Questa è la storia di un cane. E di un difensore. E di uno scudetto che sembrava dirigersi ancora una volta verso Torino – specie dopo quella domenica – e che poi invece scelse la Capitale. Il 6 marzo 1983 la Juventus espugna l’Olimpico di Roma per 2-1: a Falcão rispondono prima Platini e poi Sergio Brio, con una capocciata.
Finisce così, con la curva sud sgolata, Liedholm che non perde l’aplomb, il Trap nemmeno e un cane del Reparto mobile della Polizia che, sulla pista d’atletica, assaggia proprio un pezzo della coscia di Brio, l’uomo della vittoria.
Il lupo indossa un foulard giallorosso (ma non per ragioni di tifo: sono i colori del reparto), Sergione la sua armatura, la maglia numero 5. Rompe il morso con una tacchettata, poi resta lì, sul tartan, a sbroccare al cane. Lo fermano, lo convincono a rientrare gli spogliatoi mentre un giovanissimo Claudio Icardi della Rai, gli gira intorno agitando il microfono. Quel mozzico avvelenato era un segnale animalesco: madre Natura aveva già deciso che lo scudetto sarebbe rimasto lì, trattenuto coi denti.
Andrea Arena