo colpì la collina di Superga e si disintegrò. Non ci furono sopravvissuti. A bordo c’erano 31 persone, compresi i 18 giocatori della rosa, di cui otto nazionali italiani.
Tra le vittime, due giocatori francesi. Dopo la Seconda guerra mondiale era estremamente raro che i calciatori transalpini venissero reclutati da club stranieri. Nel 1948, però, mentre Larbi Ben Barek e Marcel Domingo avevano lasciato lo Stade Français per la Spagna (Atletico Madrid il primo, Espanyol Barcellona il secondo), due attaccanti francesi di origine italiana furono ingaggiati dal Torino.
Uno si chiamava Emile Bongiorni. Giocò nel Racing Club de Paris con cui vinse la Coupe de France nel 1945: è stato un nazionale francese (5 presenze dal 1945). L’altro era Revelli Roger Grava e si era distinto nelle ultime tre stagioni con i colori del C.O.R.T., il club di Roubaix-Tourcoing. Era stato campione di Francia nel 1947 e aveva segnato 29 gol in campionato in 3 stagioni.
A differenza di “Milo”, nato a Boulogne-Billancourt nel 1921, Ruggero aveva visto la luce in Italia nel 1922, a Claut in Valcellina, in provincia di Pordenone. Ma entrambi facevano parte di quei suburbani di emigrazione italiana che François Cavanna descriverà più avanti nel suo magnifico libro “Les Ritals”.
Grava era arrivato alla ribalta sui campi di calcio poco dopo Bongiorni, che aveva iniziato la carriera nel C.A.Paris all’età di 16 anni. Grava, un bambino friulano arrivato in Francia all’età di un anno, era cresciuto a Saint-Ouen e aveva iniziato a giocare con un club di italiani nella regione parigina chiamato A.S. Roma. Era il 1939. Roger stava imparando il mestiere di meccanico e non aveva alcuna ambizione di diventare un calciatore professionista, anche quando giocava con i colori del Meudon-Billancourt all’inizio dell’occupazione nazista.
Le cose cambiarono nel 1942. L’Amiens era tornato al calcio professionistico per una stagione e assunse l’ex nazionale Louis Finot come giocatore-allenatore. Non aveva mai perso di vista la fucina del calcio parigino che aveva frequentato in gioventù al Saint-Maur, nel C.A.Paris e al Racing nel 1940. Dopo essere arrivato ad Amiens, dopo aver portato dal Racing Albert Borto, Maurice Caron, Roger Charollais, Jesus Vazquez, ha voluto che venisse ingaggiato anche Roger Grava, che stava firmando proprio per C.A.Paris.
Grava è rimasto solo una stagione ad Amiens, ma è lì che ha mosso i primi passi ai massimi livelli. Per fortuna, il 30 agosto 1942, Grava giocò la sua prima partita di campionato contro il Racing. In prima linea nell’attacco parigino c’era… Emile Bongiorni, appena arrivato.
Roger ha dovuto aspettare tre partite prima di segnare il suo primo gol. Ha anche confessato qualche tempo dopo: “All’inizio non andava bene. E si è parlato di licenziarmi quando la Stella Rossa è arrivata ad Amiens”.
Infatti, dopo tre partite durante le quali l’Amiens non ha segnato gol (3 volte 0-1 contro R.C.Paris, Le Mans e Le Havre), Grava ha messo a segnole due reti della vittoria sulla Stella Rossa (2-1), il 20 settembre. Il giornalista Robert Glaudel scrisse in quell occasione, su L’Auto, di cui era corrispondente da Amiens: “Mettendo nuovamente Grava al centro della linea d’attacco che fronteggiava la Stella Rossa, la dirigenza dell’Amiens ha voluto dare una nuova prova di fiducia a questo giocatore la cui sagoma ricorda quella di Sochalien Courtois. Avevano ragione”.
Curiosamente, il giocatore dell’Amiens stava per suscitare i paragoni con gli attaccanti dell’epoca. Dopo Courtois, fu soprattutto a Milo Bongiorni che fu accostato. Il futuro giornalista de L’Equipe Fernand Albaret fu il primo a stabilire il collegamento tra i due giocatori, la cui somiglianza era davvero sorprendente. A parte le comuni origini italiane e la posizione in squadra, i due giocatori condividevano un aspetto simile: tozzi, spalle larghe, corporatura solida. Tanto che un giornale ha confrontato le loro misure, davvero molto vicine, come possiamo vedere qui sotto.
Dopo la partita contro la Stella Rossa, Grava diventa il centravanti indiscusso dell’attacco dell’Amiens, che riceve presto il rinforzo di Roger Thévenot, tornato nel club del suo esordio professionistico dopo aver giocato a Valenciennes, Rennes e nella stessa Stella Rossa. In totale, Grava ha giocato 29 partite ufficiali con i colori dell’Amiens, durante le quali ha segnato 15 gol, sui 37 segnati dal CLUB.
Alla fine di questa stagione, il governo di Vichy ha riorganizzato il calcio francese raggruppando la sua élite all’interno di squadre regionali, costituite in maniera autoritaria. L’Amiens ha dovuto riconquistare i ranghi amatoriali e Grava ha giocato nelle squadre federali di Nancy-Lorraine e Bordeaux-Guyenne. Nel 1944-‘45, stagione in cui le competizioni ripresero in un periodo difficile, fu giocatore-allenatore del club dilettantistico di Pons, in Charente-Maritime, prima di partire per Roubaix.
Nel 1948 si recò in Italia per perfezionare l’accordo col Grande Torino, la formazione degli invincibili che cercava un vice di Gabetto. Grava giocò tre match: due amichevoli, in cui segnò una rete, e un incontro di serie A, disputato col Genoa. La sua tomba si trova nel cimitero di Saint-Ouen.
Franco Giordani, cantautore di Claut, gli ha dedicato una canzone in dialetto: Revelli. “Partì de la mont per èse un campion, nessun a né lo giàva”, dice una strofa: partì dalla montagna per diventare un campione, nessuno ce lo toglie.
Odile, sua sorella scomparsa in Francia nel 2021 a 97 anni, presenziava sempre ad ogni iniziativa a ricordo del fratello Quando le condizioni di salute non glielo permisero più, lo faceva tramite le lettere. Perchè sono storie da raccontare, il mito non potrà mai cadere nell’oblio.
Mario Bocchio